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Il riflesso dell'Europa sull'oro delle statuette

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La lotta per la conquista degli Oscar é stata come ogni anno un evento planetario. Ma cosa significano gli Oscar per il cinema europeo?

Seguita da oltre un miliardo di persone, in più di 70 nazioni, una cerimonia che va oltre i confini statunitensi, riuscendo con il suo glamour e il suo fascino ad essere considerata uno spettacolo ineguagliabile: è la notte degli

Oscar, anche quest'anno riconfermatasi uno degli spettacoli mediatici più seguiti al mondo.

In quali mani é quest'anno la statuetta? e l'Europa quanto ha contato nella notte magica di Holliwood?

Un premio ambitissimo che esercita su tutti grande fascino, un premio però non senza debolezze e vizi, che si porta dietro anni di equivoci, di capolavori non riconosciuti (ricordo che nel '56 "Il giro del mondo in 80 giorni" sconfisse "il Gigante", nel '71 "Il braccio violento della legge" sconfisse "Arancia Meccanica" e, in ultimo, "il Gladiatore" ha vinto su "Traffic").

L'Academy insomma sembra sacrificare la provocazione sociale e politica, l'innovazione, la trasgressione e l'originalità sull'altare del politically correct, privilegiando valori giusti e belli, e tendendo fortemente a privilegiare la tradizione. Forse i troppi compromessi a cui dare ascolto impediscono scelte obiettive e causano dimenticanze enormi, tanti errori... troppo mercato, troppa politica!

E quest'anno? In Europa chi ha fatto la parte del leone in quanto a nomination è stato il luminoso film del francese Jean-Pierre Jeunet, "Il favoloso mondo di Amèlie", in gara, tra l'altro, come miglior film straniero. Invece c'è stata delusione per l'Europa e la Francia per la mancata vittoria, con non poco riconoscimento però per il grande film No man's land (Bosnia-Erzegovina).

In Italia l'amarezza è per la mancata nomination di Nanni Moretti, il grande escluso. L'Academy sembra preferire sempre gli Italiani più tecnici,

costumisti e montatori. Forse La stanza del figlio troppo simile al film di Todd Field "In the bedroom"?

Ci "consoliamo" con la Palma d'oro vinta da Moretti, che per un autore credo sia in fondo il premio più ambito e desiderato. Per Amélie, almeno, la gara c'è stata; forse anche per il suo più facile appeal. Lo sguardo di Audrey Tautou

ci ha riportato tutti in un mondo protetto di cui c'è un grande bisogno: le sue scarpette di vernice, le pettinaturine con fiori e mollette, e i suoi golfini colorati ci hanno trasportato all'interno di un fumetto, in un mondo irreale che

ha avuto la capacità di allegerirci dalle grandi angosce del momento.

Oltre Oceano una ragazza che ha deciso di dedicarsi alla felicità del prossimo non ha convinto del tutto; ma l'Europa, pur attratta dalla statuetta, riesce a non risentire dei canoni hollywoodiani per quanto riguarda la sua inconfondibile produzione "d'autore".

Poche lacrime, dunque, per un premio che ha le sue crepe e che rappresenta sempre più l'archivio dei valori americani, finendo poi per proclamare pellicole dell'anno non necessariamente le migliori sotto il profilo artistico.

I nostri miti rimangono Cannes, Berlino e Venezia. Hollywood è solo una sfida in più.