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Iraq: dov’è l’Europa?

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Gli ultimi attentati di Baghdad e Falluja lo dimostrano. L’Unione europea deve unirsi a Washington nella stabilizzazione del Medio Oriente.

La situazione dell’Iraq liberato da Saddam non cessa di riservare sorprese per gli americani. C’è la bella sorpresa di un accordo finalmente raggiunto all’Onu sulla transizione politica a Baghdad. C’è la brutta sorpresa, come pubblicamente dichiarato dallo stesso Colin Powell, di trovarsi di fronte una pacificazione molto più difficile del previsto. Soprattutto dopo il lunedì nero che ha fatto più di 40 morti Baghdad E c’è la sorpresa, non del tutto inattesa, del disimpegno dell’Unione europea dalla ricostruzione economica e politica del paese arabo.

E ancora una volta il dualismo, l’equilibrio o l’antagonismo - che dir si voglia - tra la potenza americana ed i “poteri” europei nasconde un déjà vu: ricalca lo schema illogico delle competizioni coloniali tra le vecchie potenze europee. E ciò che si impone è solo un cinico passato, maledettamente “eurocentrico”.

Si tratta di un atteggiamento intellettuale, politico e mentale che dimentica, ad esempio, le denuncie e le aspirazioni dei quaranta studiosi (tutti arabi) che hanno redatto per conto dell’Onu l’Arab Development Report, denunciando - nel disinteresse delle diplomazie e dei cosiddetti esperti di tutto il mondo - l’arretratezza politica ed economica dei regimi che affliggono la vita di centinaia di milioni di donne ed uomini nella mezza luna d’oro.

Un’Europa cieca e vetero-colonialista

Si tratta di una politica miope dinanzi agli stessi interessi politici ed economici europei nel Medio Oriente. Infatti, pacificare e democratizzare l’Iraq significa modificare il contesto in cui languono tutti i drammi del Medio Oriente, a partire dal conflitto israelo-palestinese. Stabilizzare il Medio Oriente su queste basi significa gettare le basi per un vero spazio comune euro-mediterraneo. Insomma, se gli americani vinceranno la pace, l'Europa e l'intero mondo arabo ne saranno i primi beneficiari... loro malgrado.

E tanto per usare un “cinismo alternativo” - dovendo scegliere - conviene di più contribuire alla stabilizzazione ed alla crescita di una possibile democrazia alle porte dell’Europa oppure nel deserto degli altipiani che circondano Kabul, come suggeriva su queste colonne Roberto Foa?

E’ ormai tempo che il dibattito sulla situazione irachena abbandoni le recriminazioni ed il mero componimento di vecchi attriti diplomatici e cominci ad affrontare le esigenze del popolo iracheno, la sicurezza più generale del Medio Oriente, la necessità di dare una risposta efficace ad un terrorismo sempre più vicino e minaccioso per l’Europa. Gli Stati Uniti hanno i mezzi e la possibilità di vincere la pace, così come hanno vinto la guerra. Adesso spetta all’Europa decidere se ritornare alla Storia e, quindi, al futuro.