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Il mondo di Banana Yoshimoto (Giorgio Amitrano)

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di Tendarossa Amitrano, che insegna lingua e letteratura giapponese all'Orientale di Napoli, ha tradotto in italiano - per la Feltrinelli - gran parte dei lavori dell'autrice di Kitchen (oltre che di altri scrittori made in Japan).

Si tratta della riedizione, riveduta e aggiornata, di una piccola guida già uscita nel 1999 - praticamente un testo imperdibile per tutti gli appassionati dei romanzi di Banana Yoshimoto.Amitrano scrive molto bene, tant'è che un dubbio sorge spontaneo: a star lì a tradurre una grande scrittrice come la Yoshimoto si affina per forza di cose il proprio stile, oppure è proprio bravo di suo Amitrano, ed è la Yoshimoto che magari nella traduzione ci guadagna?Un dubbio, questo, che viene inevitabilmente e legittimamente. Come ogni volta che si legge un autore non direttamente in lingua, originale ma in traduzione. Non si può fare a meno di chiedersi quanto conti nel risultato finale il "filtro" costituito dalla figura del traduttore: sappiamo ovviamente che nel passare da una lingua all'altra il testo originario perde qualcosa ma sappiamo anche (e vogliamo crederci) che guadagna delle qualità che nell'originale non aveva. Si tratta di provare a dire quasi la stessa cosa, sapendo che non potrà mai essere esattamente proprio la stessa cosa. al termine della sua traduzione del spiegò: «Non credo che Kafka mi sia molto affine. Spesso, in questo lavoro di traduzione ho provato la sensazione di una collisione, di un conflitto, della tentazione immodesta di sciogliere a modo mio i nodi del testo: insomma, di correggere, di tirare sulle scelte lessicali, di sovrapporre il modo di scrivere a quello di Kafka. A questa tentazione ho cercato di non cedere». Il problema è quello di sovrapporsi, scrive Levi, di rendere comprensibile l'incomprensibile. Ci si potrebbe domandare se nel tradurre, essere a propria volta uno scrittore, non sia più d’ostacolo che d’aiuto: e se si scrivesse al posto dell’autore che si va traducendo?

Primo LeviProcesso di Kafka

Recentemente ha tradotto l'. In un'intervista colpisce in particolare una sua dichiarazione: «Ci sono anacronismi lessicali nella mia traduzione, davanti ai quali in genere i traduttori si fanno degli scrupoli terribili (...). Io non aggiorno eventi usi e culti di Virgilio ai giorni nostri, però uso un lessico più libero, più semplice, senza utilizzare quella predominazione scolastica che sembra obbligatoria. Virgilio non è un poeta fatto per infliggerlo ai nostri licei, perciò quella assurdità ho cercato di evitarla e ho tentato di fare una traduzione adeguata, perché io ritengo che se la traduzione di un testo bellissimo non è bella, la traduzione è sbagliata». L’ultima affermazione pone un bel problema di adeguatezza: la traduzione bella di un bel testo è corretta, la traduzione bella di un brutto testo non lo è?

Vittorio SermontiEneide