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Immigrazione, il riciclaggio della paura

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Marco Riciputi

L’integralismo islamico evoca in Europa timori crescenti verso la società multiculturale. Cui si aggiungono le antiche paure verso gli stranieri. L’integrazione degli immigrati non ne uscirà rafforzata.

La minaccia, reale o presunta, che l’islamismo radicale porterebbe contro la società pluralistica e il sistema democratico ha cambiato i termini del dibattito politico in Europa. Tradizionalmente la necessità per gli immigranti di adattarsi alla cultura dei paesi di accoglienza era considerata espressione di un antiquato nazionalismo. Oggi, invece, trova nuovi sostenitori. E sono sempre più rari coloro che continuano a vedere la società multiculturale secondo un approccio ingenuo e benevolo.

La società multiculturale rimessa in discussione

La reazione agli attentati di matrice islamista perpetrati a Madrid nel marzo 2004 è stata relativamente cauta. Molti hanno visto l’attacco come una conseguenza della guerra in Iraq, sebbene la maggioranza della popolazione avesse rifiutato questa ipotesi. L’omicidio del regista olandese Theo Van Gogh, per opera di un fondamentalista islamico, nel novembre 2004, ha prodotto una profonda crisi: un tempo così liberali, i Paesi Bassi rimettono ora in discussione il concetto di società multiculturale.

Le esplosioni del luglio 2005 sugli autobus e la metropolitana nel centro di Londra gettano anche la Gran Bretagna nella paura e portato nuova linfa al dibattito circa la nascita di un’incontrollabile società parallela. Questo, non solo ha portato ad un inasprimento dei provvedimenti nella lotta al terrorismo, ma ha cambiato anche la percezione della microcriminalità, come mostra la campagna Respect del gennaio 2006. La protesta mondiale di qualche settimana fa, contro la pubblicazione di una serie di caricature su Maometto, in un giornale olandese di destra, ha finito col rafforzare in tutta Europa i difensori della tesi di un profondo scontro di culture.

Il crimine d’onore di una giovane turca di Berlino ad opera dei suoi fratelli nell’inverno 2004 e le rivolte nelle periferie parigine dell’autunno 2005 hanno sollevato un necessario dibattito sulle condizioni degli immigrati nelle città. Anche l’islamofobia ne è uscita rinforzata. Nonostante questo, l’omicidio di Berlino deriva da un arcaico senso dell’onore e non dalla cultura islamica. Anche le rivolte parigine hanno cause fondamentalmente più politiche che religiose.

Il rischio della stigmatizzazione

Oggi non sono più solo le destre radicali ma anche i partiti conservatori moderati ad esigere che gli immigrati si adattino o siano persino assimilati, alla cultura del paese ospitante. Questa cultura non è tuttavia facile da definire. In Germana si è discusso nel 2000, senza risultati concreti, attorno al termine leitkultur (cultura guida). Anche il tentativo fatto in Gran Bretagna nell’estate 2005, ovvero quello di accordarsi su valori comuni validi per immigrati e britannici, non ha condotto molto oltre. Paesi come Belgio e Spagna, dove il dibattito per stabilire una cultura nazionale è già caratterizzato dal contrasto con le regioni, preferiscono puntare il dito altrove.

L’integrazione degli immigranti è realmente un problema urgente e la presenza degli islamici radicali costituisce un serio pericolo. Anche stigmatizzare i musulmani conserva il pericolo di una loro ulteriore ghettizzazione. Media e politici rivendicano l’incompatibilità culturale dell’Islam con i valori occidentali ma anche la richiesta di assimilazione nella esistente civiltà occidentale non aiuta l’integrazione.

Il Front National in Francia, il Vlaams Belang in Belgio, la Lega Nord in Italia e tutte le altre destre radicali in Europa hanno già polemizzato verso gli stranieri e alcuni studiosi dell’Islam, mentre ancora nessuno ha saputo cominciare una riflessione sul concetto di islamismo. Gli islamici servono a questi partiti per giustificare il rifiuto degli stranieri. Dietro la paura dell’Islam c’è il vecchio timore verso gli stranieri che angoscia per carenza di comprensione e mette in discussione le abitudini e certezze comuni.

Non c’è alternativa alla società multiculturale

L’inquietudine degli stranieri è accentuata anche per colpa delle precarie condizioni economiche e l’alto tasso di disoccupazione. Il crollo dell’industria come conseguenza della globalizzazione ha privato molte persone del loro lavoro. Così, si sentono minacciati tutti coloro che all’interno della società sono stati spinti dagli eventi già al limite della sopportazione. In questa situazione, gli immigrati sono visti sia come concorrenti nel mercato del lavoro, sia come minaccia verso un’identità incerta.

In questo contesto, l’istigazione alla paura verso l’Islam e i musulmani, oltre al rifiuto verso gli immigrati, mette in pericolo la loro integrazione. Certo la tolleranza verso l’altro non può voler dire mancanza di fermezza da parte delle autorità. Non può comportare un’accettazione passiva della violazione dei diritti umani anche quando siano correlate ad alibi religiosi o culturali. Ma non è per questo che si può affermare che vi sia un’alternativa valida alla società multiculturale. Pensarlo ci condurrebbe in un vicolo cieco. La società multiculturale, infatti, non è un’idea, ma una realtà. Con cui è necessario imparare a convivere.

Translated from Alte Angst in neuem Gewand