Il linguaggio contro l'islamofobia
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Federica ArcibuonoIl gruppo terroristico Daesh (o ISIS), con i suoi attentati a Parigi del 13 novembre, è riuscito creare un rifiuto verso la comunità musulmana. In questa Torre di Babele forniamo alcune chiavi per contrattaccare e combattere l'islamofobia a partire dal linguaggio.
Dopo gli attentati di Parigi, una richiesta che esisteva già da alcuni mesi si è fatta sempre più strada tra le autorità e i media francesi: smettere di parlare di "Stato Islamico" o "ISIS" in quanto tale. Prima di tutto perché il termine "Stato" racchiude delle connotazioni di ufficialità non applicabili in questo caso: nella realtà, i territori dominati dai terroristi fanno riferimento esclusivamente alle leggi e all'amministrazione della violenza e del terrore. In secondo luogo, si tratta di voler evitare il collegamento tra terrorismo e Islam. Per questo le autorità francesi hanno chiesto di nuovo, dopo gli attentati, di evitare questa definizione.
A cosa servono le sigle IS, ISI, ISIS o ISIL?
Una cosa è certa, e cioè che tutte queste sigle sono un acronimo della definizione inglese di Islamic State (IS), Stato islamico, dunque è meglio evitarle. Tutte le altre abbreviazioni sono solo dei prolungamenti della sigla "IS". Per esempio ISI si riferisce all'autoproclamato Stato islamico in Iraq; ISIS (l'espressione più usata in Italia) risponde allo stesso gruppo terrorista ma in Siria e in Iraq; e ISIL definisce la presenza di quest'organizzazione in Iraq e nei Paesi del "Levante" (Siria, Libano, Giordania e Palestina). Quindi come dovremmo chiamare questi terroristi per evitare di collegarli all'Islam e ad uno Stato? La parola scelta a questo scopo è Daesh.
Cos'è (e cosa non è) Daesh
Meglio partire da cosa non è. A differenza di ciò che hanno sostenuto alcuni media, la parola "Daesh" in quanto tale non significa niente in arabo. Non ha nulla a che fare con la parola daes che invece ha un significato negativo, e vuol dire qualcosa di simile a "schiacciare" o "calpestare". Daesh è, semplicemente, l'acronimo del nome in arabo e l'autodefinizione degli stessi terroristi come al-dowla al-islaamiyya fii-il-i’raaq wa-ash-shaam. Che in realtà significa la stessa cosa di ISIS.
Tuttavia, sia da noi che da loro, risulta in ogni caso un termine più astratto. In Europa perché non associamo questa sigla al significato di "Stato Islamico", almeno in un modo così chiaro come con le sigle IS o ISIS, più facilmente decifrabili da tutti. Nei Paesi arabi, perché non vi è l'abitudine ad usare acronimi ed è quindi un modo di delegittimare Daesh attraverso il vocabolario: significa sminuirli linguisticamente e farli apparire come una nuova creazione che non ha riferimenti né nella storia né nella lingua araba, spiega Khaled al-Haj Salih, un attivista siriano.
Perché non dobbiamo tradurre l'acronimo?
Con gli ultimi attacchi in Europa, Daesh vuole generare odio e razzismo nei confronti dei musulmani per rompere il nostro equilibrio, per usare i nostri pregiudizi come una sorta di richiamo rivolto ai giovani in modo che si uniscano alla loro "causa". Il nostro miglior contrattacco non può essere altro che, appunto, separare completamente la loro paranoia dall'Islam. E restare uniti invece di dividere la società.
Translated from Torre de Babel: El lenguaje contra la islamofobia