International Journalism Festival a Perugia: gratis e a portata di hashtag
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Finalmente parteciperò alla settima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, dal 24 al 28 aprile, un evento dal quale conoscenti e coetanei - italiani e non - sono tornati sempre con racconti entusiasti.
La corsa agli accrediti, l’iscrizione all’Albo dei giornalisti, il lavorare in una testata: non serve niente di tutto questo perché il Festival è aperto a tutti ed è gratis. “No paywall here” è il motto. E hashtag la parola chiave.
Ricapitolando: si va a Perugia, si cerca un albergo cheap, o meglio, un couchsurfer, si individuano gli eventi all’interno di un programma ricchissimo, e c’è anche un’utile applicazione, “My Festival”, che permette di creare la propria agenda personalizzata a seconda di orari e gusti, senza rischiare di impazzire tra eventi che si soprappongono. E il rischio c’è, essendo più di 400 i giornalisti invitati da tutto il mondo e più di 200 gli eventi tra incontri, dibattiti, tavole rotonde e interviste, presentazione di libri, proiezioni di documentari, concorsi e premiazioni varie. Il tutto a Perugia, affascinante capitale dell’Umbria, scenografia medievale, candidata a capitale europea della cultura per il 2019, da sempre scenario del festival creato da Arianna Ciccone.
Il festival si presenta
Dal giornalismo ambientale a quello di inchiesta, fino alle nuove soglie del giornalismo digitale, dalla web tv e alla radio fino al live blogging, ma anche panel sulla questione israelo-palestinese e la Primavera Araba. Alla conferenza stampa della settima edizione del Festival, è stato presentato il programma, le attività e gli ospiti principali, con una precisazione: “L’hashtag ufficiale della manifestazione è #ijf13”: inizia tutto da qui, da questo hashtag che sembra farla da padrone. È lui il protagonista, ed è lui che guida gli eventi. I giornalisti seguono i tempi, e gli hashtag. I lettori fanno lo stesso. È inevitabile sapere cosa sia un hashtag? E sapere chi ha twittato cosa? Pare di sì: l’hashtag si impone e le istituzioni si adeguano, vedi Martin Shultz, il Presidente del Parlamento europeo che si confronta con i cittadini su Twitter o in sessioni di chat.
Anche le interviste tradizionali evolvono affiancate dalle Twitterview, come quella a Beppe Severgnini o a Ezio Mauro, direttore di Repubblica, (“con domande da twitter hashtag #Mauro“) e qui ricordo un amico che a tal proposito sbottò con un interrogativo romano e retorico: “ma che è?!”.
Generazione watchdogger
Oggi tutti possono diventare giornalisti dietro uno schermo. Tutti possono avere un blog, tutti possono leggerlo. E il passaggio da creatori a informatori quando e come avviene?
La crisi della carta stampata, degli introiti derivati dalla pubblicità sulle testate cartacee, lo stravolgimento della figura del giornalista cui fa concorrenza il lettore che, all’occorrenza, diventa anche giornalista/reporter, sono all’ordine del giorno nella settima edizione del Festival, che si tuffa in uno scenario inevitabilmente mutato. E il nome delle iniziative ne è la spia: "Social media: usarli in modo intelligente"; "Data journalism, Analisi dei Social Network usando la Twitter API", "Excel per i giornalisti". I keynote speech sono tenuti da Emily Bell, giornalista inglese che è stata alla guida del settore digitale del Guardian, Mathew Ingram, riferimento internazionale per l’editoria online e l’hi-tech, e Harper Reed, speechwriter di Obama.
E poi un continuo di Generazione “watchdogger”, ovvero il media attivismo che denuncia, citizen journalism 2.0, "Il futuro del live blogging: verso le multi-redazioni". E ancora “Vittoria a 5 Stelle: disfatta di media e politica?” con il nominatissimo Claudio Messora, il videoblogger Byoblu con il canale Youtube tra i più seguiti in Italia e che dal marzo 2013 è coordinatore della comunicazione per il gruppo al Senato del Movimento 5 Stelle e poi la blogger cubana Yoani Sanchez che racconta per la prima volta in Italia la genesi del suo blog Generación Y contro il regime di Fidel Castro. O ancora Bernardo Valli che parla dell’arte dell’inviato, ma ai tempi di Internet. E poi molti giovani, come Ester Castano, classe 1990, giornalista che collabora con La Prealpina, fattoquotidiano.it e Libera Stampa Altomilanese.
"Scrivo per un giornale -pausa- on-line"
Il giorno del mio esame da giornalista pubblicista c’è chi mi disse: “questi hanno rovinato tutto”, indicando un computer. Oggi tutti possono diventare giornalisti dietro uno schermo. Tutti possono avere un blog, tutti possono leggerlo. E il passaggio da creatori a informatori quando e come avviene? Chi lo sancisce? Il numero di visualizzazioni, vale a dire i lettori, o il numero di “Like”? Ancora, nonostante i giornali online esistano da anni, quando mi si chiede dove scrivo, specifico che si tratta di un giornale -pausa- online. Al che l’interlocutore fa un cenno con la testa, quasi a riconoscerti che sì scrivi, ma pur sempre su un giornale di seconda categoria. Da inguaribile amante della carta, questo mi rassicura, ma non cancella la realtà, e cioè che oggi l’informazione formato digitale avanza. Proprio nelle prime pagine del report "Post Industrial Journalism" pubblicato dalla Columbia Journalism School, che tra gli autori, oltre a C.W. Anderson e Clay Shirky, vede anche Emily Bell, si discute sul futuro del giornalismo americano. Si parla degli ultimi 15 anni e dell’avvento di strumenti e tecniche che hanno distrutto l’anziano assetto del sistema giornalismo.
Insomma, tra le 5 five core beliefs ce n’è una che mi sembra fondamentale in questo contesto che cambia e si muove veloce, in America come altrove: “there are many opportunities for doing good work in new ways”, e da quello che si prospetta, il Festival può dare spunti per approcciarsi al nuovo. Staremo a vedere.
Foto: copertina (cc) pagina facebook dell'IJF Perugia; nel testo: Harper Reed © pagina facebook ufficiale di Harper Reed; Yoani Sanchez © pagina facebook ufficiale di Yoani Sanchez.