Impressioni di Torino
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La prima volta che un turista arriva a Torino, questa gli si presenta come una città finta – proprio come quel fasullo borgo nel parco del Valentino, che sembra vero perché realizzato coscenziosamente a tavolino invecchiandogli i muri portanti per renderlo naturalmente medioevale. Una città squadrata, troppo squadrata.
Non c'è via del centro, ma anche al di fuori di esso, che non sia ortogonalmente e razionalmente intersecata da decine di altre altrettanto ortogonali e razionali stradine, in una texture che sembra pensata a tavolino da un qualche architetto utopista del '600, più che sviluppatasi naturalmente nel corso dei secoli. E al turista ignaro che scende dal treno, o dall'autobus, questo reticolo di sensi unici (tutti rigorosamente alternati, com'è ovvio: se una strada procede, poniamo, da Nord a Sud, ecco che le parallele a destra e a sinistra faranno l'opposto, per amor di coerenza) dà un'illusione di semplicità d'accesso. Da una parte le colline, dall'altra le montagne imponenti (quando si riesce a vederle, smog permettendo), a nord la Dora; insomma, verrebbe da dire: semplice da capire, facile da dominare!
DALLA STRADA AL PALAZZO I problemi arrivano quando il turista ignaro si trasforma in viaggiatore prima, in immigrato poi: quando, insomma, dalle strade si vorrebbe entrare nei palazzi, e godere appieno della vita dei torinesi, che in strada di tempo ce ne hanno sempre passato poco. Quelli che si trovano in piazza, che sia per via Belfiore a San Salvario o in piazzetta a Borgo Dora, sono arabi, turchi, pakistani, forse pugliesi e siciliani, magari toscani o emiliani o piemontesi delle Langhe – ma i torinesi, quelli veri, in strada non si vedono, se non per fugaci capatine serali, portadell'ufficio-portieradellamacchina-portadicasa oppure portadicasa-portieradellamacchina-ristorantepub. Il turista divenuto viaggiatore trasformatosi in immigrato, però, i torinesi non si accontenta di vederli passare sfrecciando per Corso Regina e vorrebbe stanarli, conoscerli. Ed è qui che l'immigrato in via di integrazione si trova di fronte un muro che rafforza l'idea di una città finta. Dopo alcuni tentativi di passare dalla strada al palazzo, Torino pare trasformarsi ai suoi occhi in una città da videogioco. Come Tomb Raider, il gioco con Lara Croft in cui si affrontano una serie di livelli in grotte, monasteri e città cercando reperti nascosti. All'inizio si resta impressionati dalla cura che i programmatori hanno messo nei dettagli urbanistici, nella resa dei muri, delle ombre, delle strade. Man mano che si avanza, però, si vien colti da un senso di frustrazione: girovagando per le vie della città si incontrano decine di splendidi palazzi signorili, di cui però solo pochissimi sono accessibili (e tutti rigorosamente funzionali allo sviluppo della storia) – perlopiù si tratta di mere facciate da studios televisivi, finestre e mura e nulla dietro, e la libertà d'azione nel gioco ne risulta estremamente limitata.
DIETRO LE QUINTE DI TORINO E se la vera Torino fosse anch'essa nascosta dietro le facciate dei suoi palazzi-bene? È un'impressione che mi confermano in molti. “Lo vedi quel palazzo là?” mi chiede una volta un vecchio torinese dal passato eccitante e burrascoso mentre bevevamo vino bianco in Piazza Savoia, in pieno Quadrilatero Romano. Poi prosegue: “noi non lo sappiamo, ma forse adesso dietro queste finestre qualche buon padre di famiglia si sta giocando a poker la casa, o magari l'intera azienda. O forse c'è in corso un festino erotico, come nel film Eyes Wide Shut. Il punto è che, se non sai che c'è, non riuscirai mai ad immaginarlo. Passeggiando per questa strada dirai soltanto, fra te e te: 'Ma che bella città signorile che è Torino'. E invece è tutta facciata, anzi, sono tutte facciate”. Difficile decidere se credergli o no – se la Torino di cui mi ha parlato non sia solo un ricordo svanito di anni ruggenti e prosperosi oggi definitivamente trascorsi, se ci sia ancora spazio per simili storie in una città che è stata nobiliare e decadente prima, sporca ed industriale poi, e che tenta di tramutarsi adesso in una realtà moderna e professionista. Quel che è certo è che l'impressione di mistero per i non-torinesi rimane. Un'idea di segreti raccolti fra le mura delle case, di un qualcosa che Torino e i torinesi custodiscono gelosamente mentre fanno di tutto per migliorare l'aspetto della città trasformandola nella metropoli più vivibile ed interessante d'Italia, mantenendo al contempo un che di inziatico e riservato solo agli adepti. Forse non è un caso che tanti alchimisti e veggenti siano passati dalla città, punto nevralgico di vari triangoli magici europei. Torino è caratterizzata, nella sua storia ma soprattutto nella sua urbanistica, da elementi che rimandano a mondi più oscuri (e, inoltre, tutti i più grandi alchimisti della storia ci hanno vissuto, a partire da Nostradamus): ad ogni angolo del centro, a saper guardare, spunta un segno, una statua, un tombino dal significato esoterico che rimettono in discussione l'impianto razionale e geometrico della città. Forse Torino non è poi così squadrata, o finta. È solo nascosta – un mistero con tutti gli elementi per essere svelato.