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Iran: falchi israeliani, colombe europee

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Default profile picture mirko coleschi

Mentre l’Europa spera ancora di poter risolvere la questione nucleare per vie diplomatiche, Israele pensa ad un attacco militare contro l’Iran. È ancora possibile superare i rancori?

Il programma nucleare dell’Iran è stato uno dei temi di primo piano nella campagna elettorale in Israele. Anche politici moderati, come il capo del governo israeliano in carica Ehud Omert, puntano ormai ad una via violenta per fermare l’Iran. Al cospetto di un gruppo di lobby pro-israeliane a Washington Olmert ha recentemente definito l’Iran come una «grave minaccia per l’intero mondo civilizzato» e ha spinto ad «adottare ogni provvedimento necessario» per impedire al regime dei mollah di costruire armi nucleari. Tra questi provvedimenti figura anche un attacco aereo contro le basi nucleari iraniane, una misura per la quale Tel Aviv ha già messo a punto il suo piano d’azione.

La speranza di una soluzione diplomatica

Anche nel Regno Unito, in Germania e Francia, paesi che stanno portando avanti i negoziati per conto dell’Ue, il dibattito si è fatto più serrato dopo le ripetute richieste da parte del presidente iraniano Mahmud Ahmadineijad di «eliminare Israele dalle mappe». Né il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier né l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Javier Solana, hanno intanto escluso la possibilità di sanzioni.

D’altro canto gli europei rimangono concentrati su una soluzione diplomatica e non militare del conflitto, nonostante lo scontento generale di fronte alle ripetute violazioni da parte di Teheran degli accordi sulla non-proliferazione, anche all’indomani del deferimento del dossier al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Gli europei continuano a sperare nei negoziati con Mosca sulla possibilità di trasferire in Russia il processo di arricchimento dell’uranio iraniano. Il Ministro degli Esteri tedesco ha messo però in guardia da un eccessivo inasprimento del conflitto, che potrebbe acuirsi con le minacce militari, e ha posto l’accento sul fatto che un’attivazione del Consiglio di sicurezza non significa la fine della via diplomatica.

Migliaia di morti, rischio di una possibile azione militare

Come si spiegano questi diversi approcci al conflitto con l’Iran? Gli europei hanno forse sottovalutato la serietà della situazione? O sono forse troppo pigri per rischiare il confronto militare? La risposta è da trovare nei diversi interessi di Israele e dell’Europa. Per Israele la bomba atomica nelle mani dell’Iran rappresenterebbe una minaccia alla propria esistenza. Inoltre se venisse meno il suo monopolio sul nucleare l’equilibrio di forze in Medio oriente sarebbe modificato a suo scapito.

Per gli europei, invece, l’arma atomica in Iran non rappresenterebbe alcuna minaccia diretta. Un attacco militare, al contrario, minerebbe la pace della regione, rendendo quindi più difficoltoso l’accesso alle vitali riserve petrolifere della zona. Secondo i risultati di uno studio di recente pubblicazione dell’Oxford Research Group, un attacco militare sull’Iran permetterebbe, certo, di distruggere in poco tempo gli impianti nucleari del paese; ma per garantire il successo dell’operazione ed impedire possibili controffensive, sarebbe necessario mettere fuori gioco anche l’esercito, le forze aeree e la marina iraniani. Un’azione militare di tale sorta significherebbe, secondo gli esperti, la morte di migliaia di persone, oltre ad una destabilizzazione a lungo termine dell’intera regione. Il regime iraniano verrebbe quindi rafforzato, dal momento che tutte le forze si unirebbero dietro la sua guida e l’esercito avrebbe nuova linfa. Non si escluderebbero inoltre ulteriori attacchi alle truppe americane in Iraq, l’interruzione dell’accesso alle risorse di greggio e nuovi attacchi terroristici da parte dell’Hezbollah.

Un attacco aereo continuo

Il rapporto degli esperti inglesi arriva, però, alla conclusione che i costi di una tale operazione per Israele sarebbero comunque limitati, dal momento che il carico maggiore graverebbe sulle spalle dell’alleato statunitense. Un attacco militare rientrerebbe quindi negli interessi di Israele. Ma anche se il paese è pronto a mettere in conto un drastico aumento del prezzo del greggio e un’escalation della situazione irachena, alla lunga tale azione offensiva non sarebbe nel suo interesse.

Gli svantaggi di un’azione militare sono già stati messi in chiaro dall’attacco aereo operato da Israele sul reattore nucleare di Osirik, in Iraq, nel 1981. In quell’occasione Israele riuscì a distruggere l’impianto poco tempo prima della sua ultimazione, ritardando così di anni l’armamento nucleare dell’Iraq. Eppure l’attacco portò, alla lunga, ad un acceleramento del programma atomico, programma che è stato poi smantellato da parte degli ispettori delle Nazioni Unite. È quanto dimostra Joseph Cirincione in uno studio del think-tank washingtoniano Carnegie Endowment. Nel caso di un attacco all’Iran, sarebbe da mettere in conto una possibile scissione dal patto di non proliferazione da parte del paese e una sua concentrazione di risorse per la costruzione della bomba atomica. Per impedire un riarmo nucleare iraniano a lungo termine, sarebbe necessario un attacco aereo da parte di Israele sull’Iran ogni due anni.

Gli stessi Stati Uniti hanno nel frattempo riconosciuto i rischi rappresentati da un’azione militare contro l’Iran e puntato a mezzi non belligeranti nella risoluzione del conflitto: tentando cioè di accelerare una svolta interna all’Iran e, negli ultimi tempi, aumentando i mezzi a sostegno dell’opposizione irachena. L’Europa dovrebbe affiancarsi a queste azioni, poiché in un ribaltamento pacifico del regime iraniano è racchiusa la più grande occasione di portare pace e stabilità durature in Medio Oriente.

Le considerazioni di Israele circa un attacco militare contro l’Iran sono in questo contesto quindi poco opportune. Potrebbero solo aiutare Teheran. Che potrebbe utilizzarle per affilare le proprie armi.

Translated from Israels Falken, Europas Tauben