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Il popolo europeo è nato l'11/03

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Dolore, paura, determinazione: la coscienza collettiva europea è nata dopo gli attentati di Madrid.

Tre minuti di silenzio per le vittime di Madrid. Dalle sirene di Parigi alle campane di Dresda, dalle onde di Radio Vaticano al colpo di cannone di Zagabria. Dal Parlamento di Strasburgo alla Commissione di Bruxelles. L’Europa si è ammutolita come un unico popolo. Nato nel dolore.

Dopo essersi lacerate a vicenda per secoli, le nazioni europee hanno deciso di creare “un’unione sempre più stretta fra i loro popoli”. Con il muro di Berlino sono cadute le ultime vestigia delle guerre intestine. L’allargamento dell’UE dovrebbe consentire di abbandonare una volta per tutte le stimmate politiche di una divisione ricevuta in eredità. Ma se i conflitti armati appartengono al passato e le antiche frontiere tendono a smussarsi, l’unità europea è ancora lontana: da Nizza in poi, ogni summit europeo si è trasformato in una fiera dell’accaparramento, dove, tanto per comodità quanto per mascherare le proprie contraddizioni, ognuno denuncia la cupidigia degli altri per far dimenticare il proprio misero nazionalismo.

Eppure, già si sente un fremito nuovo. Che, contrariamente alla costruzione europea tradizionale, non sboccia dai cervelli delle élites eurofile riunite in conclave o da funzionalisti illuminati. Una coscienza collettiva europea vede la luce e si fa strada nell’identità degli abitanti del vecchio continente, tra nazionalismi ottusi e regionalismi rapaci. Forse è stata concepita nel pensiero di filosofi come Habermas o Derrida. Quel che è certo è che ha preso forma durante le manifestazioni di piazza che hanno unito gli europei nel febbraio 2003, nel rifiuto corale di una guerra in Iraq, guidata dagli USA in nome di valori comuni all’Occidente, ma con mezzi nei quali gli europei, in fondo, non si riconoscono. Si è concretizzata nei sondaggi: secondo l’Eurobarometro, nel febbraio 2004, il 77% degli europei era alquanto favorevole all’adozione di una Costituzione da parte dell’Unione Europea.

Sentimenti comuni

L’ultima tappa è stata Madrid. Ha poi preso vita nel lutto comune per le vittime dell’11/03 e nelle manifestazioni di solidarietà che hanno seguito il dramma. Ci sono state, certo, le reazioni ufficiali: le dichiarazioni indignate, le bandiere a mezz’asta, il minuto di silenzio al Parlamento Europeo, e la grande manifestazione di venerdì a Madrid, in cui abbiamo visto numerosi leaders nazionali ed europei, come Prodi, Berlusconi, Raffarin, Fischer ed altri. Per opportunismo forse, sicuramente per compassione. Perché il terrorismo avrebbe potuto colpire anche a casa loro.

C’è stata anche la solidarietà individuale e collettiva: le notizie che si ricevono dagli amici, gli sms, i sit-in davanti alle ambasciate, l’incredulità condivisa, il dolore comune. E tre minuti di silenzio, lunedì scorso: quelli degli alunni dell’Irlanda del Nord, o quelli dei reattori degli aerei all’aeroporto di Heathrow.

Le espressioni abbondano: da “siamo tutti spagnoli” a “11 settembre europeo”. I popoli d’Europa vivono sentimenti comuni. Purtroppo non bisogna rallegrarsene: sono il dolore davanti alla morte, la paura davanti alla barbarie. Gli europei hanno una coscienza comune: quella di essere costantemente vulnerabili agli attacchi di chi non ha rispetto né per la vita umana né per la democrazia. E hanno una determinazione comune: quella di lottare insieme contro il flagello del terrorismo. Pronto a colpire ancora.

Il popolo europeo è unito in questa certezza: le frontiere non lo proteggeranno dalle bombe e dagli assassini. I suoi dirigenti ne prenderanno forse coscienza: come Zapatero, prossimo inquilino a sorpresa della Moncloa, che dichiarava: “il mio impegno è di lavorare per unire l’Europa, per dotare l’Europa di una Costituzione per tutti”. Il popolo europeo è nato nel dolore. Da Parigi a Dresda… Dai tre minuti di silenzio per le vittime di Madrid. Adesso bisogno farlo crescere.

Translated from Trois minutes de silence