Il muro messicano per criminali ‘made in USA’
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La CIA e gli Stati Uniti crearono negli anni ’80 e ‘90 i criminali che oggi Trump vende come problema prioritario.
Durante un’intervista da neo-eletto presidente degli Stati Uniti, Trump ha affermato di voler deportare 3 milioni di immigranti illegali, rinegoziando la cifra di 11 milioni annunciata in campagna elettorale. Così facendo si avvicinerebbe al numero di deportazioni avvenute in otto anni dal predecessore Obama che, con 2,5 milioni, detiene il record assoluto di deportazioni nonché il raddoppiamento del personale di controllo delle frontiere.
La ‘costruzione’ (continuazione) del muro è motivata dall’ingresso clandestino di immigrati attraverso la frontiera sud con il Messico. L’indignazione di voler far pagare la costruzione al governo messicano è dovuta anche al fatto che il Messico è un paese di transizione, come la Libia per l’Italia, per la maggior parte dei migrati irregolari provenienti dal resto dell’America Latina verso gli Stati Uniti.
Il muro e le deportazioni annunciate da Trump continueranno il processo di destabilizzazione dei paesi centroamericani de El Salvador, Honduras e Guatemala. Non solo non risolveranno il problema della criminalità, ma consolideranno il potere delle gang latine negli Stati Uniti da cui Trump intende difendere i suoi cittadini, replicando l’errore di Bill Clinton negli anni ‘90.
L’immigrazione illegale di cittadini messicani negli Stati Uniti rappresenta tutt’ora più della metà della popolazione “non-documentata”, anche se negli ultimi anni è in diminuzione il numero di messicani attraversano la frontiera statunitense, legalmente ed illegalmente. Mentre è cresciuta l’immigrazione dal cosiddetto Triangolo Nord, ovvero i tre paesi di El Salvador, Guatemala ed Honduras.
Dal 2014 al 2016, 100.000 minorenni Centro-Americani sono emigrati per trovare rifugio negli Stati Uniti, in fuga dalla povertà e da una società estremamente violenta dovuta al dilagare delle organizzazioni criminali e le loro reti transnazionali con gli USA. I tre paesi sono infatti tra i più violenti al mondo, con El Salvador che negli ultimi anni ha registrato il più alto tasso di omicidi al mondo nell’emisfero nord (paese in cui ogni 100,000 abitanti si registrano 93 omicidi, contro lo 0,79 in Italia e 5,5 in USA).
Le deportazioni non sono affatto un fenomeno nuovo per gli USA, e le loro conseguenze si sono rivelate più dannose di quanto governi, tanto democratici che repubblicani, pensassero. La gang Mara Salvatrucha è la più violenta e pericolosa presente oggi negli Stati Uniti ed è nata e cresciuta grazie alle deportazioni di salvadoregni durante gli anni ’90. A quel tempo El Salvador usciva da un decennio di guerra civile devastante, caratterizzato dalla diffusa e sistematica violazione dei diritti umani da parte del governo, appoggiato militarmente dagli stessi Stati Uniti. Negli anni ’80, infatti, l’allora presidente repubblicano Ronald Reagan, investì un miliardo di dollari per sostegno militare del governo del Salvador ed i suoi “Squadroni della morte”. L’obiettivo era evitare che El Salvador, il Guatemala e l’Honduras, diventassero governi comunisti seguendo l’esempio del vicino Nicaragua e di Cuba. L’amministrazione Reagan e la CIA mandarono armi, forze speciali e ‘know-how’ militare per evitare, ad ogni costo, che le rivoluzioni marxiste del centro america andassero a buon fine, come parte del piano che oggi viene ricordato come ‘Dottrina Reagan’. Il risultato fu che ne El Salvador, il 95% delle 80.000 vittime durante la guerra civile avvenne per mano del governo militare sostenuto dalla CIA e Stati Uniti.
Curiosamente, parte del programma di guerra psicologica e propaganda di guerrilla (PSYOP) usato in Centro America negli anni ‘80 dalla CIA verrà poi replicato in Iraq per aiutare gli USA a far cadere Saddam Hussein e mantenerne il controllo negli anni successivi.
In quest’ultimo caso, più o meno sorprendentemente, l’effetto è stata una ‘Salvadorizzazione dell’Iraq’, che ha poi portato all’effetto indesiderato di creare milizie estremamente violente che, una volta caduto Saddam, unite in parte si sono unite allo Stato Islamico. Sia in El Salvador che in Iraq, l’educazione alla violenza sistematica delle milizie paramilitari impartite dalla CIA è stata una delle cause della nascita delle gang latine a Los Angeles e dello Stato Islamico in Iraq.
Nel 1989, con la fine della guerra civile e della Guerra Fredda, iniziarono le migrazioni dei paesi centro americani verso gli Stati Uniti. A Los Angeles, in 10 anni, arrivarono circa 300.000 immigrati di ogni età in fuga da El Salvador. Analogamente arrivarono anche dal Guatemala dove, sempre durante l’amministrazione Reagan, si consumò un genocidio della popolazione indigena, discendenti dei Maya, con dinamiche molto simili a quelle del Salvador. Il risultato furono 200.000 vittime e fosse comuni che si stanno ancora oggi scoprendo nella selva Guatemalteca.
La promozione della violenza da parte della CIA in Centro America ha creato una diaspora che si è poi trasformata nella spina dorsale delle gang di ‘Latinos’ che oggi terrorizzano molti americani ed aizzano i sostenitori di Trump. Un aiuto sostanziale al potenziamento delle organizzazioni criminali arrivò con le deportazioni degli anni ’90, durante l’amministrazione (Bill) Clinton: decine di migliaia di centro-americani, molti dei quali cresciuti negli Stati Uniti e che quindi non conoscevano i loro paesi d’origine, furono trasferiti in maniera coatta in El Salvador, Guatemala ed Honduras. Tra questi v’erano membri delle gang, ma anche adolescenti che avevano violato la legge commettendo reati minori. Tutti si trovarono improvvisamente in un paese di cui avevano solo ricordi legati alla guerra, e da cui i loro genitori fuggirono pochi anni prima. Con un tessuto sociale già devastato, alle autorità salvadoregne non veniva specificato, da parte del governo USA, chi fossero queste persone. Non v’era cioè distinzione tra chi era stato deportato per aver guidato in stato d’ebrezza e chi invece era un pluriomicida. Gang come la Mara Salvatrucha reclutarono molti ragazzi disperati e disorientati, educandoli alla violenza e alla criminalità, creando così una rete internazionale tra San Salvador e Los Angeles, che si è estesa nell’ultimo decennio arrivando fino in Europa.
“In questo paese ci hanno insegnato a uccidere la nostra stessa gente, non importa se fosse del tuo stesso sangue. Se tuo padre era il nemico, dovevi ucciderlo. Così l’addestramento ricevuto durante la guerra nel nostro paese ci è servito per trasformarci in una delle gang più violente degli Stati Uniti”
Ernesto Miranda, o ‘Smokey’, membro fondatore della Mara Salvatrucha MS13
Il costante stato di violenza e instabilità degli stati del Salvador, Guatemala ed Honduras governati dalle gang, ha portato l’amministrazione Obama a firmare nel 2015 l’APNT, un programma per lo sviluppo economico che costerà 1 miliardo di dollari al governo USA, molto meno dei 10 miliardi che Trump vuole investire nella costruzione del muro tra Messico e Stati Uniti, ingresso naturale per le rotte degli immigrati latinoamericani. Il governo de El Salvador ha infatti accusato gli Stati Uniti di deportare criminali che continuano ad alimentare la violenza e destabilizzare il paese che, dalla guerra degli anni ’80 in poi, non ha mai trovato pace.
Una ricercatrice e psicologa salvadoregna ha commentato al giornale The Nation che “gli Stati Uniti hanno contribuito molto alla distruzione del tessuto sociale la cui assenza ha dato vita alle maras” e continua “idealmente, gli USA dovrebbero iniziare un processo simbolico di riparazione, chiedendo realmente perdono alla popolazione salvadoregna per aver sostenuto una guerra così sanguinaria”.
Parte della campagna elettorale di Trump si è concentrata sulla lotta all’immigrazione clandestina attraverso il Messico, dove il presidente degli Stati Uniti ha recentemente firmato per il rafforzamento del muro già esistente oltre che ad un programma di deportazione massiva di immigrati irregolari. Al di là della campagna di marketing basata sull’identificazione di un problema per cui Trump propone una formula già applicata dai suoi predecessori, è importante per l’Europa capire i rischi annessi all’approccio demagogico americano sulle politiche d’immigrazione. Un modello costruttivo USA a lungo periodo, non c’è stato in sostanza fino ad oggi, e con Trump non lo è più nemmeno nella forma.