IL RUGBy, UNO SPORT PER PERSONE NORMALI?
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Il rugby in Italia è uno sport non maggioritario, che però sta vivendo una fase di esposizione mediatica senza precedenti. Tanta gente è interessata a questo sport, specilemente a quei rocciosi campioni che si vedono giocare in televisione, ma come viene vissuto dai bambini, dai giovani, dalla gente "normale" che lo pratica?
Gli Azzurri sono ormai presenza stabile nel torneo delle Sei Nazioni, e da anni alcuni club italiani giocano contro i migliori francesi e celtici. Il livello è quindi buono, anche se non è ancora al pari delle migliori compagini mondiali (per esempio Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, Inghilterra). Nel ranking mondiale IRB (International Rugby Board) l'Italia è 13a, poco sotto le Isole Fiji.
In televisione si vedono questi giocatori, professionisti, simili a bronzi di Riace, darsele di santa ragione e non di rado si sentono, tra i non appassionati o tra coloro i qualisi sono avvicinati da poco a questo sport, domande del tipo: “Ma davvero anche i bambini e i ragazzi ci giocano?”, “Ma non si fanno male?”, “Ma passano tutto il giorno in palestra? E lo studio, il lavoro?”, “Questi sono professionisti, chi diavolo ve lo fa fare se non vi pagano un soldo bucato?”.
Proviamo a capirlo, chiedendo a qualche praticante come si vive, nel “mondo reale”, questo sport.
Il rugby è a livello mondiale uno sport professionistico solo dal 1995. Prima chiunque ricevesse un pagamento in via ufficiale da chiunque per giocare veniva sospeso dal gioco, a vita. Dall'avvento del professionismo in poi invece, il sistema de pagamenti è divenuto più simile a quello degli altri sport come il basket, il calcio, la pallavolo. In Italia gli ingaggi sono comunque molto più bassi di quelli calcistici, mentre in Francia o Inghilterra, per fare un paragone, le paghe sono nettamente più alte.
Nel rugby italiano, gli unici giocatori realmente professionisti sono coloro che militano in squadre del girone di Eccellenza o in Celtic League (ora chiamata RaboDirect Pro 12). Dalla Serie A1 (l'equivalente della Serie B calcistica) in giù si è alla meglio semi-professionisti; i giocatori sono in pratica degli appasionati amatori. Nella migliore delle ipotesi vedono dei rimborsi spese a fine mese per le trasferte, o ricevono qualche piccola agevolazione dalla società.
Alla domanda “Hai delle entrate o dei rimborsi spesa?”, Enrico Macor, 21 anni, studente universitario dell'Università di Firenze e giocatore di rugby, risponde: “Gioco in Serie A1 con la Rugby Udine, mi alleno qui a Firenze e poi torno su nei week-end, percepisco un piccolo rimborso; quel poco che mi basta per non dover pesare troppo sui miei genitori, visto che studio fuori sede.”
Quando gli ho chiesto: “Vedi un futuro come giocatore professionista?”, Enrico mi ha risposto: “Ormai no, devo pensare a studiare e a costruirmi un futuro. Certo sarebbe bello vivere solo di rugby, ma è difficile se non giochi per squadre blasonate come la Benetton Treviso, le Zebre di Parma o, in generale, nel campionato di Eccellenza.”
La maggioranza dei giocatori giovani, non inseriti nel sistema delle Accademie Federali, finite le scuole superiori e le giovanili si ritrova, a dover cercare un lavoro oppure andare all'Università, spesso fuori sede. Anche i giocatori più “anziani” e gli allenatori devono spesso coniugare, in qualche modo, uno o più lavori e la loro passione, il rugby. Alla domanda “Come ti trovi ad andare all'Università e, al contempo, a giocare a rugby?”, Enrico risponde: “Dopo una giornata in università a seguire le lezioni per me andare ad allenarmi e giocare altro non è che un piacere, un modo per staccare e rilassarmi. Non lo trovo faticoso, l'importante è sapersi organizzare".
Il rugby è uno sport che si sta rapidamente diffondendo tra i più piccoli, e sempre più genitori mandano i propri figli su campi fangosi a correre dietro a palle ovali e loro coetanei. Cominciare da piccoli è il modo migliore per affrontare la paura in questo sport: se cominciate a prendere qualche botta e a "farvi male" da piccoli, o a ricevere e fare placcaggi, tutto ciò in pochi anni diventerà naturale, e non vi farà paura. I giocatori che invece cominciano più avanti, tipo sui 15-16 anni, fanno più fatica a togliersi di dosso la "paura reverenziale" del dolore (anche chiamata istinto di conservazione).
Anche io sono un rugbista, anche se adesso lontano dal campo da qualche di tempo; perché chi diventa un rugbista, con sacrificio e sudore, poi resta rugbista sempre. Questo è uno sport che insegna valori importanti come il sacrificio, lo spirito di squadra, il “non arrendersi mai”, e che tempra lo spirito. Certo, come ho detto bisogna diventare rugbisti, e questo prende tempo. Io ho anche cominciato "tardi", a 16 anni, e per entrare nella mentalità giusta, anche solo per “capire” veramente il mio posto in campo ci ho messo un anno e mezzo, nelle giovanili della Rugby Udine. Un periodo in cui un forte interesse si è trasformato in una passione importantissima, grazie soprattutto ai miei compagni di squadra e agli allenatori.
La squadra è importantissima, visto che con essa si trascorrono i 2 o 3 allenamenti settimanali, le lunghe trasferte in corriera, le partite domenicali e i famosi terzi tempi. Il tempo che si trascorre più volentieri è però il tempo al di fuori dai campi da gioco, in compagnia. Dopo qualche tempo, il legame che si stabilisce tra i giocatori diventa qualcosa di molto profondo e duraturo, e non di rado, indissolubile. Al riguardo Enrico afferma: “Quando giochi a rugby da molti anni, arrivi ad essere in prima squadra con i tuoi amici d'infanzia, allora percepisci la squadra proprio come una specie di famiglia: con essa attraversi momenti di difficoltà e di gioia, mentre cerchi di raggiungere un obiettivo comune. Per me la squadra è proprio una seconda famiglia.”
Il bello di questo sport è che ne esistono le più disparate varianti: rugby a 15, a 13, a 7, a 5, Touch Rugby (cioè non placcato), Wheelchair Rugby (su sedie a rotelle), Beach Rugby da giocare sulle spiagge, Snow Rugby sulla neve e Rugby Femminile per le ragazze.
Esistono in tutta Italia anche dei team di Old Rugby, (chiamato "Veteran's Rugby" in inglese) che raggruppano tutti quelli che non riescono a smettere di giocare, senza limiti d'età, dai 35 anni in poi. Vi sono chiaramente alcuni accorgimenti in termini di regolamento, che consentono anche a chi non ha più, compatibilmente con l'età, una forma fisica eccellente, di scendere in campo. Si può essere “placcati” solamente fino ai 59 anni, di lì in poi solo abbracciati o ostacolati ponendosi di fronte a loro a braccia aperte. Il tutto fatto per il gusto, totalmente amatoriale e largamente non competitivo, di giocare assieme e ritrovarsi con vecchi amici, e incontrare altri appassionati in campo e fuori, davanti a qualcosa di buono da mangiare.
A proposito: le squadre di Old rugby sono note per fare dei gran bei terzi tempi ricchi di birra, salsiccie, pasta al sugo, panini, cotolette, birra... ho dimenticato per caso la birra?
In sostanza:
Il mio consiglio? Lasciate i preconcetti sulla violenza sul comodino e andate al campo di rugby più vicino. Non lasciatevi trarre in inganno dal campo mal messo, dagli spogliatoi angusti o dalle tribune modeste. Andateci e provate a giocare, perchè in fondo è un gioco, perseverate: potrebbe essere una delle scelte più giuste della vostra vita. E se invece non credete di porter giocare questo sport, andate a sostenere la squadra della vostra città, a loro farà piacere potervi conoscere e accogliere nella loro “famiglia”.