Il cittadino tra pubblicità e individualizzazione
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Ribellarsi contro il grande progetto di individualizzazione sostenuto dalla pubblicità è molto difficile. A farne le spese maggiori sono i più svantaggiati, consumatori fondamentali per le grandi compagnie
L’agognata indipendenza, obiettivo ultimo di ciascun abitante del mondo occidentale, non dà solo libertà, può regalare anche tristezza, noia e solitudine.
La persona che “non deve chiedere niente a nessuno” finisce per non farlo, autocondannandosi così ad un’esclusione socialmente accettata, intimamente sofferta. Nessuno stigma, nessuna paura, nessuna giustificazione. Il tempo è denaro, lo si passa a lavorare o sui social. L’attività politica non ha più nessun senso.
L’individuo è solo contro il mondo. Le sue speranze sono state privatizzate, i suoi progetti svuotati. L’ideologia non è scomparsa, ma celata dietro la patina della fine delle ideologie. La sostituzione del cittadino con il consumatore è palese, eppure continuiamo a sognare l’auto nuova e non una società migliore. Ma la colpa non è solo nostra, siamo sovra-stimolati, per difenderci dobbiamo essere attenti e consapevoli.
In Francia è sorto, ormai anni fa, un movimento che si oppone alla pubblicità (mouvement antipub). Sono liberi cittadini che mirano a sensibilizzare la società e non a stimolare il consumatore. Niente leasing, musichette di sottofondo o promozioni imperdibili, semplicemente un’idea comune. Nuda, semplice, incisiva. L’eccesso di pubblicità ci spinge a bisogni indotti, aumenta la nostra frustrazione ed il nostro senso di inadeguatezza, propone obiettivi spesso dannosi dal punto di vista sociale.
Nemmeno la crisi è riuscita a erodere il consumismo. Anzi il lavoratore precario è perfetto: non può fare progetti; spende tutto in aperitivi, vestiti, cellulari, viaggi low cost. Le multinazionali gioiscono, la pace sociale non è intaccata.
L’uomo politico invece vive lo scandalo del rifiuto della macchinetta nuova come obiettivo esistenziale. L’opposizione all’atto del comprare fine a se stesso ha un prezzo. Nelle pubblicità si evoca spesso la straordinarietà, la libertà, l’ambizione. Il consumatore seriale è un individuo valoroso, il cittadino consapevole ha perso i tratti che ne possano dare una definizione altrettanto marcata e positiva.
La privatizzazione della speranza (privatization of hope) non ha senso, questa può esistere solo se condivisa. Le azioni dei singoli si sono sempre dovute confrontare con progetti comunitari di più grande portata. L’assenza di proposte sociali è certamente la conseguenza di un progetto di individualizzazione iniziato decenni or sono.
Ma l’uomo per sua natura è un animale politico. E gli esperimenti hanno un inizio ed una fine. Quella dell’homo economicus è solo una brutta fase. Presto creeremo un’altra società. Senza auto nuova, ma con una metro dove tutti si parlano, si salutano e si rispettano.
Perché anche l’utopia ha una sua dignità. Ed è tempo di tornare ad avere speranze e progetti extra individuali.
Perché un conformismo sociale così non si era mai visto prima.
Perché la società dei consumi, che ha estromesso la politica e la socializzazione dalle vite delle persone, è di una tristezza raccapricciante.
Perché sotto l’idealizzazione dell’individuo autosufficiente non può che nascondersi una trappola, come quella del self-made man non può che essere una favola.
Perché vivere tutti gli aspetti della propria vita come qualcosa di mercificabile è di una violenza inaudita.
Perché l’uomo a una dimensione è stato un libro prima di essere una realtà.
Perché se non riusciamo a stare insieme senza bere, mangiare, acquistare, allora dobbiamo fare un passo indietro e concederci una semplice passeggiata in compagnia.
Perché sostituire il concetto di condivisione con quello di concorrenza è inaccettabile.
Perché il futuro è un progetto plurale.