Il Cairo: la città dei taxi
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Diletta PinochiUn brulicare di auto, pulmini, carretti trainati da cavalli, motorini e soprattutto taxi. Full immersion per le vie della capitale egizia.
Dal dodicesimo piano del nostro alloggio, sotto un cielo di smog, lo sguardo si perde sui tetti del Cairo. Antenne paraboliche alle finestre, cartelloni pubblicitari svolazzanti a fianco di viuzze trafficatissime. E soprattutto taxi ovunque. Circolano giorno e notte. Una schiera nero-bianca di lamiere, materiale sintetico e plastica, riparati chissà quante volte nei cortili nascosti dietro i negozi. E una volta riassemblati, pronti per un'altra corsa.
Stile un po' "vintage"
L'interno del taxi in cui salgo è ricoperto di polvere e sporcizia. I sedili sono logori, il rivestimento nero in plastica è abraso in diversi punti della spalliera e rivela il suo interno marroncino, non ben definito. È uno dei tanti taxi in servizio sulle strade del Cairo da ormai diversi decenni. Le dimensioni del parafango di sinistra sono diverse da quelle richieste per questo modello e ci sono così tante macchie di ruggine che non vale nemmeno la pena sistemarlo. Il taxista è un ragazzo giovane, sui venticinque anni al massimo. Al posto dei canti coranici molto gettonati dai colleghi più anziani, preferisce ascoltare musica araba. Rispetto all’annata dell’auto, la radio con la piastra di registrazione è sorprendentemente nuova. Il mio compagno di viaggio seleziona un’emittente in lingua inglese con le Hit Parade britanniche. Forse vuole farmi un favore, e ciò è sicuramente un buon motivo per aumentare di qualche sterlina il prezzo della corsa…
Clacson di tutti i modelli
É tardo pomeriggio, e sto andando ad un incontro al bazar Khan al Khalili con alcuni amici della scuola di lingue. Un orario infelice, come dovrò constatare, perché la Strada del 26 luglio è completamente intasata. Siamo attorniati da una nuvola di gas di scarico e da un’infinità di clacson che suonano all’impazzata. Vani anche i numerosi tentativi di zigzagare tra le colonne di auto a colpi di clacson e segnaletica manuale. Il clacson, al Cairo, è il mezzo di comunicazione per antonomasia. Lo troviamo in tutte le varianti possibili. Dal modello standard fino al superclacson potenziato polifonico che ulula da un’auto totalmente sgangherata. Mi è stato detto che esiste una sorta di lingua segreta tra gli automobilisti cairoti. Diversi codici per clacson con i quali si possono salutare amichevolmente i vicini di auto oppure ingiuriare contro di loro. Non mi ricordo esattamente quali siano le diverse sequenze, ma ciò che le auto attorno a me emettono hanno tutta l'aria di non essere segnali di pace. L’aria nell’abitacolo si fa sempre più viziata e c’è un forte odore di benzina. Cerco di abbassare il finestrino, ma questo taxi non ha la manovella, nonostante la maniglia della portiera sia addirittura funzionante. Il tassista si accorge dei miei sforzi e, visto che comunque siamo fermi nel traffico, scende per prendere le tenaglie dal bagagliaio e con quelle tira giù il finestrino. L’aria che penetra adesso dall’esterno non è molto più fresca, ma almeno si respira.
Ho tempo per guardarmi intorno. Fra le facciate annerite delle case, ondeggiano abiti bianchi e colorati, appesi fuori dalle finestre ad asciugare. Mi viene in mente una delle mie prime corse in taxi durante il quale un beduino a cavallo spuntò improvvisamente accanto al taxi su cui mi trovavo. Lui e il taxista si scambiarono un paio di frasi e quando finalmente il vigile ci fece cenno di procedere, il beduino affondò i talloni nei fianchi del cavallo e anche il tassista affondò sul pedale. Per un attimo il beduino andava al galoppo nel bel mezzo di una strada ad alto scorrimento, alla stessa altezza del taxi, fino a quando, con un sorriso ed un cenno della mano, sparì nello specchietto retrovisore. A poco a poco l’ingorgo si snellisce, avanziamo di un semaforo. Il giorno seguente e nelle settimane successive sarà sempre così. Stop and Go, clacson, accelerata, clacson, frenata e di nuovo il clacson. Fra un po’ sarò in grado di spiegare in arabo al taxista che alla fine della strada deve girare a sinistra sotto al ponte per arrivare alla scuola – e spesso lui ripeterà la frase in perfetto inglese. Qui al Cairo, sono diversi i motivi per cui si diventa taxisti e si portano le persone più disparate in giro per le strade trafficate della città. Mi viene da pensare a Khaled al-Khamissis Taxi - Hawadit al-mashawir (Cabbie Talk), alle diverse voci dei taxisti del Cairo catturate in questo libro, ai loro punti di vista e alle loro storie personali, spesso così inusuali.
Dal dodicesimo piano del nostro alloggio non si riescono a vedere i numerosi taxi, si sentono e basta. Sono parte del costante trambusto di cui la città è permeata 24 ore su 24. Sfuggirvi, non è affatto semplice. Al Cairo non c’è mai silenzio, ma solo l’occasionale assenza di rumori.
Translated from Mit einem Taxi durch Kairo