Israele e Turchia, due versioni contrapposte: giornaliste a confronto
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Due nazionalità che si trovano improvvisamente faccia a faccia. Due ragazze. Due giornaliste: si incontreranno quest’anno al MICS, il Media in Conflict Seminar. Sono l’israeliana Taly Gerber e la turca Zeynep Tanitkan. Cafébabel.
com le ha volute far incontrare nel classico stile “talk show” per far emergere le posizioni di entrambe in maniera bilanciata, a seguito della crisi diplomatica tra la Turchia e Israele.
Il 31 maggio 2010 l'esercito israeliano interviene contro una nave carica di aiuti umanitari, nelle acque del Mediterraneo. L'obiettivo della "flottiglia": rompere il blocco israeliano a Gaza e apportare rifornimenti ai palestinesi. Il blitz dell'esercito su una delle navi della spedizione, la Blue Marmara, causa nove vittime tra gli attivisti. La nave batteva bandiera turca. La condanna della Turchia non tarda ad arrivare, e le relazioni diplomatiche tra i due paesi entrano in crisi. Ecco il punto di vista di due giornaliste, una israeliana ed una turca, che hanno vissuto la vicenda in maniera estremamente differente.
La flottiglia secondo Israele
Taly Gerber - Israele: «L‘opinione generale israeliana è che la flottiglia sia stata una provocazione e non una vera operazione mirata a portare aiuti umanitari a Gaza: si pensa, in realtà, che lo scopo della nave turca fosse quello di portare supporto all’organizzazione terroristica palestinese Hamas, con cui Israele è in guerra. Il tutto cercando di rompere il blocco su Gaza, il cui principale obiettivo è di prevenire il traffico di armi verso Hamas stesso. Israele è stata messa in condizione di usare la forza proprio per evitare tutto questo. Prova di ciò l’ha data la flotta della nave irlandese “Rachel Cornie”, dichiarando che potrebbero porre fine ai tentativi di attraversare la striscia di Gaza solo se ci fosse un vuoto di copertura mediatica».
La flottiglia secondo la Turchia
Zeynep Tanitkan - Turchia: «La flottiglia era composta da navi turche, irlandesi, inglesi e greche, ed a bordo c’erano 600 attivisti disarmati provenienti da 32 nazioni diverse, membri di svariate fondazioni umanitarie. Le navi stavano trasportando aiuti umanitari a Gaza, che è sotto assedio israeliano. È certo che non stessero trasportando armi o carichi pericolosi. È comunque assodato che la Foundation for Human Rights and Freedoms and Humanitarian Relief (IHH), avesse 40 membri a bordo della Blue Marmara. Il problema principale riguarda proprio l’IHH. A bordo potrebbero esserci stati sia pacifisti, con il solo scopo di aiutare la popolazione di Gaza, che persone che hanno sfruttato la nave per fare propaganda e dirottare su Gaza l’attenzione dell’agenda politica mondiale. Tuttavia il consenso è unanime sull’illegittimità dell’azione israeliana».
Pacifisti o non pacifisti?
«È chiaro che le persone la cui azione era mirata a infangare la reputazione israeliana non possono essere considerate pacifiste»
T.G. - Israele: «La maggior parte dei membri della flottiglia ha agito con moderazione: c’erano sei navi e solo sulla Blue Marmara si sono avuti scontri. È chiaro che le persone la cui azione era mirata a infangare la reputazione israeliana non possono essere considerate pacifiste».
Z.T. - Turchia: «Non concordo. Questi civili potrebbero aver agito violentemente per difendersi dai soldati, così come potrebbero aver provocato loro lo scontro. Non ero a bordo, non posso dire quale sia la verità. I video diffusi mostrano entrambe le versioni dei fatti. Le questioni sono due: Israele ha attaccato una nave in acque internazionali; l’IHH ha un passato nell’estremismo islamico».
T.G. - Israele: «I principi del Trattato di Helsinki, regolanti la neutralità marittima, ammettono chiaramente il nostro intervento. Avevamo comunque il diritto di controllare il contenuto delle navi come stabilito dal diritto marittimo».
Z.T. - Turchia: «Ma non il diritto di uccidere i civili. Non ho alcuna obiezione in merito al diritto d’ispezione. Qui, il problema principale sta nell’uso sproporzionato della forza da parte dei soldati israeliani. Piuttosto che usare la forza non era sufficiente farle approdare e poi controllarle?».
T.G. - Israele: «Non c’era altro modo per fermare l’avanzata delle navi a causa delle loro dimensioni. Inoltre, la prova evidente del fatto che l’attacco non sia stato sproporzionato sta nel fatto che solo quindici soldati siano saliti a bordo di una nave che trasportava 600 persone, per di più con pallottole da simulazione. I soldati portavano pistole personali perché è obbligatorio per le unità di cui fanno parte, ma non era di certo previsto che le usassero. Solo dopo aver constatato la brutalità dell’attacco sono intervenuti i rinforzi a bordo. Si trattava di un reparto speciale con preparazione specifica in mare, e non in caso di rivolte di massa da parte dei civili. Sono stati colti di sorpresa e, dunque, non avevano altra soluzione che difendersi».
Complotto turco?
Z.T. - Turchia: «Il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu ha definito la politica estera del Paese come politica “zero-problem”: non credo che il governo possa essere l’organizzatore o il mandatario dell’operazione “Freedom Flotilla”. Non c’è alcun bisogno di portare due nazioni al limite di una guerra. Non credo che la Turchia voglia perdere i rapporti con Israele per il sostegno al mondo arabo. A lungo termine la crisi con Israele sarebbe dannosa per l’AKP (Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) stesso».
T.G. - Israele: «La colpa di Israele in questa occasione è stata quella di aver innocentemente creduto che i passeggeri della flotta fossero realmente attivisti pacifisti. Israele trasporta una media di 10.000 tonnellate di aiuti alla settimana verso la striscia di Gaza, in coordinazione con le organizzazioni internazionali, attraversando il Paese senza problemi».
Il nemico peggiore di Israele oggi?
Z.T. - Turchia: «Proprio l’attuale governo di Israele, se pensiamo a questa vicenda. La Turchia è sempre stata un’amica affidabile per Israele. I governi passano, la gente resta. Come può un’alleanza di sessant’anni finire così?».
T.G. - Israele: «Israele è sempre stata pronta ad aiutare la Turchia quando è stato necessario, ad esempio in occasione del terremoto del 1999. Vogliamo credere che la Turchia porrà fine al supporto dato ad Hamas con la Blue Marmara. Per noi la Turchia è un amico cruciale nel Medio Oriente, che può essere decisivo nella risoluzione del conflitto. Dai tempi di Ataturk fino all’attuale Governo Erdogan, si è dimostrata una nazione occidentale con grandi valori. Oltretutto la Turchia è una delle principali destinazioni turistiche degli israeliani».
«Se Israele accusa la Turchia di sostenere Hamas, allora deve mostrarne le prove. Aiutare Gaza e sostenere Hamas non è la stessa cosa»
Z.T. - Turchia: «Non voglio fare propaganda al Governo turco, ma se Israele accusa la Turchia di sostenere Hamas, allora deve mostrarne le prove. Aiutare Gaza e sostenere Hamas non è la stessa cosa. Non voglio che il nome della Turchia venga associato a quello di Hamas. Il Primo Ministro Erdogan e il suo governo sono al potere da otto anni, e in tutto questo tempo la Turchia ha modificato la sua politica estera passo dopo passo. Oggi, però, chiedere alla gente di spingere Erdogan ad aiutare Israele a promuovere la pace, è piuttosto improbabile visto l’accaduto».
Le reazioni del popolo
Z.T. - Turchia: «Subito dopo l’incidente, le reazioni della gente erano abbastanza forti e pungenti. Mettetevi nei panni di un turco: quale sarebbe stata la vostra reazione viste le prime notizie circolanti? L’attacco israeliano, ribadisco, è stato illegale, ma non sono per questo giustificabili gli slogan estremisti come le citazioni dal Corano, che chiamavano tutti i musulmani alla Jihad. Si è cercato di incanalare la rabbia della gente verso una dimensione religiosa e di rievocare il sentimento antisemita. Come Erdoğan, Gül e Davutoglu hanno sottolineato in ogni discorso, il problema non sono i cittadini israeliani ma il governo e la sua politica aggressiva. Certo, l’immagine di Israele è inevitabilmente peggiorata, ma ora le reazioni sono più prudenti. Come ha dichiarato il Presidente della Repubblica Gül, l’incidente ha lasciato una profonda crepa nelle relazioni turco-israeliane. “La Turchia è stata trascinata nella palude del Medio Oriente con questo incidente” ha affermato un giornalista della CNNTurck».
T.G. - Israele: «C’è un sentimento di frustrazione diffusa. Sin dal primo momento l’opinione pubblica e i media hanno puntato il dito contro Israele senza valutare tutti gli aspetti. I coloni normalmente interpretano questo tipo di situazioni come un segno di antisemitismo. Gli arabi israeliani erano molto arrabbiati inizialmente, ma scoprendo i dettagli di quanto successo, la rabbia è calata. È stato comunque assicurato un notevole supporto morale alle nostre truppe».
I media e le loro reazioni
T.G. - Israele: «I media stanno cercano di dare quanti più dettagli possibili sull’accaduto. Da un lato ci sono le critiche interne, come in ogni Paese democratico che si rispetti, dall’altro persiste un grande sforzo per far conoscere la nostra versione dei fatti, diffondendo sempre maggiori informazioni».
Z.T. - Turchia: «Tutte le testate, da quelle di estrema destra a quelle di estrema sinistra, accusano Israele per l’illiceità dell’atto. Inizialmente in prima pagina campeggiavano titoli come: ”Il mondo ai suoi piedi”, “Pallottole contro l’umanità”, “Israele spara sull’umanità” o “Terrorismo di stato”. I titoli dei quotidiani conservatori e islamici erano anche più estremi: “Figli di Hitler” o “Facciamoglielo rimpiangere”. Nessuna testata si è schierata dalla parte di Israele, ma alcuni hanno sostenuto che il Governo fosse colpevole di non aver fornito alla nave protezione diplomatica, ed altri hanno accusato la fondazione IHH di essere di matrice islamista. Quasi tutte le testate hanno sottolineato l’importanza che gli ebrei turchi non diventassero oggetto di ritorsione nei confronti di Israele. Oggi s‘indaga più che altro sulle relazioni tra Hamas e l’IHH, sulla politica del Governo e sul futuro delle relazioni internazionali. Le immagini dei protestanti che indossavano i burqa e intonavano slogan di guerra sono fortemente criticate».
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