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Isolamento e prigionia: il prezzo dell'asilo politico in Germania
Published on February 8, 2013
società
Sono giunti in Germania per sfuggire alla guerra, alla dittatura o alla miseria. Arrivati a destinazione hanno chiesto l’asilo politico. In attesa di una eventuale regolarizzazione, sono prigionieri di un sistema amministrativo che li lascia nell’isolamento e nella precarietà. Parcheggiati nei campi delle periferie delle città, coloro che richiedono asilo non hanno il diritto di circolare liberamente né tanto meno di lavorare. Per sopravvivere devono accontentarsi dei magri sussidi statali. Una vita da "cittadini di seconda classe" che alcuni subiscono per anni. Solo un anno fa, in un campo di rifugiati in Baviera , Mohamed , rifugiato iraniano, si è impiccato nella sua stanza. Il suo gesto ha scatenato un grande movimento di protesta da parte della schiera degli aspiranti all’asilo politico in Germania. Nel corso del 2012 le manifestazioni e gli scioperi della fame si sono moltiplicati. Alcuni sono arrivati perfino a cucirsi le labbra in segno di protesta. Oggi il combattimento continua ma, per il momento, senza grande successo: discutendo della necessità di un controllo dei flussi migratori, i partiti politici principali rifiutano di rispondere alle loro rivendicazioni.
Reportage realizzato tra luglio e agosto 2012 nelle Länder bavaresi, nella Renania del Nord, in Vestfalia e nel Bade-Wurtemberg . Testo: Clair Rivière. Foto: © Alexis Huguet
Il campo per rifugiati di Würzburg , in Baviera , è una vecchia caserma
militare americana circondata da filo spinato e telecamere di
videosorveglianza. Ogni stanza è sovraffollata, si vive nella
promiscuità, senza intimità. Gli occupanti parlano di problemi
ricorrenti "di alcol, tafferugli, di rumori e di nervosismo ". Dal
punto di vista medico, questo stile di vita provoca o accentua le turbe
psicologiche di persone a volte traumatizzate dagli orrori che le hanno
spinte a lasciare il loro paese.
Foto: © Alexis Huguet
Ajin Assadi , iraniano, è costretto per legge a vivere nel campo di
Würzburg. In quanto richiedente asilo politico, deve sottostare a un "obbligo di residenza " (Residenzpflicht ) – che gli impedisce di lasciare
la circoscrizione amministrativa di appartenenza e la cui trasgressione
è punibile con sanzioni o con la detenzione. L’estensione di questa
circoscrizione non è la stessa in ciascuno dei 16 Länder (stati-regione)
tedeschi. Nella Baviera, fortemente conservatrice, il limite è quello
del Regierungsbezirk – un’entità territoriale equivalente al
dipartimento (provincia) francese.
Foto: © Alexis Huguet
Contrariamente a quanto accade, ad esempio, in Francia , a tutti gli
immigrati che hanno depositato una richiesta di asilo in Germania
vengono garantiti vitto e alloggio, ma il prezzo da pagare per questo
relativo comfort materiale è costituito da importanti restrizioni della
loro libertà. Senza contare che i campi che li accolgono a volte sono in
condizioni pietose. È in quello di Würzburg che, nella notte tra il 28 e
il 29 gennaio 2012 , Mohamed Rahsepa r ha posto fine alla sua vita. Il
suo gesto disperato ha indignato i suoi compagni iraniani che hanno
organizzato numerose manifestazioni e scioperi della fame . La scorsa
estate la loro azione di protesta si è estesa ad altre città e regioni
tedesche fino a quella "Grande marcia " dei rifugiati verso Berlino ,
che si è svolta lo scorso autunno.
Foto: © Alexis Huguet
Molti dei residenti nel campo di Würzburg sono curdi . Nel 2011 , i
richiedenti asilo politico in Germania provenivano soprattutto da
Afghanistan , Iraq , Serbia , Iran e Siria . Nello stesso anno l’Ufficio
Federale per l'Immigrazione e i Rifugiati (BAMF ) ha espresso le sue
decisioni su 43362 richieste di asilo . Solo 9676 (22,3% ) richiedenti
hanno ottenuto l’autorizzazione al soggiorno. Dei restanti, alcuni sono
stati espulsi mentre altri sono fuggiti e sono diventati dei sans-papier (rifugiati senza permesso di soggiorno, ndt ).
Foto: © Alexis Huguet
Fine luglio, nell’aeroporto di Düsseldorf , centinaia di persone
manifestano contro le espulsioni degli stranieri non regolarizzati. I
richiedenti asilo conducono anche una guerra sul piano giudiziario. Il
18 luglio , hanno riportato una vittoria significativa presso la Corte
costituzionale federale (il più alto organo di giurisdizione tedesco). I
giudici hanno ordinato che venga rivalutato l’importo del sussidio loro
versato. Da una quarantina di euro la somma è passata a circa 130 euro
al mese .
Foto: © Alexis Huguet
A Böbrach , nelle montagne bavaresi, al confine con la Repubblica Ceca ,
il campo per rifugiati è un vecchio centro vacanze. Isolato in mezzo ai
boschi, a parecchi chilometri dalla città, il campo non è recintato ma
non offre alcun’altra prospettiva se non quella di mangiare, dormire e
contemplare la foresta: la tristezza è assicurata. "Non fare nulla, non
vedere nessuno, non è integrazione. È come se fossimo in prigione ",
afferma Michel Obango , rifugiato congolese.
Foto: © Alexis Huguet
A Böbrach, i rifugiati non ricevono soldi per comprarsi il cibo, ma dei
pacchi contenenti alimenti. Hanno la possibilità di scegliere dalla ristretta lista di
prodotti appesa al muro. Il primo supermercato è a quasi 5 chilometri .
Quando l’ultimo bus è già passato o non hanno i soldi per pagare il
biglietto, i rifugiati li percorrono a piedi. Essi devono fare lo stesso
percorso per raggiungere un internet cafè o per riuscire a decifrare,
con l’aiuto di un software di traduzione, le lettere inviate
dall’amministrazione.
Foto: © Alexis Huguet
Dopo 9 mesi di permanenza in Germania, i richiedenti asilo politico
ottengono, in teoria, la possibilità di lavorare, ma le restrizioni sono
tali che solo pochi ci riescono davvero. Jackie (a destra) ha ottenuto
un "lavoro comunitario": per parecchi mesi ha fatto le pulizie presso
l’ospedale locale per "un euro all’ora". I rifugiati possono anche
cercare un lavoro "normale" ma, una volta ottenuto il lavoro, il "Centro per l’impiego " locale cerca di sistemare al posto loro un
disoccupato tedesco, appartenente all’Unione europea, o un
extracomunitario titolare di un permesso di soggiorno. Solo se non si trova
nessun altro, il rifugiato ottiene l’autorizzazione finale per
lavorare.
Foto: © Alexis Huguet
Leonard è nato in Germania . Sua madre, Magdalena , nigeriana, ancora oggi
non sa se è riconosciuta o meno come rifugiata. Da tre anni si strugge
in attesa che l’amministrazione dia una risposta alla sua domanda di
asilo. "Ti fa diventare matta", dice. "Ci pensi in continuazione".
Secondo le cifre ufficiali, la maggior parte delle richieste di asilo
viene gestita in meno di un anno, ma alcuni richiedenti pazientano più
di dieci anni prima di ottenere una risposta definitiva.
Foto: © Alexis Huguet
Translated from Isolement, le prix de l’asile allemand
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