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Io, stagista italiano in Svizzera

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Andrea, innamorato di Parigi, è tornato nella Capitale francese per studiare management. E no, non poteva certo immaginare che il suo stage lo avrebbe portato nella terra della puntualità e dell'efficienza, a Friburgo.

La voglia di ritornare a Parigi, la città dove avevo fatto l’Erasmus, mi ha portato quest’anno iscrivermi ad un master in management in un’école nei pressi di place d’Italie. Ma la ricerca dello stage de fin d’etudes mi ha portato molto più lontano. Quando ho detto ai miei amici: «Ho trovato un posto in Svizzera, vado lì per sei mesi,» la risposta più frequente è stata: «E come mai? Non hai trovato niente in Francia?» . Non me ne vogliano i miei attuali concittadini, ma la Svizzera è sempre stato un Paese un po' particolare: le banche ed il loro segreto, il franco, le tre lingue parlate (ufficialmente quattro aggiungendo il romanzo), e così via. Un paese che è un po' nel mito e che in pochi conoscono veramente bene. Ecco, io non facevo parte di questi.

Non è un paese per fannulloni

Quando ho fatto il primo colloquio telefonico, il mio attuale responsabile mi ha chiesto: «Ma lei è un buon lavoratore? Sa, qui si lavora!». Non avevo dubbi che in Svizzera si lavorasse sodo, mi sono detto. Poi quando ho visto il mio contratto di quarantadue ore settimanali, contro le quaranta italiane e le trentacinque francesi, ho capito bene cosa volesse dire.

Non appena ho avuto la conferma dello stage ho iniziato a cercare una camera in co-abitazione. Ho messo un annuncio su un sito studentesco e in qualche giorno ho ricevuto delle proposte di colocation: una visita virtuale su skype e voilà, stanza presa. L’esperienza maturata a Parigi per la ricerca di una stanza mi aveva abituato a file, dossier, garanti, ma qui niente di tutto questo.

La mia azienda ha sede nel cantone di Friburgo, tra Losanna e Berna, e ciò vuol dire due lingue ufficiali, il francese e il tedesco, sebbene la prima sia largamente la più parlata. Il giorno in cui sono arrivato, la città mi ha accolto con qualche fiocco di neve, giusto per farmi capire che a qualche chilometro più a sud ci sono le Alpi.

Ciò che più mi ha sorpreso in questi primi mesi di stage è stata l’efficienza dei servizi: non è un cliché, ma la puntualità "svizzera" esiste davvero. E neanche la questione della riservatezza bancaria lo è, tanto che ho aperto un conto corrente in quindici minuti direttamente allo sportello postale firmando giusto una ricevuta. Essendo straniero ho dovuto chiedere il permesso di soggiorno alle autorità locali. Una mattina mi arriva una mail dell’ufficio migrazione per confermarmi che la procedura era stata avviata: erano le sette del mattino, ed un ufficio pubblico mi aveva risposto a quell’ora!

Un miscuglio di identità

Ogni Cantone ha un Governo quasi del tutto autonomo e questo lo si capisce anche dalle diverse legislazioni per le assicurazioni obbligatorie da fare. In base al principio di democrazia diretta, qui ogni cittadino si reca all’ufficio postale all’incirca ogni tre settimane per votare, sia per votazioni cantonali sia a livello di confederazione. La stragrande maggioranza delle volte è per referendum abrogativi promossi dai partiti locali o da semplici cittadini.

Le tre maggiori lingue ufficiali hanno creato nel tempo tre differenti comunità con forti radici, ma l’integrazione non è difficile. La maggior parte degli svizzeri parla in genere un’altra lingua della confederazione oltre alla propria. In questo miscuglio d’identità si aggiungono le migliaia d’immigrati che sono arrivati negli anni dagli altri paesi europei, sebbene siano al vaglio leggi per bloccare l’immigrazione straniera. Il primo giorno di lavoro mi sono ritrovato in uno degli ambienti più multiculturali mai vissuti. Per lo più francesi e suisses-allemands, gli svizzeri dei cantoni che parlano il tedesco. A questi si aggiungono portoghesi e persone dell’Europa orientale.

Inaspettatamente incontro anche un "italiano", Silvio, nato a Basilea una cinquantina d’anni fa ma di origini salernitane, al quale d’italiano è rimasto il nome e qualche ricordo dei genitori. Di fatto in azienda si parlano tre lingue: il francese, con i suoi vari accenti, il tedesco e l’inglese. Clima cordiale, tutti si danno del "tu" e, benché ci sia una gerarchia ben strutturata, nella realtà non traspare. Come detto, devo lavorare quarantadue ore settimanali, ma senza fare straordinario. E allora mi hanno dato un pc personale e così il resto del lavoro lo svolgo da casa.

Friburgo è una cittadina di 30 mila abitanti, gli stessi del mio paese nell’hinterland di Napoli, ma il paragone non mi azzardo minimamente a farlo. Ci sono varie università in città, con studenti che arrivano da tutta la Svizzera (Ticino in primis), e ciò fa si che la città duplichi i suoi abitanti durante i corsi. E anche per questo il cantone di Friburgo è uno dei meno cari della Confederazione, ma ciò non toglie che un caffè espresso possa costare comunque 3 franchi e mezzo (il cambio con l’euro è quasi alla pari)! Ad ogni modo gli alloggi per studenti sono relativamente a buon mercato: una stanza va dai trecento ai settecento franchi spese comprese, e se vogliamo è un prezzo che si può trovare a Parigi dove però gli stipendi sono molto più bassi.

Fuori dall'UE

La città è divisa in due: la Basse-ville (città bassa) è il quartiere più antico situato sul fiume Sarina dove si possono trovare vari locali, caffè, ristoranti. Un’antica funicolare la collega con la parte alta, più moderna, dove ci sono le Università. Le attività principali girano un po’ intorno al quartiere di Pèrolles che collega la stazione e le sedi universitarie. A due passi della città ci sono poi Berna e Losanna ed un po’ più distante c’è Ginevra: tutte raggiungibili facilmente in treno. Considerati i prezzi dei trasporti elevati, ogni comune del cantone mette a disposizione dei propri cittadini dei biglietti giornalieri a metà tariffa con i quali si può viaggiare su tutto il territorio nazionale.

Il salario medio è di 7 mila franchi al mese, circa la metà di quanto si guadagna a Zurigo e la parola disoccupazione la si legge solo sui giornali nella sezione esteri. Essendo studente-stagista, ho diritto a varie agevolazioni come l’iscrizione alla palestra universitaria per una decina di franchi al mese o l’esenzione dall’assicurazione sanitaria obbligatoria secondo gli accordi con la Comunità europea. Ma il primo mese è stato comunque duro: tra affitto, abbonamento telefonico, iscrizione all’albo dei cittadini (ebbene sì!), permesso di soggiorno e varie le spese non sono mancate e inevitabilmente ho messo un po’ da parte la vita sociale, i cinema, i locali. Nonostante tutto mi ritengo fortunato e, con un po’ d’attenzione, col mio salario arrivo a fine mese.

Una sera mi è capitato di conoscere Christopher, "designer freelance", così descrive il suo lavoro perché in questo modo non ha padroni. Ci tiene a rivendicare la sua autonomia, e fa spesso dei riferimenti alla situazione del suo Paese nei confronti della Comunità europea. «La Svizzera sbaglia ad accettare le leggi di Bruxelles,» mi dice. Io sono un po' a disagio, faccio parte di quella generazione che non ha mai visto le dogane, che non ha bisogno di permessi di soggiorno, che paga con la stessa moneta e che crede che l’Europa sia una garanzia di parità di diritti tra gli Stati membri. E l’autonomia svizzera è una questione che ancora oggi ho difficoltà a capire.

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Hanno background differenti, sono diversi e credono in cose diverse. La loro vita può andare in qualsiasi direzione, casa loro domani può essere ovunque. Ma una cosa è certa: ad un certo punto tutti quanti faranno un tirocinio. Meglio se all'estero. Intern Nation: i ritratti dei tirocinanti e delle loro esperienze in Europa.