Il lavoro dell’insegnante: due testimonianze
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Alessandra NespoliUn professore tedesco e un’insegnate francese raccontano la loro rispettiva esperienza: come trasmettere la passione per il mestiere? Diffenza di stipendio, condizioni di lavoro e pregiudizi. Un’intervista incrociata tra Francia e Germania.
Gernot, 32 anni, è professore di francese in un liceo della cittadina di Göppingen, regione di Stoccarda.
«Rispetto ad altri paesi europei, i professori in Germania godono di uno statuto “privilegiato”. Credo che sia dovuto a una tradizione di rispetto che esiste da sempre nei confronti di questa professione, del sapere e della cultura in generale. È anche dovuto al fatto che, in Germania, per diventare professori bisogna intraprendere studi lunghi e passare molti esami. Un professore in Germania riceve uno stipendio, al di sopra della media europea, e ha uno statuto di funzionario, il che significa che il suo posto lavoro è garantito per tutta la vita. Tuttavia non tanto tempo fa, era ancora molto comune considerare i professori dei fannulloni, dei falliti dal punto di vista professionale, persone che non sono riuscite a trovare la loro strada. Il nostro vecchio cancelliere stesso, Gerhard Schröder, definiva i professori dei somari. Negli ultimi anni i mezzi d'informazione hanno raccontato la difficile quotidianità di certe scuole e hanno iniziato a considerare con occhio più comprensivo il lavoro degli insegnanti. Oggi non ho l'impressione di essere sminuito. Certo, ogni giorno sento il buon vecchio “ah, i professori, sempre in vacanza!”, ma sul lavoro, ad esempio con i genitori dei miei allievi, percepisco rispetto e fiducia. Ed è questo, alla fin fine, quello che conta».
Orane, 36 anni, è professore di francese, in Francia.
«Credo che il lavoro dell'insegnante non sia valorizzato. Secondo me, il problema è di ordine culturale e di educazione. In gioco ci sono i valori trasmessi ai bambini, non soltanto dai loro genitori, ma anche dai mezzi d'informazione. Per molti giovani, il modello di successo non passa più per la scuola. I giovani non comprendono l'interesse della cultura, perché non ne vedono l'utilità. A ciò va aggiunto il basso potere d'acquisto degli insegnanti. Per questo la professione risulta socialmente svalutata, e gli insegnanti non possono più incarnare un modello di successo agli occhi dei loro allievi. Non sono più considerati figure autorevoli, e quindi non sono più rispettati. D'altra parte, gli insegnanti non sono “ben visti”, in quanto assimilati all’idea di “dipendente statale” quindi privilegiati agli occhi di chi lavora nel privato. L’idea dell’insegnate che lavora poco e gode di molte vacanze è ancora ancorato un pregiudizio presente. E neanche il basso livello di remunerazione degli insegnati, che non corrisponde affatto al loro livello di studi, basta a cambiare questi pregiudizi».
Translated from Interview croisée : « Un métier pas valorisé »