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Il binomio ricercatore-giornalista, la ricetta ideale per un'inchiesta di alto livello

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Gli studiosi di scienze sociali lavorano sul lungo termine. I giornalisti, invece, seguono maggiormente il ciclo delle notizie. Ma queste due figure sono in grado di collaborare fianco a fianco su progetti a lungo termine? Per questo terzo articolo della nostra serie "Common Grounds", andremo in Italia con due team che hanno esplorato il rapporto tra giornalisti e ricercatori.

"Le notizie sono solo la prima bozza della Storia".

Questa frase, pronunciata dall'ex proprietario del quotidiano americano The Washington Post, Philip L. Graham, riassume la differenza tra il giornalista e il ricercatore.

Entrambi cercano di capire e spiegare il mondo che ci circonda, ma non hanno le stesse tempistiche. Un ricercatore ha tempo per le sue ricerche e le sue interviste, mentre un giornalista si trova spesso ad avere una scadenza strettissima per il giorno successivo.

Quando un giornalista lavora con uno scienziato, spesso si tratta di un'intervista. Il giornalista lavora su una storia, fa un’investigazione, e ha bisogno di un ricercatore per fornire un contesto, dei dettagli e delle sfumature.

Costruire ponti

Tuttavia, su alcuni argomenti possiamo pensare di fare le cose in modo diverso e andare oltre a questo rapporto quasi transazionale. È per questo che Cafébabel ha aderito al programma di citizen science “COESO” per un progetto pilota sul riutilizzo dei beni confiscati alla mafia in Italia.

Un'esperienza vissuta in coppia da un giornalista e da un politologo. I lettori di Cafébabel riconosceranno già il frutto di questa collaborazione: "Passaggio di proprietà", il nostro lavoro pubblicato in esclusiva nella primavera del 2022.

Si tratta di una serie scritta da Mathilde Dorcadie, giornalista con sede a Bruxelles e caporedattrice della versione francese di **Equal Times, una rivista che vanta firme provenienti da quattro continenti. Come specialista di questioni sociali, era interessata a capire se l'uso sociale dei beni confiscati costituisse una storia di successo.

L'altro volto di "Passaggio di proprietà" era Fabrice Rizzoli, dottore in scienze politiche, specialista del tema e presidente di Crim'HALT, un'associazione francese che desidera creare uno spazio per le "riflessioni dei cittadini sui reati gravi".

Fabrice and Mathilde
Mathilde Dorcadie and Fabrice Rizzoli in 2021. © Mathilde Dorcadie Watch

Questo potente duo ha lavorato insieme per dodici mesi, ciascuno con i propri punti di forza, individuali e complementari. Giornalismo e tecniche di reportage per Mathilde, competenza e attivismo per Fabrice.

La collaborazione ha dovuto affrontare due sfide. Da un lato, dare al lavoro giornalistico il tempo di assorbire l’impegno sul campo e di liberarsi dal ritmo giornalistico abituale. Dall'altro, rafforzare la visibilità e l'impatto di un campo di ricerca delle scienze sociali poco conosciuto dal grande pubblico.

Perché la mafia?

L'impatto sociale della mafia è spesso trascurato. Nella cultura popolare più ampia, come nei film, la mafia ha conservato un'immagine "carismatica", persino "simpatica".

Per gli attivisti e i ricercatori, la mancanza di divulgazione delle devastazioni che provocano i crimini più efferati permette ai criminali di proliferare, soprattutto nei quartieri più popolari. Così un progetto di giornalismo e ricerca citizen science, con la metodologia del “solutions journalism” che si concentra sulle ONG italiane nei locali confiscati alla mafia, può raggiungere un nuovo pubblico.

Fabrice sur le terrain
Fabrice Rizzoli in 2021. © Mathilde Dorcadie Watch

Fabrice era a conoscenza di iniziative recenti nate per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla criminalità organizzata e i suoi misfatti in Calabria o in Campania. Mathilde, al contempo, non era del tutto estranea all'argomento. Nel 2020 aveva partecipato a un viaggio di formazione per giornalisti, organizzato dalla vostra rivista partecipativa preferita, a Napoli e a Ercolano sulla lotta alla criminalità organizzata, dove Fabrice aveva condotto un workshop e partecipato alla realizzazione del progetto.

Insieme quasi 24 ore su 24

È stato quindi abbastanza naturale decidere di fare squadra e andare insieme a Genova e a Napoli, per incontrare gli attori che sostengono iniziative come le ciclofficine, le case popolari, le stazioni radio antimafia, le scuole o i centri di assistenza per disabili. Tutti luoghi nati da edifici confiscati alla mafia. Ma invece del classico approccio giornalistico, fatto ad esempio di interviste,

Mathilde e Fabrice sono andati oltre nella preparazione del loro lavoro di campo. Durante la loro collaborazione, si sono scambiati regolarmente messaggi, telefonate e hanno organizzato incontri in vista dei loro viaggi. Una volta sul posto, erano insieme quasi 24 ore al giorno.

“Fabrice mi ha fatto risparmiare molto tempo", spiega Mathilde, "all'inizio del progetto gli ho chiesto di fornirmi una bibliografia e non ho quasi avuto bisogno di altro, mi ha dato tutta la documentazione da leggere e ha continuato a condividere articoli con me durante tutta la collaborazione".

Fabrice, che parla perfettamente l'italiano, ha svolto il ruolo di "fixer", cioè di colui che accompagna un reporter sul campo per tutta la durata dell'inchiesta. “Abbiamo discusso insieme di ogni sito, Fabrice ha fatto delle proposte, ed era tutto completamente negoziabile, poi ci abbiamo lavorato insieme", continua Mathilde. La scelta è caduta infine su Napoli e sui suoi esempi emblematici di lotta antimafia, ma anche sulla città di Genova.

Giacomo Revelli
When their project, the journalist and the researcher met Giacomo Revelli, a volunteer from the NGO Cicloreparo, a bike repair workshop, located in confiscated premises in Genoa © Mathilde Dorcadie

Perché queste due città? "Il Nord Italia ha un'altra sociologia, più ricca, che fatica a riconoscere la presenza della mafia sul suo territorio" spiega Fabrice. "L'uso dei beni confiscati è praticato anche lì, ma incontra alcuni ostacoli", aggiunge. La competenza di Fabrice e il suo approccio attivista nel far conoscere le varie iniziative antimafia hanno portato i due a interrogarsi sui possibili pregiudizi nella scelta dei soggetti e delle angolazioni.

Mathilde ammette che si può essere facilmente influenzati dalla visione del proprio partner, che ha più esperienza sul campo. Tuttavia, ha variato le sue fonti per mantenere un approccio giornalistico e non militante.

"Il mio ruolo di solution journalist era anche quello di spiegare i limiti del sistema. Questo mi ha portata spesso a fare domande sulle difficoltà incontrate o sull'impatto osservato durante le interviste".

È la combinazione di questo metodo e delle conoscenze del ricercatore a permettere di ottenere report in una lunga forma narrativa con molte sfumature.

Fare squadra per l'inchiesta

Per coincidenza, un altro progetto pilota del COESO riunisce ricercatori italiani e giornalisti investigativi per sviluppare strumenti di inchiesta sulle organizzazioni criminali internazionali. Anche in questo caso, l'obiettivo è far progredire la ricerca in questo campo e migliorare le competenze della società civile.

Il progetto è guidato da The Investigative Reporting Project Italy (IRPI), un collettivo di giornalisti investigativi lanciato nel 2012. L'IRPI ha collaborato con la società Crime&Tech, collegata all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

È difficile riassumere i colpi giornalistici dell'IRPI. Questo collettivo è ben noto nel nostro continente per i suoi lavori. Per citarne alcuni, quelli sui passaporti d'oro o su come la criminalità organizzata legata al traffico di droga si sia insediata nel Nord Europa.

La loro proposta? Mettere in comune risorse, strumenti e accesso alle banche dati per indagare meglio sulla criminalità organizzata in Italia... o altrove. La cosa più importante è la fiducia

I giornalisti dell'IRPI sono abituati a svolgere inchieste internazionali e sanno che è fondamentale rintracciare la criminalità organizzata nei documenti ufficiali (catasto, registro delle imprese, ecc.). Sono questi i documenti che permettono di individuare transazioni sospette, accordi legali o strutture che potrebbero mascherare il riciclaggio di denaro. Questi documenti possono essere l'inizio di un'indagine o confermare la soffiata di una fonte.

E questo nonostante un tale lavoro giornalistico sia facile come trovare un ago in un pagliaio. L'accesso a questi dati ha anche un costo elevato, diverse migliaia di euro all'anno. "Una delle sfide più grandi del giornalismo investigativo è la sostenibilità [finanziaria]. Le nostre indagini sono molto costose, soprattutto a causa dei costi di accesso ai dati", spiega Lorenzo Bagnoli, condirettore di IRPI.

Da qui l'idea di creare sinergie e mettere in comune le risorse. Ma oltre a queste ragioni finanziarie, il binomio ricercatore-giornalista investigativo porta a un confronto su metodi e pratiche di indagine.

Ma è facile scambiarsi questi strumenti? Un'inchiesta giornalistica ha sempre un certo grado di riservatezza, in particolare la segretezza delle fonti. Tuttavia, l'utilizzo di un approccio più scientifico facilita la comprensione di concetti e tendenze, comprese le tecniche della criminalità organizzata per mascherare le proprie attività.

Per Lorenzo Bagnoli, “la cosa più importante in questo tipo di progetti è la fiducia. La nostra partecipazione a COESO ha rafforzato gli altri progetti che stiamo portando avanti". Il suo collettivo continuerà a lavorare con i ricercatori. E questo anche se ci sono momenti di lieve attrito, legati alle differenze di metodo, tra un giornalista e un ricercatore. "I ricercatori tendono a pensare che i giornalisti vadano sempre un po' troppo veloci", afferma sorridendo.

Un binomio vincente tra ricercatore e giornalista significa anche tenere conto del fatto che un'inchiesta giornalistica non è destinata a essere pubblicata su una rivista scientifica. Un articolo scientifico e un'inchiesta giornalistica non hanno lo stesso pubblico. Il gergo e altri acronimi sono vietati. È quindi anche compito dello scienziato fidarsi della capacità del giornalista di accompagnare i lettori, di raccontare loro nel modo più chiaro possibile le storie complicate, compresi oscuri accordi finanziari.


Questa storia fa parte della serie di Cafébabel "Common Grounds".

Questo progetto è in collaborazione con il progetto di ricerca COESO (Collaborative Engagement on Societal Issues), all'intersezione tra scienze sociali e ricerca partecipativa. Coordinato dall'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, COESO è finanziato dal programma di ricerca Horizon 2020. Il contenuto di questo articolo non riflette in alcun modo il punto di vista della Commissione europea, che non è responsabile delle informazioni qui contenute.

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Translated from Le couple chercheur - journaliste, la recette pour creuser les sujets