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Il Viaggio di Rousseau

Published on

Bologna

Lògos è una rubrica di microfilosofia che si aggrappa tenacemente a quei punti della realtà su cui il pensiero riesce ancora a far presa; è un invito a riflettere sulla realtà contingente a partire dall'eco delle parole dei filosofi del passato; è la ricerca di una risposta alle sollecitazioni che provengono dalla nostra epoca nelle parole della filosofia. È un suggerimento.

Del filosofo si dice che è solito fare dei 'viaggi', definiti a loro volta 'mentali', per distinguerli dalla comune commutatio locii con solo bagaglio a mano. Il 'viaggio mentale' è una prerogativa del filosofo, ma oggi anche la sua tara.

Eppure proprio un grande filosofo mostrò come quelli della filosofia non siano solo 'viaggi mentali': Jean-Jacques Rousseau decise di lasciarsi alle spalle un futuro predestinato e di esplorare il mondo nella sua impetuosa concretezza, nei suoi odori e nelle pieghe delle sue gonne; si decise per l'indipendenza del viaggio e per un'autentica esistenza da vagabondo. E lo fece proprio durante la sua adolescenza, per eccellenza il periodo dei check in mentali.

Racconta il quindicenne Jean-Jacques che, durante un tramonto di giochi, le porte della città gli si chiusero in faccia, così egli restituì loro la sua schiena, s'incamminò e non si voltò più verso Ginevra. Quindici anni di vagabondaggio intellettuale sono raccolti nelle sue Confessioni, dove assumono la forma del diario picaresco, à la Mark Twain. La sua fede venne valutata 20 franchi e si fece catecumeno; truffò e ingannò contadini, fedeli e osti; fu valletto e lacchè, il primo dei privilegiati e l'ultimo degli infami; scoprì la virtù e la religione; amò figure di donne e insegnò musica, pur sapendo leggere a stento uno spartito; la troppa terra sotto le unghie gli precluse i salotti del monde parigino, s'accontentò di scacchi e caffè.

Il suo fu un puro viaggiare a cui bastavano due piedi e un'Europa da scoprire, senza bagagli, vetture e compagnia, che per lui significavano assillo e ansia di arrivare.

In seguito accontentò tutti dimostrando di essere un filosofo col vizio dei 'viaggi mentali', addirittura ne descrisse uno così profondo e complesso che se mai avessi potuto scrivere un quarto di quello che ho visto e sentito sotto quell'albero, con quale chiarezza avrei fatto vedere tutte le contraddizioni del sistema sociale... e... tutte le ingiustizie delle nostre istituzioni.

Rousseau però affrontò tale questione anche in termini personali, così il viaggio della adolescenza rappresentò qualcosa di più di un semplice vagabondare: a piedi e da solo trovava la sua anima affrancata e il pensiero più audace; padrone di se stesso, compì uno stupefacente cammino attraverso tutta la società francese del Settecento, visse la perdita dell'innocenza ma realizzò anche un'approfondita e ambigua analisi sociologica, un racconto tendenzioso delle contraddizioni di tutto un sistema culturale, segnato dal rifiuto di ogni condizionamento come destino; il suo è un disperato tentativo di dare senso all'Altro senza rimanere chiusi in una torre d'avorio, ma mettendosi in marcia all'interno di un sistema in movimento; la socializzazione di un segreto che si fa pietra di paragone per lo studio degli uomini.

In questo risiede il portato di ricchezza e profondità del viaggio di un filosofo, mondano ma non semplicemente tax free.