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Invisibili e sconosciute: quando la storia dimentica le donne

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Probabilmente non sapete che la più antica università al mondo è stata fondata da una donna, e nemmeno che il padre del rock’n’roll è stata in verità... una madre! La storia raramente ricorda i grandi nomi femminili, anzi, li rende invisibili. Per reagire a questa scomparsa sistematica, il collettivo Georgette Sand, che intervistiamo, ha scritto Ni Vues Ni Connues.

Com'è nato il progetto editoriale Ni Vues Ni Connues (Invisibili e sconosciute)?

Marguerite Nebelsztein: Il progetto è nato nel 2015 con la pagina Tumblr Invisibilisés. Allora avevamo già il piccolo sogno di pubblicare un libro, che è rimasto nel cassetto fino all'anno scorso, quando siamo state direttamente contattate dalla casa editrice Hugo & Cie. Tutto è partito da lì.

Come avete scelto le “invisibilisées” del libro?

MN: L’ispirazione è arrivata da Tumblr, il resto è frutto di scambi e scoperte. Il nostro editore ci ha invitate a chiederci: “Se questa donna fosse stata un uomo, sarebbe nei libri di storia?”. Questo è il filo conduttore del progetto, poi ciascuna si è mossa secondo le sue affinità. Una delle autrici, Flora Pajon, conosce molto bene Delia Derbyshire (pioniera della musica elettronica, nda): è stata quindi lei a proporla e a realizzare il suo disco. Io ho studiato storia, perciò mi è venuto naturale scrivere di Brunilde (regina dei Franchi, nda).

Come si è svolto il vostro lavoro di ricerca?

MN: Non si fa il copia-incolla da Wikipedia! (ride) Scrivere bozzetti biografici non sarebbe stato di alcun interesse, volevamo davvero concentrarci sui motivi per cui queste donne sono state rese invisibili.

Qual è stato il processo per far uscire queste donne dall'anonimato, o per scoprire la verità dietro la storia comunemente accettata?

MN: abbiamo dovuto scavare. Nel caso di Rosa Parks, per esempio, tutto è partito da una piccola frase letta in un articolo sul quotidiano Libération. Approfondendo, mi sono resa conto che la sua battaglia in quanto donna non si riassumeva affatto in ciò che la storia ci ha trasmesso di lei. Decifrare la vicenda di queste donne significa anche mettere in discussione le fonti. L'unica grande opera su Brunilde, per esempio, si trova in uno scritto di Bruno Dumézil: rimescola completamente le carte restituendole il posto che le spetta. Brunilde era una grande regina, tuttavia la sua storia viene ridotta a un catfight con Fredegonda (un'altra regina franca, ndr). Non leggete le fonti solo in superficie, bisogna scavare e vedere cosa si nasconde al di sotto.

Puoi ricordarci cos'è l'invisibilizzazione? Quali sono i suoi meccanismi?

MN: L'invisibilizzazione è l'atto di far sparire una donna dalla storia. I suoi meccanismi sono molteplici: mettere la donna sullo sfondo, farla scomparire completamente, minimizzarne l'operato, creare una maschera intorno alla sua vita (come nel caso delle légendes noires), sminuirne o rubarne il lavoro, confinandola al ruolo di “donna o sorella di”, auto-invisibilizzazione... Per me, Ni Vues Ni Connues è una “scatola di attrezzi anti-invisibilizzazione”, che ci ha permesso di mettere in evidenza una triste realtà: in ogni momento e in tutti i continenti si riproducono gli stessi modelli. La vicenda di Nanerl Mozart è illuminante, il suo genio è stato completamente oscurato da quello del fratello a causa della pressione da parte di famiglia e  religione. Le donne non fanno musica, non praticano la medicina... all'improvviso devi camuffarti da uomo o nasconderti a rischio di essere accusata di stregoneria. Un altro meccanismo è appunto quello di rubare il lavoro. Si pensi ai folli esempi di Rosalind Franklin – una scienziata dimenticata che ha ampiamente partecipato alla scoperta del DNA – o Marthe Gautier – ricercatrice il cui lavoro sulla Trisomia 21 è stato sottratto da Jérôme Lejeune. In un certo senso la situazione di Marie Curie è simile: è stata lei a scoprire tutto quanto, suo marito non era molto più che il suo assistente, ma alla fine gli onori sono stati attribuiti a lui. Certo, Marie ha vinto due premi Nobel, ma abbiamo dovuto aspettare fino al 2007 perché il suo nome venisse aggiunto alla stazione della metropolitana “Pierre Curie”, a Parigi. Può sembrare aneddotico, ma si tratta di una vera e propria invisibilizzazione.

Torniamo all'auto-invisibilizzazione di queste donne. È un fenomeno molto comune nella storia?

MN: Sì, e tutte dobbiamo combatterla. Queste donne dovrebbero essere un esempio per le ragazze di oggi: siate orgogliose del vostro lavoro e trovate persone che lo diffondano. Pensiamo per esempio alla fotografa Dora Maar, oscurata da Picasso: non si tratta anche qui di un caso di auto-invisibilizzazione? Ha abbandonato ciò che preferiva per consacrarsi alla pittura. Certamente affermare l’esistenza di una auto-invisibilizzazione non è un discorso politicamente corretto dal punto di vista femminista, ma è necessario parlarne per poter contrastare tale meccanismo. È per queste ragioni che a Georgette Sand organizziamo il workshop “prise de parole” (presa di parola): in quanto donne, ci viene insegnato a non interrompere, a non parlare troppo in pubblico, a non disturbare, a non imporci troppo in riunione... Si tratta sempre di auto-invisibilizzazione. Noi prendiamo in contropiede questa logica: non diciamo “Non sono brava”, impariamo a essere orgogliose del nostro lavoro e ci congratuliamo l'una con l'altra. Si fa un sacco di mentoring nel nostro collettivo.

E funziona?

MN: Sì, abbastanza bene! Penso a una delle Georgettes, molto timida, che ha appena messo in piedi un progetto fotografico. Forse il nostro collettivo le ha dato proprio quel piccolo aiuto di cui aveva bisogno. Dal canto mio, sono molto cambiata molto nel modo di pormi al lavoro: mi sforzo di impormi di più, di parlare, di discutere i problemi. Mi sono trovata ad esempio di fronte a casi di disuguaglianza di genere, e piuttosto che tacere - e rendermi invisibile - ne ho parlato. Sapevo che avevo il supporto delle Georgettes e che ero legittimata a farlo.

Come possono contribuire gli uomini alla de-invisibilizzazione delle donne? Si tratta di un processo inevitabile, visto che spesso sono proprio gli uomini a scrivere di storia?

MN: Il primo passo è prenderne coscienza. Anche in quanto donne possiamo renderne invisibili altre, mentre esistono uomini che fanno attenzione al problema. È  importante che sia gli uomini, sia le donne, siano consapevoli di questi meccanismi sociali e rimangano vigili. Sul posto di lavoro questo può significare accertarsi di non rubare la parola a colleghe donne durante le riunioni,  o ricordarsi di mettere in mostra il loro operato se è giusto che venga portato all'attenzione di tutti. Chiaramente non tutte le donne hanno bisogno di essere aiutate, e alcune sovrastano le altre. Certe donne  hanno lavorato così duramente per arrivare dove sono da diventare esse stesse misogine nei confronti delle colleghe di livello inferiore. Qui si tratta di un'altra questione, ma bisogna comunque prenderne coscienza e fare attenzione al proprio comportamento.

Quindi gli uomini hanno un ruolo in tutto questo?

MN: Sì, certamente. A Georgette Sand portiamo avanti un vero e proprio gioco di squadra. Non ci sono molti uomini che lavorano con noi, ma siamo un gruppo misto. Personalmente parto dal principio che se gli uomini non ci lasciano un po' di spazio sul loro stesso territorio, non possiamo reclamare il nostro posto. Combattere tra di noi non serve a nulla, è importante che ci sia un lavoro di ri-educazione nei confronti di tutti, uomini e donne.

La storia è un po' come la regola del maschile che sovrasta il femminile, che ci insegnano fin dai primi anni di scuola: sono questi i primi dati che apprendiamo e che ci costituiscono in quanto cittadini. Se ci strutturiamo secondo una storia nella quale le donne sono assenti - senza studiare il lavoro di una sola autrice o scienziata alle scuole superiori - diventa allora comprensibile come si finisca a pensare che ci siano stati sempre e solo uomini nella storia, e che sarà così per sempre.

Cosa ne pensi della questione della "rappresentazione" -  il modo in cui certi aspetti come genere, etnia, o anche l'età, sono rappresentati nello spazio pubblico - un punto molto caro al femminismo intersezionale negli Stati Uniti? 

MN: Penso che sia di enorme importanza. Come ha scritto Pénélope Bagieu nella postfazione del nostro libro, il giorno in cui ha scoperto l'esistenza di una illustratrice, ha pensato di potercela fare anche lei. Ho sfogliato un libro di scienze naturali per studenti dell'ultimo anno del liceo: in un volume di cento pagine, c'erano sono una o due donne, mentre gli altri erano tutti uomini. L'assenza di una rappresentazione in questo senso spiega come mai le ragazze, molto dotate negli studi scientifici durante i primi anni di scuola, finiscano per non proseguire in quella direzione. È  un meccanismo inconscio, certo, ma esistente. Questa settimana, per esempio, è stato mandato in onda su France Inter un programma sulla matematica: cinque ospiti, cinque uomini.  Decisamente frustrante.

Sarei d'accordo se Ni Vues Ni Connues diventasse un libro di scuola, vorrei che fosse in ogni istituto che si occupa di istruzione in Francia, di modo che fin da subito ragazzi e ragazze realizzino che le donne sono parte della storia. Venerdì scorso mio fratello minore, che ha 18 anni, mi ha detto che non sono esistite grandi autrici donne... ma è semplicemente perché nessuno glielo ha mai insegnato.

Mi è capitata la stessa cosa durante un incontro sulla diversità... in cui di diversità non ve ne era affatto! Ho pensato che nemmeno gli organizzatori stessi si siano resi conto del problema.

MN: Sono completamente d'accordo. È  un po' come la recente questione delle molestie sessuali: è ovvio che parlarne sia un'ottima cosa, ma si ha l'impressione che tutti abbiano scoperto solo ora l'esistenza del problema. Basta parlare con una collega, con un'amica o con la propria compagna per realizzare l'ampiezza del fenomeno. La stessa cosa vale per i dibattiti, bisogna prendere in considerazione l'aspetto della "facilità", che si riflette nel chiamare sempre il famoso esperto che viene invitato ovunque. Nessuno vuole fare la fatica di trovare un'esperta sconosciuta, e proprio per via del  meccanismo di invisibilizzazione le specialiste donne sono molto meno note rispetto ai colleghi uomini. I media giocano un ruolo importante  nel mantenere quest'assenza di diversità, lo dimostrano le statistiche sugli ospiti invitati ai programmi TV e radio mattutini. L’Assemblée Nationale, poi, è composta dal 40% di donne, ma hanno parola sono per il 4% del tempo, e non sono a capo di alcun gruppo o commissione. Che senso ha? 

Ci sono donne che, anche se hanno potere (parlo di donne attive in politica o attrici...), rimangono in silenzio e invisibili. Come si può rimediare?

MN: Penso che i social media siano uno strumento incredibile per trovare e diffondere informazioni. All’Assemblée Nationale, le uscite sessiste suscitano in fretta reazioni e critiche. Credo che stiamo facendo progressi in maniera davvero veloce, in particolare grazie a Twitter. L'idea, anche se può sembrare terribile, è quella di umiliare i sessisti, gli uomini che fanno osservazioni orribilmente misogine. L'obiettivo è fare in modo che il loro comportamento sia considerato una cosa da sfigati. È  desolante vedere che l'Assemblée Nationale non sia in grado di dare il buon esempio. Mi fa davvero ridere che ci lamentiamo di quartieri come La Chapelle (a nord di Parigi, ndr) dove ci consigliano di non uscire mai sole... personalmente avrei più paura a essere un'assistente parlamentare all'Assemblée Nationale!

Il "rimedio" o meglio, lo strumento, è essere consapevoli di questi meccanismi, entrare nella logica di ascoltare le donne, di invitarle ai dibattiti in quanto esperte, di esporre le loro opere nei musei, di studiare autrici donne al liceo ecc. La presenza femminile deve diventare qualcosa di normale, come normale deve essere riflettere sulla questione. Per cambiare i comportamenti bisogna indurre a vergognarsi coloro che non rispettano regole che dovrebbero rappresentare già la norma.

Cosa dovrebbero fare le autorità pubbliche?

MN: In primo luogo riesaminare la scelta dei testi di storia. Sarebbe stupendo poter parlare di Ni Vues Ni Connues agli studenti. Siamo già in contatto con una scuola di Oise, e il libro verrà inviato in Brasile per essere utilizzato in classe. È  meraviglioso poter andare nelle scuole a sostenere il libro e parlarne con i bambini. 

Le autorità pubbliche hanno un ruolo nel finanziamento della cultura, perciò hanno un certo potere sulla visibilità delle donne in tale contesto. Si tratta del cosiddetto principio del gender budgeting, in breve: tagliare i fondi a un museo che organizza al 99% mostre di artisti maschi, e una volta ogni dieci anni presenta il lavoro un'artista donna. Le artiste donne esistono, ovviamente, e non dovrebbero essere ni vues ni connues, bensì conosciute e visibili.

Anche la cultura pop gioca un ruolo in questo?

MN: Sono una grande fan di Beyoncé (ride). Possiamo criticarla per il suo femminismo commerciale (lo stesso vale per il femminismo proto-pop delle Spice Girls), ma è stata in grado di portare il femminismo nella cultura pop e lo ha reso accessibile a tutti.  La pop culture può giocare un ruolo primario nel rendere le donne visibili: Il diritto di contare è un film davvero esemplare da questo punto di vista, tanto quanto Wonder Woman. La pop culture, quando non esagera con la stupidità, può giocare un ruolo fondamentale.

Si parla molto di sorellanza, di donne che si supportano le une con le altre, ma è un fatto che sembra essere più scontato tra gli uomini. Cosa ne pensi?

MN: La fratellanza è molto più visibile rispetto  alla sorellanza - è il motto della Francia! Forse è qualcosa che ci manca e dovrebbe essere re-inscritto nel nostro DNA: dobbiamo fare gruppo tra donne, nei nostri progetti e nella nostra vita... è un'idea che inizia ad avere il suo effetto. E poi, per tornare all'importanza della pop culture, ho letto di recente un'intervista con Ibeyi nella quale si spinge fortemente sulla necessità di diffondere la parola "sorellanza".  Forse i ragazzi sono più abituati a parlare di fratellanza, mentre le ragazze non così tanto. La sorellanza esiste, penso però che si ritrovi più facilmente nel condividere i problemi, piuttosto che nella dimensione della promozione del lavoro.  Anche Ni Vues Ni Connues è un esempio di sorellanza, due donne stupende hanno gestito un progetto che coinvolgeva 21 persone... è stato davvero un bellissimo lavoro di gruppo tra donne.

Ora quale sarebbe la prospettiva migliore per Ni Vues Ni Connues ?

MN: Che il libro finisca in ogni scuola e che influenzi la scelta dei testi di storia. Il fatto che non si insegni nulla su Brunilde a scuola mi fa impazzire: ci stressano solo con Carlo Magno, ma è stata lei a segnare il passaggio dall'Antichità al Medioevo in Occidente. Tuttavia non ne ho mai sentito parlare durante tutto il mio corso di studi, è inaccettabile. Spero che Ni Vues Ni Connues sia un punto di partenza per rendere queste donne visibili... e spero che riusciremo a scrivere un secondo volume dopo il successo del primo (ride)!

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Da leggere: Ni Vues Ni Connues, collettivo Georgette Sand (Hugo & Cie, 2017)

--- Questo articolo è stato scritto in partnership con Girlshood, webzine per donne fuori dagli schemi.

Translated from Ni Vues Ni Connues, quand l’Histoire oublie ses femmes