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ILB: tra spie e artisti

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Berlino

di Stefano Lippiello Storie di spie quest'anno al Festival Internazionale della Letteratura di Berlino. Anche se la città è stata una delle mete più frequentate dai servizi segreti durante la guerra fredda, non immaginatevi eleganti signori seduti a fianco a voi con il giornale davanti al viso intenti a scrutarvi, e nemmeno inseguimenti sopra i tetti della città.

Robert Redford non c'è e questo non è Spy Game. I metodi usati al di là della cortina di ferro erano ben altri, come ci raccontano i molti autori che si alternano sul palco in questi giorni.

Gli ospiti vengono dai diversi paesi del ex blocco sovietico e raccontano di Stasi, StB e UDBA, nomi diversi che celano lo stesso terrore, plasmato sul modello concepito da Stalin, che porta «la paranoia al centro del potere», come afferma Gerd Koenen. Paranoia che dal centro del potere s'irradia a tutta la società, come racconta la scrittrice macedone Jasna Koteska ricordando la storia di suo padre, scrittore macedone sorvegliato dal servizio segreto jugoslavo (UDBA), chiamato dall'autrice teatrale serba Bokra Pavicevic «la polizia privata di Tito». 

Scrittori che vengono spesso traditi dallo loro stessa cerchia di amici, tra sospetti e denunce, come nel caso discusso da Joachim Walther e Hans H. Grimmling di un aspirante scrittore nella DDR condannato a 2 anni di detenzione per aver mostrato a cinque fidati amici le sue dodici poesie. Un sistema tentacolare che, assecondando la logica perversa del sistema, tiene sottocontrollo chiunque entri in contatto con una fonte potenziale di contagio sociale. Ne è un'ulteriore riprova la storia di uno studente che, semplicemente, una sera decide di bere qualcosa con un ubriaco conosciuto fuori da un bar. Quest'ultimo si rivela poi essere un ex giornalista, ora sorvegliato, e così, il giorno dopo, il ragazzo vede arrivare a scuola la polizia che comincia a spulciare i suoi dati in archivio. 

Ma il racconto che più di tutti chiarisce le finalità e lo scopo delle spie del regime è quello narrato dal praghese Petr Placak oppositore del regime. Nel controllare l'armadietto dello scrittore, già sospettato di reato, la polizia trova una poesia. Viene immediatamente attivata la macchina dell'StB, che organizza un incontro con i genitori dei suoi amici al fine di gettare fango su di lui con ogni mezzo. L'obiettivo è quello di fargli il vuoto attorno, di isolare la minaccia di chi, come lui, si opponeva al regime attraverso l'arte, recidendo i suoi legami sociali. 

Qui sta la posta in gioco: l'influenza sulla società. Il potere di regime deve fare di tutto per detenerne il monopolio attraverso la rete capillare dei vari servizi del Blocco e il controllo della letteratura ufficiale. Il ruolo dell'artista e dello scrittore, come emerge da questa settimana di discussioni berlinesi, era stretto tra la morsa soffocante del potere da una parte, e la tentazione del compromesso dall'altra.  

Oggi, in molti stati, gli archivi segreti sono stati aperti ed è stato permesso l'accesso alle informazioni raccolte dagli organi di spionaggio, anche se, lamentano gli autori, a 20 anni di distanza dalla caduta del muro, capita ancora che in alcuni stati non si sia ancora arrivati alla riconciliazione tra vittime e colpevoli, destinati comunque a vivere insieme. «La repressione degli scrittori non è diversa da quella di tutti gli altri perseguitati», ci hanno ricordato al termine del ciclo di conferenze. Ora il concetto ci appare più chiaro.  (c) Foto 1: flickr/mcxurxo, Foto 2: flickr/sulamith.salliman