il Vetevendosje del Kosovo: Un'alternativa nel paese dei merli
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Maria Elena VaiasusoMentre il PDK, il partito del premier uscente del Kosovo, è arrivato in testa alle elezioni dello scorso giugno, Hashim Thaçi non è ancora riuscito a trovare un accordo per formare il governo. In piena crisi istituzionale, gli irriducibili del Vetëvendosje fanno ancora parlare di sé nel paese dei “merli neri”.
"FUCK Eulex!". Sui muri della capitale Pristina, i sostenitori del Vetëvendosje' - che significa “autodeterminazione” - hanno lasciato il segno: graffiti che insultano la comunità internazionale e manifestazioni poco pacifiche contro “il dialogo” tra Pristina e Belgrado. Vetëvendosje', formazione politica nata nel 2008 ad opera del carismatico Albin Kurti, raccoglie sempre più voti in Kosovo, innescando un’ondata di rinnovamento politico nel paese.
Albin, Ritratto di un uomo
L’ascesa di Albin iniziò nel dicembre 2010, quando Vetëvendosje' arrivò al terzo posto alle elezioni e riuscì, grazie ad una campagna condotta su Facebook, a riunire le giovani generazioni kosovare, frustrate a causa del tasso di disoccupazione che si aggira al 40%, del marasma economico e della corruzione dell’élite al potere.
La sede del partito si trova nel cuore della capitale, a pochi passi dal viale pedonale Madre Teresa e dal lussuoso hotel Swiss Diamond. Una grande bandiera albanese, aquila nera su fondo rosso, si spiega al vento mentre alcuni omoni in giacca di pelle fumano sorvegliandone l’entrata. In questa sera d’ottobre 2012, il fondatore di Vetëvendosje' esce da una difficile seduta parlamentare. Impreca contro i “tentativi di privatizzazione” del paese da parte del gruppo al potere. “In virtù delle proprie posizioni liberali, la formazione in carica è pronta a smantellare lo Stato, vendendo senza ritegno le nostre aziende e i nostri beni ai gruppi stranieri. Privatizzazione non significa liberazione. Che si può dire di un sistema economico che trasforma il politico in uomo d’affari? Quello che vogliamo è la democrazia economica”.
Con la sua camicia immacolata ed un viso da ragazzino, Kurti è abbastanza giovane. A 39 anni, la sua stretta di mano è calorosa, il suo inglese eccellente ed il suo atteggiamento quasi presidenziale. Seduto dietro una scrivania nella sala conferenze illuminata da due riflettori, il suo discorso è molto curato. “Grazie ai nostri deputati, stiamo lavorando al sistema. Certo, non è perfetto ma crediamo in ciò che facciamo. Rappresentare la democrazia non basta”, afferma. “Il Kosovo ha bisogno di una democrazia partecipativa”. Spesso accusato di nazionalismo, Kurti schiva il problema con un’abile piroetta. “In questo momento il Kosovo sta vivendo una situazione estrema in cui se sei normale dicono che sei radicale”.
Albin Kurti ha inizialmente studiato nelle università clandestine di Pristina durante l'apartheid, ha poi ottenuto una laurea alla London School of Economics. Nel frattempo, ha ricoperto un ruolo essenziale nella resistenza durante la battaglia per la liberazione del Kosovo, con i guerriglieri dell'UÇK (l'Esercito di liberazione del Kosovo che ha combattuto per l’indipendena, ndlr), di cui è stato a lungo il portavoce. Arrestato durante i bombardamenti della NATO, Kurti è stato successivamente imprigionato in Serbia. Oggi è uno dei politici più promettenti del paese.
"Come zeus sull'olimpo"
Il cavallo di battaglia del movimento “Autodeterminazione” è la lotta alla corruzione dell’attuale partito in carica, il PDK del primo ministro Hashim Thaçi. “È arrivato il momento di smettere di finanziare le strutture parallele che minano l'indipendenza del Kosovo", afferma il giovane leader. "A cosa servono questi casinò, questi centri commerciali nella nostra economia? Il Kosovo ha rispettato tutti i suoi obblighi e ha fatto delle concessioni. Lo sviluppo del paese non deve essere iniettato con gli aiuti esterni. Deve crearsi dall’interno e grazie alle proprie risorse".
Ai diplomatici internazionali Albin Kurti non piace molto. Perché nei suoi discorsi non si stanca mai di denunciare il "colonialismo" dei funzionari internazionali, questo "protettorato di burocrati" presente in Kosovo da più di un decennio, ONU e Unione Europea in primis. "Guardate l'ambasciatore americano nella sua villa al Dragodan (il quartiere delle ambasciate a Pristina, nda), è come Zeus sull'Olimpo! Si crede il re del Kosovo e invece noi ci definiamo una Repubblica", mi dice con un ghigno.
"L’UE deve ora cessare la pressione e ridefinire la prorpria strategia nei Balcani", annuncia Kurti, con un sorriso. "Le attuali trattative con la Serbia (lo storico accordo tra Belgado e Pristina che verrà siglato ad aprile 2013, nda) violano la nostra integrità territoriale. Perché non abbiamo né sovranità, né sviluppo economico: siamo passati dalla prigione dell’apartheid serbo alla giungla della comunità internazionale”. Certo, Kurti aspira ad entrare in Unione Europea, ma in qualità di "Stato sovrano". Il problema, secondo lui: Bruxelles ha troppa paura della Serbia, questa “piccola Russia nei Balcani, considerevole fattore di destabilizzazione”.
C’è solo un paese che Kurti ama e onora, giura, la mano sul cuore. La vicina Albania, con la quale disidera, se eletto, raggiungere l’unificazione tramite un referendum. “La frontiera tra i nostri due paesi è stata decisa nel 1913 dalle potenze europee. Il Kosovo è uno Stato, geograficamente parlando, ma la nostra nazione resta l’Albania. La nostra lingua, la nostra cultura, la nostra religione e la nostra storia appartengono all’Albania”. A Kurti non piace essere definito come un “kosovaro di etnia albanese”. “È il concetto di etnia che ha devastato i Balcani. Sottolineare le differenze può solo portare all’intolleranza. Bisogna iniziare da ciò che abbiamo in comune”.
L'intervista è stata realizzata nel mese di ottobre 2012.
Translated from L'alternative au Kosovo : une vie de merle ?