"Io non sono quella". Guardami, ti spiego come sono
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Federica ArcibuonoIl Festival Europeo del Cinema di Siviglia, in programma dal 4 al 12 novembre, quest'anno ha messo in scena il cinema sulle donne fatto dalle donne. Di fronte all'immagine distorta di noi donne di solito mostrata dal cinema, questo Festival è stato in grado di dare visibilità e la parola a grandi registe del cinema da un altro punto di vista, più profondo reale, su cosa significhi essere donna.
L'arte è un viaggio di andata e ritorno che ci fa vedere come siamo e che si nutre di come viviamo. Dopo esserci avvicinati ad un'opera d'arte, di qualunque tipo essa sia, sappiamo di più su noi stessi di quanto non sapessimo prima di avvicinarci ad essa. Succede con la poesia, i romanzi, le canzoni, i quadri, la scultura e naturalmente, con il cinema. Ma cosa succede se quello che vediamo è un'immagine alquanto distora di noi stessi?
Molte delle persone che leggeranno queste righe non sapranno cosa sia il test di Bedchel. Tuttavia è fondamentale per capire come mai le donne molto spesso non si sentano rappresentate nei film che vedono. Alison Bedchel è una fumettista statunitense che nel 1985 ha pubblicato Dykes to Watch Out For. All'interno di questo fumetto, in una storia intitolata "The rule", c'era un semplice test che misurava la presenza delle donne nell'arte. Il test si articola in tre domande: la prima è se compaiano più di due donne che abbiano un nome; la seconda è se parlano tra di loro e la terza è se parlano tra di loro di qualcosa che non sia un uomo. Tale test serve per misurare la presenza delle donne; non ci dice se un film è bello o brutto e non valuta nemmeno se il film è femminista o meno. Semplicemente misura se compariamo, se abbiamo un nome e se parliamo di qualcosa che non sia l'amore romantico!
A prima vista può addirittura sembrare un test un po' assurdo, però mano mano che ci mettiamo a pensare, scopriamo che la maggior parte dei film non lo supera. Film conosciuti da tutti come Batman, District 9, Slumdog Millionaire, Terminator, Shrek, Watchmen, tutte quelle della saga di Bourne, Transformers, Brüno, Hackers, Il Grande Lebowski, WALL·E, Wanted, Ocean's Twelve, Clerks, Pirati dei Caraibi, Austin Powers, Men in Black, Fight Club, Il Quinto Elemento, Hellboy, Milk, Reservoir Dogs, James Bond, Indiana Jones, Alien³, Il Signore degliAnelli, La Storia Fantastica, The Truman Show, Dal Tramonto all'Alba, Trainspotting, Mission Impossible, Braveheart, Toy Story, Il Gladiatore, X-Men, Harry incontra Sally, Ritorno al Futuro, Pulp Fiction, Intervista col Vampiro, Seven, Mamma ho perso l'aereo o Up, per citarne alcuni dei tanti esempi che ci sono. È chiaro: l'industria cinematografica è costruita per fare film sugli uomini.
Coscienti di questa realtà che non è altro che una forma di violenza simbolica, conviene ricordarlo perché proprio per questo siamo a novembre, il mese della lotta contro le violenze sulla donna, nel Festival del Cinema di Siviglia di quest'anno, in programma dal 4 al 12 di novembre, hanno pensato ad un bellissimo ciclo dal titolo “Yo no soy ésa - Io non sono quella” dedicato ad offrire la visione delle donne nel cinema, sulle donne.
Molte di noi che abbiamo assistito a questo ciclo siamo cresciute ascoltando le grandi canzoni dei maestri Quintero, León e Quiroga: A la lima y el limón, Tatuaje, La Lirio, Francisco Alegre, La niña de fuego, Ay pena, penita, pena, Y sin embargo te quiero, No me quieras tanto, Romance de valentía, La zarzamora, Romance de la Reina Mercedes, Limosna de amores, Capote de grana y oro, La Salvaora, Ojos Verdes, Amante de abril y mayo e la lista potrebbe continuare. Molte le abbiamo sentite cantate dalle grandi Lola Flores, Juanita Reina, Marifé de Triana, Rocío Jurado o Isabel Pantoja e continuiamo ad apprezzare queste parole che ormai fanno parte dell'immaginario colletivo con cantanti del calibro di Miguel Poveda.
Da queste canzoni abbiamo tratto grandi lezioni di vita che dopo abbiamo dovuto distruggere nel percorso di amore per noi stesse. Una delle cose che abbiamo dovuto disimparare è la paura che la nostra vita sessuale ci trasformi in qualcuno senza nome: “Yo no soy aquella / Quest'oscuro garofano/ Che va di angolo in angolo/ Girando indietro la testa./ Mi chiamano Carmen,/ O Lolilla o Pilar;/ Con il modo in cui vogliano chiamarmi/ Mi devo conformare./ Sono colei che non ha nome,/ Colei che non interessa a nessuno,/ La perdizione degli uomini,/ Colei che mente quando bacia./ Già...lo sa... Io sono... quella...”
Nella decostruzione non siamo state da sole, ovviamente. Mari Trini, ad esempio, ci ha insegnato ad essere ribelli con: “Yo no soy ésa / Che tu credi/ Una signorina tranquilla e semplice/ Che un giorno lasci/ E sempre perdona/ Quella ragazzina si..no../ Quella non sono io/ Io non sono colei/ Che tu credevi/ La colomba bianca/ Che danza con l'acqua/ Che ride per nulla/ Dicendo di si a tutto/ Quella ragazzina si..no../ Quella non sono io”
“Yo no soy ésa” è stato un ciclo composto da 12 film realizzate da 12 donne che ci presentano altre donne con una grande capacità creativa, che mettono in dubbio il proprio ruolo di genere, che vivono la propria sessualità o si disperano per essa o che sono madri come la sfinge di Tebas. Donne trasgressive che non vogliono i busti stretti che la società impone loro.
Il ciclo ha ripercorso quasi sei decenni di cinema e si articolaba in otto sessioni tematiche-Parliamo di Sesso, Riot Grrrls, Era Felice nel suo Matrimonio, di Madre ce n'è Una, Più Cattiva di un Dolore, Questione di Genere, Girl-Friends o Cosa non ci Rappresentano.
Sedmikrásky (1966) - Věra Chytilová
Questo film (in spagnolo, Las Margaritas) è considerato uno dei film più importanti all'interno della Nuova Onda Cecoslovacca e, tuttavia, è stata censurata per molti anni. Sedmikrásky è una storia fatta con ritagli di storie in cui due ragazze sfidano il sistema e si fanno portavoci della propria rilassatezza morale in un modo corrotto. Malgrado il successo del film, la censura cecoslovacca obbligò la regista Věra Chytilová, a presentare parte della sua successiva produzione sotto il nome del marito. Il suo ruolo di rinnovatrice del cinema europeo è indiscutibile, anche se le circostanze politiche che contornano la sua produzione lo offuscano. Sedmikrásky è una sfida continua allo spettatore, una continua messa in discussione morale e un continuo ripensare su ciò che ci si aspetta e su ciò che sono queste due ragazze che amano la vita e il piacere sopra ogni altra cosa.
Riddles of the Sphinx (1977) – Laura Mulvey
Questo è un film manifesto con cui Laura Mulvey ha voluto plasmare in un film le sue idee sul cinema. Con una struttura a specchio e lo stratagemma della panoramica circolare, la Mulvey ci parla di quello che per lei significa essere madre, in una costante metafora con la sfinge di Tebas come mezzo. Indubbiamente una delle pellicole femministe per eccellenza che non poteva mancare in un ciclo cinematografico come questo.
À ma soeur (2001) – Catherine Breillat
Un film che ci fa riflettere sulla sessualità e che narra il dramma delle donne (sopratutto adolescenti) che non hanno un corpo che risponda ai canoni di bellezza normativi. Sebbene l'opera sfiori la sordità, specie con quel finale tanto tragico, è una proposta interessate su un tema che normalmente non si affronta nel cinema. Ed è proprio lì che si fonda la sua originalità: nella scelta del tema e dal punto di vista che, d'altra parte, è presente in tutta l'opera sia cinematografica che letteraria della sua regista, Catherine Breillat.
Grandma Lo-fi: The Basement Tapes of Sigrídur Níelsdóttir (2012)
Questo documentario è un bellissimo canto alla creazione, all'immaginazione e al diritto a fare quello che si vuole, a qualsiasi età. Con una meravigliosa proposta visiva che unisce cinema, musica e i collage, quest'opera corale ci racconta gli ultimi anni di Sigrídur Níelsdóttir, che con i suoi 70 anni si è messa a fare musica in modo quasi artigianale e ha registrato più di 600 canzoni nelle quali ha inserito i versi dei propri animali e tutto quello che trovava in cucina che potesse esserle utile, come l'acqua che cade sui mestoli o il rumore della carta argentata quando si stropiccia. Indubbiamente una delle proposte più tenere di questo ciclo.
Oltre al ciclo del cinema, “Yo no soy ésa” è una rivista che raccoglie illustrazioni, storie e fumetti con questo spirito di mostrare le realtà delle donne che non compaiono mai, o molto poco, nell'arte. Al suo interno hanno collaborato artisti come María Cañas, Elisa Victoria, Joaquín León, Elena Orellana (Madre Imperfecta), Marta Caballero, Gloria Romero (Rapariga Amarguinha), Ana Jiménez (La Topa Tabernaria), Marta Altieri, Nieves González (N.G. Snowjane, de Las Janes), Gloria Vilches, Xiana Gómez Díaz, Helena Exquis, Andrea Galaxina e Mari Marín (lamarimorena).
C'è ancora molta strada da fare. Molte canzoni da decostruire. Molto linguaggio di cui appropriarsi. Molti film che superino, per lo meno, il test di Bedchel. Molto da rivendicare e molto da dire. Però senza dubbio, il fatto che un festival come il Festival del Cinema Europeo si focalizzi su di noi, su ciò che vogliamo essere e su ciò che abbiamo da dire è un piccolo grande passo. E, soprattutto, che lo faccia con questa prospettiva storia che dimostra che, malgrado tutto, le donne sempre, sempre, sempre, hanno contribuito allo sviluppo dell'arte.
Congratulazioni al Festival per questo evento!
Translated from "Yo no soy ésa". Mírame, te cuento cómo soy