Il King of the Belgians va sopra le righe
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Presentato nella sezione Orizzonti, il film di Brosens e Woodworth è una sorprendente odissea, calata nell'assurdo dell'attualità.
Uno dei film più interessanti della 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non compete per il Leone d’Oro. Si intitola King of the Belgians, fa parte della sezione Orizzonti ed è un vero spasso.
Il Re del Belgio Nicolas III è a Istanbul per un incontro diplomatico, ma una tempesta solare blocca gli spazi aerei e le linee telefoniche. In quelle stesse ore la Vallonia dichiara l’indipendenza e il re decide di tornare in patria contro il volere della sicurezza turca. Questo è solo l’incipit di un’odissea che vedrà Nicolas III, il suo consigliere, l’assistente, l’addetta stampa e un videomaker attraversare le situazioni più assurde e svestirsi dei propri panni in continuazione. Svelare anche solo un altro dettaglio di questa saga sorprendente, a cavallo fra il reale e l’assurdo, sarebbe sleale.
King of the Belgians riesce a conservare il tono e la concretezza di un racconto qualunque mettendo in scena fatti straordinari, coincidenze del tutto improbabili. Complice il carattere bonario del re belga, che può finalmente dare sfogo alla curiosità come una persona normale. Dopo una vita a sorridere impettito e pronunciare parole passate al vaglio da almeno due persone e il ministro dell’interno, Nicolas III è libero di muoversi nel mondo, e non si tira indietro di fronte a nulla.
Da qui, volendo, può scaturire una riflessione sul peso delle alte cariche, in particolare delle monarchie europee, che a volte sembrano risolversi in una semplice presenza. La riflessione sull’umano dietro alla carica pubblica, in ogni caso, non sarebbe certo nuova e nel cinema è arrivata sino al papa con Habemus Papam di Nanni Moretti. Tuttavia se di solito l’accento è posto sul conflitto che la carica genera nell’uomo, in King of the Belgians lo scarto serve come motore per innescare una serie di vicende improbabili. La storia, in breve, è calata in un’attualità che va al di sopra del politically correct con naturalezza.
Tutto merito della sottile ironia, e autoironia, di Peter Brosens e Jessica Woodworth, i quali hanno scritto, diretto e prodotto il film. I due sono etrambi belgi, arrivano entrambi dal documentario e insieme avevano realizzato Altiplano nel 2009 e Khadak nel 2006. Il loro lavoro è ammirevole, tanto più che l’autoironia non si esaurisce nella sinossi o in qualche battuta sui belgi: King of the Belgians è un mockumentary, un falso documentario. Quello che inizialmente è l'autore, diventa presto il narratore per poi essere un personaggio come gli altri, e di nuovo una voce over, secondo una struttura narrativa estremamente libera.
Da vari punti di vista – trama, tono, narrazione – King of the Belgians è una rivelazione sopra le righe. Resta nel suo limbo di sottile ironia senza mai scadere in qualcosa di più basso o ambire a qualcosa di troppo alto. In sintesi, gode di una qualità rarissima nel cinema di oggi: lo sguardo fresco su un terreno poco battuto. Da vedere sicuramente.