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Il mondo attraverso la lente del World Press Photo 2015

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Firenze

Un appuntamento annuale che è capace di catalizzare l'attenzione dei fotografi di tutto il mondo e non solo. Migliaia di immagini che raffigurano situazioni più disparate, dalla guerra allo sport, dalla vita quotidiana alla politica, da momenti di gioia a momenti drammatici: è il World Press Photo che raccoglie le migliori immagini pubblicate durante l'anno e che hanno contribuito a raccontarlo.

Il 12 febbraio sono stati annunciati i vincitori del World Press Photo 2015 – concorso internazionale di fotogiornalismo promosso dall'omonima organizzazione no-profit olandese – e il premio “Photo of the Year 2014” è stato assegnato al danese Mads Nissen per uno scatto tratto dal suo reportage “Homofobia”. Il 36enne collaboratore del giornale “Politiken” ha affrontato il tema dell'omofobia in Russia in seguito all'approvazione nel 2013 delle leggi contro gli omosessuali, immortalando momenti di violenze e discriminazioni subite dai gay.

La foto dell'anno

Nel suo reportage Nissen ha dato spazio anche a scatti più intimi e delicati, come quelli che ritraggono scene di amore tra coppie omosessuali, e proprio uno di questi è quello che ha catturato il favore della giuria internazionale, chiamata a giudicare 97.912 immagini di 5.692 fotografi provenienti da 131 nazioni diverse. «Oggi i terroristi utilizzano per la propaganda immagini violente. Noi dobbiamo rispondere con qualcosa di più sottile, intenso e riflessivo», si legge tra le motivazioni che hanno portato alla decisione di premiare la foto che ritrae Jon e Alex in un momento di intimità. Nello sguardo intenso e pieno di sentimento del ragazzo sulla sinistra (Jon), si legge un messaggio di amore universale che supera qualsiasi barriera e qualsiasi ostacolo imposto dal pregiudizio e dall'odio per il diverso, sentimenti largamente presenti in Russia nei confronti della comunità omosessuale. Ma non solo, come ha detto Alessia Glaviano, unico membro italiano della giuria, «La foto ha un messaggio dell’amore come risposta a tutto quello che sta accadendo nel mondo. È sull’amore come tema globale, in un senso che trascende l’omosessualità. Ci dà un messaggio sul mondo, non solo sull’omosessualità ma sull’equità, sul genere, sull’essere bianchi o neri, sui temi legati alle minoranze». Una scelta che sembra proseguire la tendenza già delineata nella precedente edizione di questo prestigioso riconoscimento, quando il primo premio è andato ad una fotografia della categoria “Contemporary issues” preferendola ad immagini dei conflitti internazionali o che raffigurassero scene di violenza esplicita. Una scelta che, per quanto corroborata da motivazioni più che valide, lascia qualche perplessità a fronte delle altre numerose fotografie premiate che sembrano avere una carica ed una forza espressiva ancora più forte. 

Le altre opere in concorso

Il photo-project dell'iraniana Fatemeh BehboudiMothers in patience” ha ricevuto una menzione speciale tra le “Contemporary issues”, ma non è riuscito ad ottenere un premio nonostante la sua intensità. Le immagini ritraggono le madri di migliaia di soldati iraniani che da più di 25 anni attendono notizie dei propri figli, tuttora considerati dispersi in seguito alla guerra con l'Iraq degli anni '80. L'argomento non è sicuramente il massimo dell'originalità, poiché la guerra e il dolore che essa provoca in chi (suo malgrado) la subisce sono uno dei temi più inflazionati dalla nascita del fotogiornalismo. Tuttavia questi scatti racchiudono in sé una carica patetica molto forte, con un taglio fotografico perfetto per far sprigionare al meglio il loro messaggio.

Il reportage vincitore del secondo premio tra i foto-progetti è stato realizzato dall'italiano Giulio Di Sturco e porta dentro di sé un'idea estremamente originale. Il 36enne milanese affronta lo sviluppo politico-economico cinese attraverso la lente del settore cinematografico, ossia con le immagini dai set di film prodotti in Cina. Qui il mercato del cinema è in continua espansione e rappresenta a pieno il recente boom economico di cui gode Pechino e che, nel giro di un lustro, dovrebbe portare il Paese a superare gli Stati Uniti come prima potenza mondiale. Il cinema in particolare rappresenta uno degli emblemi con cui la potenza americana ha potuto affermare la propria egemonia culturale – ancor prima che economica – nel mondo, diffondendo il proprio modello di vita attraverso le pellicole di Hollywood. Per questo, affrontare il tema dell'espansione cinese attraverso il cinema ha una doppia valenza ed un doppio merito di originalità.

Infine un altro reportage degno di nota è quello della statunitense Darcy Padilla (“Long-term projects”, primo premio “Stories”) che pone al centro la vita di Julie Baird, seguendo le sue vicissitudini dal 1993 al 2014. Ventuno anni trascorsi tra povertà, AIDS, droghe, alloggi di fortuna, numerose relazioni e figli puntualmente sottratti dallo Stato della California. Infine anche il carcere ed il sesto figlio avuto dal suo compagno Jason, l'unico che la donna è riuscita a mantenere sotto la propria tutela. Sono immagini forti, scioccanti, senza “peli sulla pellicola”, che mettono a nudo la drammaticità di un'esistenza condotta tra difficoltà e disagio, capaci di far calare lo spettatore nella realtà rappresentata, come se stesse assistendo in prima persona a quelle scene di vita. E quando delle fotografie raggiungono tale obiettivo, il reportage può dirsi perfettamente riuscito.

Riflessioni a margine: la post-produzione

Molte immagini sono state escluse dalla risma delle potenziali vincitrici, non venendo nemmeno giudicate, a causa di un massiccio ritocco in post-produzione certificato da un'equipe di esperti. Alcune portavano la firma di autori famosi e si candidavano prepotentemente ad ottenere posizioni di livello. «Non potevo credere che alcuni dei più grandi nomi della fotografia avessero fatto questo», ha dichiarato Patrick Baz, membro di Agence France-Presse e giurato del concorso. L'esclusione ha riguardato addirittura circa il 20 per cento delle fotografie.

È difficile analizzare questa controversia senza sapere quanto effettivamente massiccio possa essere stato l'utilizzo del foto-ritocco per queste immagini. Tuttavia credo che la questione meriti una riflessione concettuale generale. Tutto sta nel decidere come si debba considerare la fotografia. Da fotografo, a me piace considerarla una forma d'arte e, come tale, ritengo che l'artista debba avere la possibilità di valorizzare al meglio il proprio prodotto con tutti i mezzi a sua disposizione. Il fine ultimo dell'arte deve essere quello di veicolare un messaggio nel modo migliore possibile, ed ignorare che nell'epoca digitale la post-produzione sia una parte integrante e fondamentale della fotografia risulta controproducente oltre che anacronistico. Sarebbe come vietare l'arte contemporanea, fatta di qualsiasi tipo di oggetti, in nome della nobiltà dello scalpello sul marmo o del pennello sulla tela.

Questo non significa che il fotografo sia legittimato a stravolgere completamente uno scatto, soprattutto quando si tratta di fotogiornalismo che dovrebbe limitarsi a raccontare la realtà, tuttavia ritengo sia addirittura doveroso utilizzare gli strumenti digitali per migliorare la forza del messaggio che egli ha voluto veicolare nel momento in cui ha catturato l'istante voluto con il movimento dell'indice.