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Igor The Wild

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Palermo

Dalla Sicilia al Canada, dal Fiume Oreto allo Yukon, quinto fiume più grande del mondo, il palermitano Igor D'India esplora una moderna e personalissima concezione di viaggio, filmando e montando le sue avventure per creare documentari per il web e per la tv. Immergiamoci nell'immaginario di questo videomaker delle terre (e delle acque) selvagge.

L'Eurogenerazione abituata ai voli low cost e all'integrazione europea lo sa bene: il momento più difficile di un viaggio è il ritorno. Si è già raggiunta la meta, o un obiettivo, e si deve ritornare alla realtà di tutti i giorni, straniati e disorientati dal nuovo contesto, perennemente in cerca di qualcos'altro. Così si è sentito anche Igor D'India tornando nella sua Palermo (siamo nel 2010) dopo l'ennesima avventura filmata: un rally in Africa e Mongolia al volante di una Y10 acquistata con 400 euro.

Frastornato dalla caotica vita quotidiana del suo quartiere nativo, Brancaccio, grazie allo spunto offertogli da un amico trova un nuovo soggetto in qualcosa che fin dalla sua infanzia - attraversando il Ponte a Mare di via Messina Marine per andare a scuola - aveva destato la sua curiosità: il Fiume Oreto, un rigagnolo che sfocia a mare e rappresenta l'unico corso d'acqua superstite in città, dopo che il Papireto e il Kemonia sono stati interrati senza pietà.

Nasce così la sua prima avventura in natura filmata in solitario. In natura, si fa per dire: fin da bambino Igor si sentiva rispondere che "più che un fiume, l'Oreto è una fogna". Oggi che si presenta come un corso d'acqua distrutto dai palermitani, si ignora dove possa trovarsi la sua fonte, e anche consultando le immagini delle mappe satellitari, il fiume tende a scomparire tra canne e piante ad alto busto. Così, protetto da abiti impermeabili (risultati inadeguati) e inforcando una Sony Handycam, inizia la risalita in solitario di Igor verso la fonte dell'Oreto, raccontata nel documentario Oreto The Urban Adventure.

Non volendo "spoilerare", riveliamo soltanto che le avventure per Igor non sono certo mancate, in una lotta serrata tra l'incredibile forza della natura - che nonostante tutto non vuole darsi per vinta - e uno scenario da Resident Evil reso più fosco dai liquami, i veleni e i rifiuti di ogni genere riversati senza controllo dai palermitani nel loro fiume. Inquietante, poi, l'aneddoto sul temporaneo sequestro del videomaker, finito per sbaglio in una stalla piena di cani e cavalli costruita a ridosso del fiume, e interoggato per una lunga mezz'ora da alcuni "picciotti" della zona (Villaggio Santa Rosalia).

Chi pensa che il successivo The Yukon Blues sia una sorta di Oreto The Urban Adventure in macroscala, come certi film che dall'Europa migrano verso i budget e gli attori americani per diventare pacchiani remake, si sbaglia di grosso. "La mia vita è stata pienamente coinvolta in questa esperienza, e dal 2013 al 2015 ho lavorato solo a questo progetto. Ho dovuto fare un sopralluogo lungo 7 mesi, spostandomi in autostop e lavorando in un Burger Restaurant per autofinanziarmi. Dovevo risalire lo Yukon per 2.500 Km, in canoa. E non avevo idea di come si andasse in canoa".

The Yukon Blues ripercorre le tappe del viaggio compiuto nel 1965 da Walter Bonatti, esploratore che a sua volta si era ispirato ai diari di viaggio di Jack London. Igor D'India, per questo nuovo itinerario solitario, ha dovuto fare la conoscenza della gente del posto, delle correnti del fiume, ha dovuto imparare come preparare bene un campo per la notte, come difendersi da una varietà di animali selvatici che spaziava dalle zanzare ai grizzly. Anche questa volta la minaccia più grande è stata provocata dall'uomo: uno sconvolgimento climatico, una tempesta di due settimane che ha reso impossibile proseguire il viaggio in canoa oltre i 1.400 km già percorsi. Arrivato a Forth Yukon, ultimo avamposto civilizzato lungo il corso del fiume, gli Indiani nativi del luogo hanno ammesso di non aver mai visto in decenni una tempesta del genere.

Perché correre rischi simili, viene da chiedersi. Cosa sta cercando Igor D'India con i suoi viaggi? "Non lo sport estremo, un record in più o in meno è irrilevante. Non l'esplorazione geografica: potrei andare in giro per l'Asia a cercare una tribù che non ha mai visto un uomo bianco, ma oggi non mi sembra un'impresa significativa. Ho ripercorso le tappe di Walter Bonatti perché volevo fare un confronto tra la sua esperienza e la mia, ma soprattutto ero alla ricerca dei nuovi mondi del nostro tempo". L'esempio concreto cade sugli Indiani d'America incontrati lungo le rive dello Yukon: "Hanno tecnologia (internet, smartphone, avveneristiche vetture pick-up) e modernità da far invidia ai siciliani, ma conservano un rapporto ancestrale con il territorio; anche il più giovane nativo saprebbe tranquillamente sopravvivere nella foresta per settimane. Sanno dove sostare, come e quanto cacciare, come usare le radici e le erbe medicali e come comportarsi con la natura."

Un equilibrio, quello tra progresso e natura, che in Europa è sempre più delicato: se non si sta attenti a preservare gli ecosistemi si assite a distorsioni persino nelle riserve naturali, spesso interessate da incendi, o a fenomeni come quelli delle malattie che hanno colpito gli uliveti di diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

The Yukon Blues ha trovato in Kobalt Entertainment di Milano il suo produttore, è uscito in allegato con La Gazzetta dello Sport ed è stato presentato lo scorso ottobre al cinema Rouge et Noir per iniziativa di VediPalermo, insieme a Geologia di un Sogno, altro film estremo ambientato in una grotta di Monte Pellegrino che D'India ha scritto con l'aiuto di Martino Lo Cascio. Potete trovare entrambi i film su Vimeo, mentre Oreto The Urban Adventure - Italiano ve lo proponiamo di seguito.