Idraulico polacco: un mito che non vale più un tubo
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Veronica MontiÈ lontano il tempo in cui per i giovani polacchi c'era un solo destino: lasciare il proprio paese e trovare lavoro all'estero. Quasi dieci anni dopo l'ingresso del paese nell'Unione Europea, i giovani originari di Varsavia sembrano impazienti di partecipare attivamente allo sviluppo della capitale.
Aprile 2013. La città è grigia, gli edifici dagli stili più disparati ed eterogenei disegnano la pianta delle strade e i mucchi di neve qua e là lasciano indovinare la crudeltà dell'ultimo inverno. Ciononostante, Varsavia vive. Non lontano dal centro storico, colorato e ricostruito identico a com'era prima della Seconda Guerra Mondiale, si trova una delle strade principali della città: la via Nuovo Mondo (Ulica Nowy Swiat), dove si trovano i "coffee shop", i bar e l'Università Pubblica di Varsavia, il luogo più adatto al ritrovo dei giovani polacchi.
Campeggio, sole e tulipani
Lavorando come cameriera, Kamila guadagna 7 zloty all'ora, ovvero 1,68 euro.
Kamila Baranowska mi dà appuntamento al Ministero del Caffè, il posto ideale per parlare delle difficoltà delle generazioni precedenti, ma anche della propria. Kamila sarebbe l'immagine della tipica ragazza di Varsavia, se ce ne fosse una. Ventiquattro anni, questa ragazza dall'apparenza fragile ma energica ha vissuto a Roma per un semestre grazie alla borsa Erasmus. Appassionata di viaggi, ha già visitato molti posti in Europa durante le vacanze estive. Il suo paese preferito: la Grecia, una destinazione che oggi può lasciare perplessi, con un tasso di disoccupazione che arriva al 64,2% per la fascia under 25. Ascoltandola, si può facilmente capire perché i giovani polacchi vogliano lasciare il proprio paese anche solo per un mese o due. Bisogna tenere conto delle condizioni salariali in Polonia. Lavorando come cameriera, Kamila guadagna 7 zloty all'ora, ovvero 1,68 euro. Un magro bilancio alla fine del mese - nel suo caso è di circa 340 euro - mentre sulla costa ellenica poteva contare sul doppio, "e non dimentichiamo il sole e il paesaggio", aggiunge, gli occhi che brillano mentre ricorda.
È la stessa ragione che ha spinto Pieter Wogcik a vivere all'estero per due anni di fila durante la stagione estiva. Con alcuni amici si è recato nei Paesi Bassi a fare la raccolta dei bulbi di tulipano: lavorava 10 ore al giorno, 5 giorni alla settimana, anche 6 quando lo desiderava. A lavorare con lui nei campi c'erano solo polacchi e un turco. Il lavoro era prettamente fisico e non poco estenuante. Durante il primo anno, Pieter scopre la felicità: il bello del campeggio e delle vacanze con gli amici, Amsterdam, l'indipendenza e, come dice lui, il "paese della libertà". Descrive il capo olandese come un uomo accomodante che non ha mai cercato di sfruttarlo. Il salario è deciso in base all'età. Per i minori di 20 anni, varia da 6 a 7,7 euro all'ora. Pieter spiega che questa paga corrisponde al massimo che possa guadagnare un operaio specializzato polacco che lavora in nero. Un anno dopo Pieter ritorna a lavorare nel nord Europa, ma stavolta è molto dura. Dietro il sorriso, nasconde la routine, la pesantezza del lavoro, la noia e la disperazione. Parla delle lunghe giornate lavorative, dei gesti ripetitivi e della stanchezza. Lui - che studia psicologia del lavoro - scopre l'altra faccia della medaglia e oggi dice di voler trovare un'occupazione che gli permetta di sfruttare le proprie conoscenze ed esperienze e non solo la sua forza fisica.
Il mito dell'idraulico
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Siamo lontani dal mito dell'idraulico - o dell'infermiere - polacco, nato nel 2005, principalmente per opera dellla Francia, nel periodo dei dibattiti sulla direttiva Bolkenstein. Allora l'esagono temeva che gli immigrati dell'Est europeo venissero a "rubare" il lavoro dei propri cittadini, chiedendo in cambio un salario tre volte inferiore. Un'ondata d'immigrazione c'è stata in effetti in seguito all'ingresso della Polonia nell'Unione Europea, nel 2004. Tuttavia, questa si è diretta soprattutto nel Regno Unito. In più, i giovani lavoratori polacchi hanno dovuto fare i conti con una dura realtà: l'Europa non li aspettava a braccia aperte e men che meno, sicuramente, per offrire loro dei lavori considerati "intellettuali".
Se la crisi cominciata nel 2008 nell'Unione ha condotto molti paesi alla miseria economica e sociale, la Polonia ne è in parte venta fuori. Secondo Monika Constant, direttrice generale della Camera del Commercio e dell'Industria francese in Polonia, questo fatto è essenziale. Precisa: "siamo passati da un tasso di crescita annuo del 4,5% ad un tasso dell'1,7%. Certamente è un rallentamento, ma se guardiamo altri paesi europei non ci possiamo lamentare". La Polonia è riuscita a mantenere la propria economia in attivo e dà prova di sempre più dinamismo. Da 650 a 700 imprese francesi si sono stabilite in Polonia e la Germania è diventata il suo primo investitore. Tra i due paesi ci sono scambi frequenti e 176mila immigrati polacchi sarebbero attualmente presenti nell'oltre Reno. Delle buone e certe prospettive di crescita, sicuramente. Ma Monika Constant parla anche di Varsavia come di "un trampolino verso i paesi vicini", come l'Ucraina o la Russia. Inoltre, anche se il 75% dei prodotti polacchi è destinato al resto d'Europa, la domanda interna della Polonia resta forte. Con i suoi 38 milioni di abitanti, il paese di Donald Tusk ha potuto attraversare la crisi "meno dolorosamente" di altri. Ma la direttrice generale della CCI fa notare anche come il rimpatrio di un buono numero di immigrati che si erano trasferiti in Inghilterra, in Irlanda o in Francia, abbia fatto risalire il tasso di disoccupazione del paese. Secondo le ultime statistiche europee, avrebbe superato ormai il 10%.
Un punto viene sottolineato da tutti gli interlocutori: Varsavia non è la campagna, ovviamente. Secondo Monika Constant, se i giovani decidono di restare, è probabile che lo facciano perché coscienti del fatto che esistono possibilità di trovare un lavoro nel cuore della capitale, dopotutto. Quanto ai giovani originari di Varsavia, insistono sulla qualità dell'istruzione che hanno ricevuto. Utopia o no, sperano di fare carriera nella città in cui sono cresciuti. Espatriare non è nei loro piani come lo era in quelli dei loro genitori. Magari giusto il tempo di un Eramus, di uno stage o di una stagione di lavoro all'estero. Ma come ci ricorda Pieter, "Mai dire mai".
Questo articolo fa parte della serie di reportage “EUtopia on the ground”, progetto di Cafebabel.com sostenuto dalla Commissione Europea nell’ambito in collaborazione con il Ministero degli Esteri francese, la Fondation Hippocrène e la Fondazione Charles Léopold Mayer.
Foto: copertina (cc) jaime.silva/flickr; nel testo: la via del Nuovo Mondo (cc) oshkar/flickr; tag © Laurianne Systermans.
Translated from Le plombier polonais n’est plus dans les tuyaux