Il crowdfunding in Europa: la folla al servizio della creatività
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Manuela VisintinIn tempi di crisi, la cultura e i media sembrano destinati alla rovina. Tuttavia, grazie a diverse piattaforme destinate a iniziative di crowdfunding, arriva una nuova svolta per la creatività. Un corso intensivo sul finanziamento partecipativo in Europa.
Le casse europee per la promozione della cultura e dell’economia creativa sono ormai vuote. I giornali chiudono, i giornalisti sono licenziati e, quando si tratta di arte e cultura, i governi non ci pensano due volte a tagliare il budget. L’organizzazione di eventi gratuiti e il download selvaggio da internet costituiscono ormai la regola; progetti innovativi falliscono a causa degli scarsi finanziamenti o si perdono travolti dall’economia del mercato, perché non risultano redditizi. Ma invece di annunciare la grande depressione, molti giovani creativi si rivolgono sempre di più al crowdfunding, per riuscire a racimolare il capitale di partenza necessario. Quanto basta per decollare.
Che si tratti di un innovativo casco da ciclista piegabile, di pornografia per scopi benefici, di una piattaforma giornalistica per la creatività delle banlieue francesi, oppure dell’album di Amanda Palmer, il metodo, considerato all’inizio alternativo, del mini-finanziamento cade a fagiolo per artisti, musicisti, organizzazioni benefiche e molti altri.
Perché è lì, dove lo stato non può più donare aiuto, che allora arriva la società, “crowd”, vale a dire la folla. E con risultati eccezionali: la serie televisiva tedesca Stromberg, ad esempio, è riuscita a "racimolare" un milione di euro nel giro di una settimana. Il crowdfunding, in costante ascesa negli ultimi due anni, potrebbe diventare un modello futuro della cultura del finanziamento. Ma a lungo termine funzionerà ugualmente bene?
Finanziamento partecipativo
Produzione comunitaria, fundraising, finanziamento 2.0, o anche finanziamento partecipativo: di certo per il fenomeno non scarseggiano i sinonimi. Ciò che si nasconde dietro queste formule è relativamente semplice: un’idea, un progetto e sostenitori convinti, di solito facenti parte della propria lista di contatti, che versano uno o pochi euro. Lo slancio iniziale viene dal circolo delle conoscenze, visto che un progetto non si finanzia da solo. La pubblicità basata sul passaparola, il più delle volte sui social network, è indispensabile per il successo del finanziamento di un progetto.
La piccola agenzia di produzione Marul Production, ad esempio, si propone di seguire nel proprio documentario, "Les naufragés de l'Evros" (letteralmente ‘I naufraghi dell'Evros’), tre migranti sul confine greco-turco. Sulla piattaforma francese Kisskissbankbank hanno preventivato un costo di almeno 1200 euro, questo perché il progetto era già stato in parte finanziato, ma mancavano ancora i costi del viaggio, le spese per un automobile a noleggio, l’alloggio e un interprete sul luogo. Nel momento in cui l'articolo è stato scritto, il progetto è stato completamente finanziato: 34 crowdfunder hanno reso possibile il viaggio di Martin e Ulysse. Quanto si aggiungerà dopo riempirà ulteriormente la cassa di viaggio.
A differenza di quello che succede con le donazioni, i crowdfunder non rimangono a mani vuote. A seconda dell’ammontare della somma necessaria, agli interessati sono offerti ricompense originali. Di solito, i responsabili del progetto ricevono denaro solo se l’obiettivo finanziario è stato raggiunto con sussidi sufficienti. Altrimenti, ai sostenitori viene restituito l'ammontare del loro investimento.
Cowdfunding europeo
Nel frattempo, le comunità di crowdfunding spuntano come funghi in tutto il mondo. Tuttavia, su questo tipo di “mini-finanziamento” domina un problema di comunicazione non da poco, spesso a spese delle piattaforme di nicchia. Queste ultime non di rado riscontrano molte difficoltà a valicare i confini locali e nazionali, ed è così che la massa si riunisce su piattaforme almeno di livello nazionale, e più generaliste, come ad esempio Startnext.de in Germania, Verkami.com in Spagna, Eppela.com in Italia, Wefund.com in Gran Bretagna e MyMajorCompany.com in Francia.
Sempre di più, però, le piattaforme promuovono, secondo il modello dei siti Kickstarter e Indiegogo negli Stati Uniti, anche progetti internazionali. Così fanno ad esempio la piattaforma multilingue con sede a Parigi, Ulule, o la piattaforma italiana Kapipal. Per gli utenti rimane però difficile coinvolgere i finanziatori: si deve pensare al progetto, scriverlo, comunicarlo, occuparsene e alla fine realizzarlo. In questo caso però non ci si ritrova soltanto con un editore, ma con una folla intera, che resta in attesa con il fiato sul collo.
Kickstsarter, il gigante del crowdfunding degli Stati Uniti, che dal suo debutto sul mercato nel 2009 ha finanziato più di 70.000 progetti con una percentuale di successo del 40%, dal 2012 si trova anche sul mercato britannico. Alexander Boucherot, co-fondatore della piattaforma Ulule, rimane nonostante ciò tranquillo: "È piuttosto semplice coprire un paese avente un proprio carattere, una lingua e un sistema transazionale, com’è anche il caso di Kickstarter negli Stati Uniti. Molto più difficile è coprire in maniera soddisfacente l’intera Europa, considerando la moltitudine di lingue, i diversi metodi di pagamento online e le culture riguardo al mecenatismo".
Il monopolio avanza
Per David Röthler, giurista e consulente di social media e progetti finanziati dall’UE, il successo di un progetto di crowdfunding dipende allo stesso modo "dall’attrattiva del progetto e dal livello potenziale di mobilitazione della comunità online. La piattaforma e la relativa organizzazione tematica e regionale giocano qui un ruolo secondario". Secondo Röthler tuttavia, a lungo termine si può presagire purtroppo un monopolio. "Si pensi che per Google, Amazon o eBay non esiste praticamente concorrenza".
Foto: copertina (cc)Incase./flickr, testo: Amanda Palmer ©kickstarter, Les naufragés d'Evros, ©kisskissbankbank; Video P-Lux (cc)PlaceLux/YouTube, (cc)Ulule/YouTube
Translated from Finanzierung im Web: Ich habe die Crowd - ihr das Funding