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Il problema turco

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Ottavio Di Bella

La Turchia sembra raggruppare, nel bene e nel male, tutte le contraddizioni di questa nozione d’Europa, allorchè si viene a decidere una svolta incontestabile. La marcia verso sud-est di questa Europa carolingia, slavizzata dal prossimo allargamento, pone tale problema prima di quello che veràà, cioè se fidarsi o meno della grande e misteriosa Russia, di quell’universo cateriniano.

“Meglio il turbante dei turchi che la mitra dei latini”

La Turchia è ricca di una storia europea di cui non dubitare e ci fosse la necessità di ricordarlo, per questi motivi e per la sua posizione geografica di cerniera, il Consiglio d’Europa l’ha ammessa fin dall’inizio degli anni cinquanta, riconoscendola così come paese europeo, fatto che Chirac ha ricordato nel 1999: “La Turchia, per la sua storia, e non soltanto per la sua geografia, ma anche per le sue ambizioni, è europea”.

È facile ricordare le forti relazioni che l’agganciano all’Europa e ciò da secoli, (750 se si ha riguardo al governo turco). Gli ungheresi sono vicini dei turchi (uralo-alaitici), e le loro radici finnico-magiare che distinguono la lingua di questo popolo con quelle dei baschi e dei finnici come quelle dei popoli non indoeuropei, non ne hanno impedito l’integrazione nell’UE. L’arrivo massiccio che si è avuto in Europa, a seguito del prolungarsi delle grandi invasioni degli Unni nel quinto e sesto secolo, senza interruzionedelle reciproche relazioni commerciali, culturali e politiche con gli europei (nozione difficile da contornare allora, dato che la prima menzione di questa parola la si ha solo nell’VIII secolo). Questa corrispondenza si fece strada attraverso gli scambi coi bizantini che diventarono gli arbitri nella disputa dei pretendenti al trono greco ed Orhan, figlio di Osman, fondatore dell’impero turco, sposò Teodora la Bizantina, alchè gli abitanti dei Balcani resero loro la terribile frase: “Meglio il turbante dei turchi che la mitra dei latini”. Più tardi, fu Francesco I a legarsi con questo popolo, per far rispettare l’equilibrio delle forze sul continente e rendendo definitivo l’ingresso dei turchi nella scacchiera europea e facendo trattare l’asburgo Carlo V contro i turchi di Osman il Magnifico. Questa doppia situazione della Turchia, a cavallo tra due continenti e due storie, appare oggi come un handicap, come il Kemalismo può sembrare agli occhi di un certo numero di musulmani e di paesi delle regioni limitrofe. Sui Generis, questa posizione multilaterale, (politica dagli anni venti, culturale da secoli, militare soprattutto da cinquant’ anni e religiose e linguistiche da Kemal), fa di questo paese un paese proto-europeo. Deve pertanto trovare cittadinanza nell’Unione Europea?

L’Unione Europea, come l’esigono il tempo e gli uomini che l’han segnata, passo dopo passo, si definisce tramite criteri politici ed economici, e non geografici, o quasi. Su questi campi, la Turchia è ancora in una posizione intermedia, in un mondo eccessivamente comunitarizzante. Il MGK [NDLR: Consiglio di sicurezza dell’esercito composto da quattro rappresentanti del potere civile e da cinque generali] riunisce i principali responsabili del governo e tiene l’Alta Gerarchia militare. All’estremo opposto della situazione che la Francia ha conosciuto all’epoca dell’affaire Dreyfus e del passaggio dalla Repubblica dei Duchi a quella dei Professori, qui è l’esercito il garante, e se ne proclama come tale, della Repubblica e della sua laicità. E se a tre riprese, l’esercito ha preso il potere e rovesciato nel 1997 il governo di Erbakan, non fu per proclamare dei sentimenti filo europei, secondo le parole del suo mentore, Funcer Kilinç, lontano dalle speranze di modernità dei giovani turchi da prima della grande guerra.

Progressi politici sensibili

Ma le cattive annotazioni non riguardano solo l’esercito, finchè la corruzione ha la meglio. Va anche sollevata la questione greco-cipriota: 35 000 militari e 100 000 coloni turchi presenti nell’isola, divisa dal 1974, sono sicuramente di troppo ed il rifiuto di appoggiare le decisioni dell’ONU preferendo quelle di Denktash è forse mal posto. Parimenti, malgrado gli aiuti portati da Ankara in seguito al terremoto in Grecia, la nascita della Turchia moderna si è avuta tramite la sua icona guerriera, all’indomani della prima guerra mondiale e una tale relazione edipica con la Grecia immerge le sue radici nella storia e soprattutto nel diciannovesimo secolo, all’epoca delle lotte per l’emancipazione della Grecia. La situazione economica non può neanche dirsi propriamente fiorente, in un contesto mondiale di perdita di fiducia nei mercati, di crisi borsistiche e finanziarie, e più in generale di dubbio sulle potenzialità dei paesi dell’est. Le partnership con imprese di paesi europei si sono moltiplicate laddove i rispettivi legami sono sempre stati numerosi nel prolungarsi degli scambi storici senza soluzione di contitìnuità, in particolar modo con la Germania, che gioca mai la carta inconsumabile della sua posizione in una mitteleuropa mai assente dalla sua visione politico-economica. E’ soprattutto politicamente che i progressi si son dimostrati sensibili. Da due anni, son state adottate più di cento leggi, la costituzione del 1982 è stata modificata, le garanzie dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali rinforzate, la pena di morte limitata solo ai casi di terrorismo e di guerra civile o internazionale, la durata di guardia a vista portata a un massimo di 4 giorni, le misure di difesa delle libertà di stampa e di espressione moltiplicate. A livello locale, comitati per i diritti dell’uomo raggruppano in sé rappresentanti del governo e di ONG.

Gli sforzi, sebbene numerosi anche in questo campo, sembrano portare relativamente a pochi risultati. La pena di morte è solo l’oggetto di una moratoria che dura dal 1984, le lingue non turche sono autorizzate ma è ancor difficile che s’impongano, la tortura e gli atti degradanti fanno ancora parte della realtà e quattro province del sud e del sud-est conoscono ancora lo stato di emergenza, l’immunità degli agenti pubblici resta la regola, la polizia è molto potente, la censura reale, (la parola Kurdistan da bandire da ogni sostegno), sebbene denunciata da molti osservatori stranieri.

Partnership rinforzata

La Turchia è un mezzo che viaggia fuori asse, il percorso di un’ellisse. È tuttavia chiaro che il paese ha un ruolo strategico e politico da giocare nella sua regione e vedrebbe il suo posto in seno ad una nuova stagione riformatrice in funzione dell’ingresso nell’UE. Se i sospetti circa la natura predomintante musulmana del problema, si rivelassero fondati (il 95% della popolazione del paese è musulmano), non bisognerebbe certo “considerare la Turchia come eterna vittima del razzismo europeo” riprendendo Dominique Barthes. La partnership dev’esser rinforzata, anche se i legami si son già incrementati. Il Programma Nazionale per l’Adozione dell’Acquis (PNAA), la partecipazione al programma ambientalista Life III ed ai progetti del quinto programma comune di Ricerca e Sviluppo rappresentano degli inizi. La cooperazione finanziaria, (Meda II per il 2000-2006), deve’esser appoggiata, com’è stato per gli aiuti alla cooperazione, (1 miliardo in donazioni e 2 miliardi in prestiti), il decentramento dell’esecuzione dei poteri e gli aiuti per le catastrofi naturali e per i bisogni essenziali, (programma Eco). La partnership deve intendersi economicamente e culturalmente, mentre l’integrazione del paese da ormai cinquant’anni nella NATO, assicura legami stretti in seno all’organizzazione. Questa soluzione potrebbe mettere in piedi allo stesso modo l’idea di uno shock fra civiltà e potrebbe costituire un termine medio appropriato e necessario tra un’Europa fortezza ed un’Europa spongiforme, (a quando l’integrazione della Russia?), a meno di mutazioni enormi nei pretendenti e nella papabile evoluzione delle condizioni storiche. In un clima post 11settembre e di impegni reciproci tra popoli così contrassegnati dalla storia al limitare di un secolo che sarà religioso o non sarà, come avrebbe detto Malraux, l’entrata nell’Unione europea ubbidisce essenzialmente a preoccupazioni politiche, contraddistinte da sovra-rappresentazione e da una meta-mediatizzazione di concetti volgarizzanti: e alla Turchia permette di giocare a pieno la carta della cristianità europea in opposizione alla sua religione come mezzo di pressione. Ma si può pur concludere che la Politica ha delle ragioni che la Politica non conosce.

Translated from Le problème turc