IDENTITÀ EUROPEA: MA CHE COS’É?
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Laura Cortesi"All’Europa manca un‘identità.” Questo è quanto si legge in qualsiasi analisi di un qualsivoglia intellettuale. L’autore si è confrontato con alcune persone incontrate per strada e nei caffè. Ha chiesto loro cosa pensassero di questo tema, per scoprire, alla fine, un denominatore comune.
Una volta all’anno l’Unione Europea chiede ai propri cittadini se sentono di appartenere più alla propria nazione o all’Europa: si tratta della domanda che riguarda l’identità europea. Ma che cosa significa europeo? Che cos’è un'identità?
Molti autori cercano spesso e volentieri di cogliere il significato di queste due parole attraverso lunghi saggi che parlano di democrazia, di valori comuni, di storia e, a volte, di cristianesimo. Ma cosa ne pensano gli europei quando non si tratta solo di compilare un questionario a scelta multipla dell’autorità statistica Eurostat? Cosa rispondono quando si chiede loro perché si sentono europei - o non europei? Non c'è luogo migliore per scoprirlo di una città che afferma di essere il centro europeo per eccellenza.
É una giornata di sole a Strasburgo, lungo il fiume Ill sono ancorate le "case battello" che ospitano bar e caffè e lungo la riva del fiume la gente è seduta su sedie, lettini e divani, bevendo, fumando e parlando. Accanto a me siede una signora di mezza età dai capelli neri, un po’ "pienotta", giusto davanti a lei la madre, capelli biondi e corti, piuttosto magra ma sportiva, qualche ruga.
Sondo il terreno con una domanda semplice e cauta: "Strasburgo è una città europea?" La risposta non si fa attendere: "Sì". "Perché?", chiedo ancora. "Perché qui arrivano tantissimi turisti da tutti i Paesi, ci sono stranieri ovunque”, dice la figlia. È vero, Strasburgo è una meta turistica molto popolare. "Ma se sono stranieri come fanno a essere europei?"
"Capisco cosa intendi, ma non è così facile rispondere. Che cosa significa poi europeo?” Già, che cosa significa? La madre interviene dicendo che si tratta delle abitudini comuni condivise da tutti gli europei. E quali sono? "Bella domanda.” Nessuna risposta. La figlia riprende: "Ho vissuto alcuni anni in Canada. Là sì che mi sentivo europea, in qualche modo là è tutto diverso. Anche quando sono in Belgio sono europea. Quando sono in Francia, sono francese.”
Altre persone rispondono in modo simile, una russa che si è traferita a Strasburgo dice che nel suo paese natale è considerata europea, mentre a Strasburgo è considerata russa. "Europeo" sembra essere qualcosa di indefinito, qualcosa che le persone scoprono da sé nel momento in cui lasciano la propria patria e la cultura a cui sono abituati. L'’identità, è evidente, è sempre una forma di demarcazione: noi e gli altri.
"Vi sentite innanzitutto francesi e poi europei o innanzitutto europei e poi francesi?" Entrambe le signore rispondono "Innanzitutto francese”. "Questo significa, quindi, che vi preoccupate prima di tutto dei francesi e poi degli altri europei? Entrambe rispondono, esitanti, di sì. "Ma in alcuni stati membri dell'Europa dell'Est le persone muoiono di fame e vivono in baraccopoli, non ci si dovrebbe interessare di più a loro?", domando. "Sì, lo so, è brutto da dire, ma anche in Francia muoiono delle persone”, dice la figlia. "Ovviamente dobbiamo pensare in modo globale e occuparci quindi delle nazioni europee più deboli, dobbiamo rimanere uniti per resistere agli Stati Uniti e alla Cina”, prosegue la madre.
E non è l’unica a rispondere così a questa domanda.
PRIMA IO E POI GLI ALTRI
Una graziosa francese sta aprendo il lucchetto della bici e mi indica che ora deve proprio andare, ma si ferma a riflettere quando le pongo alcune domande. Alla fine, anche lei dice: "Sì, mi preoccupo anzitutto dei francesi, ma si deve pensare anche agli altri.” Anche un gruppo di giovani, alcuni dei quali nemmeno diciottenni, ascolta interessato e cerca di dare delle risposte. "I nostri genitori ci hanno insegnato che dobbiamo pensare anche agli altri abitanti dell'Europa”, concludono.
Tutti gli intervistati, alla fine, hanno scelto l‘espressione "dobbiamo” e non “dovremmo”. L’Europa sembra non essere tanto una questione sentimentale quanto razionale. Chi pensa all’Europa è pragmatico, prosaico, razionale, interessato a considerare il vantaggio economico. Forse il valore comune dell’Illuminismo non è poi così lontano dalla realtà.
Quale migliore possibilità di verificare questa tesi se non in una discussione sull‘Europa? Dodici persone, perlopiù giovani adulti, hanno aderito al mio invito su Facebook di discutere di Europa nel bar studentesco Le Chariot, un venerdì sera alle 20. Alcuni lavorano per Café Babel, altri sono amici e conoscenti. Anche qui, tra le persone interessate all’argomento, le affermazioni si assomigliano: uno su tre (compreso me stesso) si considera appartenente prima alla propria nazione e poi all’Europa.
Riflessione: identificarsi innanzitutto con la propria nazione e solo in un secondo tempo con l’Europa significa essere nazionalisti?
Silenzio.
Avevo già fatto questa domanda alcune ore prima, nel Palais d’Europe – la sede del Consiglio d’Europa – rivolgendomi ad alcune persone dall’aria importante. Senza esitare, un deputato del Parlamento del Kosovo mi aveva prontamente risposto: "non si tratta di nazionalismo ma di egoismo. É così per tutti: si pensa prima a se stessi e poi agli altri.” Nel bar "Le Chariot" c’è chi inizia a prendere la parola. Qualcuno dice che "l’identità non ha niente a che fare con il nazionalismo. Il fatto di definirsi francese non fa di una persona un nazionalista. Solo quando si emarginano le altre nazioni o le si ritiene di poco valore, si diventa nazionalisti." Di conseguenza, il nazionalismo è qualcosa di politico, l’identità qualcosa di culturale.
Nessuno dei presenti vuole sostituire quest'identità culturale nazionale con una europea. In fin dei conti, è proprio questa varietà culturale che costituisce l’Europa. Pensare europeo significa, evidentemente, riconoscere la molteplicità e la diversità dell‘Europa, magari esserne persino orgogliosi. Il motto dell'Unione Europea è infatti: "unità nella diversità.”
Tuttavia, dalle conversazioni per strada è emerso che per molti europei, quello di restare uniti in ogni circostanza non è tanto un desiderio quanto un dovere. Si rapportano in modo prevalentemente pragmatico e razionale nei confronti dell’idea di Europa, un’idea che nasce dalla testa e non dal cuore. Non provano pathos, né patriottismo, né affetto.
Di conseguenza, per essere sincero, il motto dovrebbe essere: "Unità nonostante la diversità."
QUESTO ARTICOLO È STATO REDATTO A STRASBURGO NELL’AMBITO DEL PROGETTO “EU-TOPIA TIME TO VOTE”. Il progetto è co-finanziato dalla Commissione Europea, dal Ministero degli esteri francese, dalla fondazione Hippocrène, la fondazione Charles Leopold Mayer e la fondazione EVENS.
Translated from Europäische Identität - was zur Hölle ist das?