I Sans Papiers di Bruxelles hanno fame di giustizia
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Dal 23 maggio, più di 450 persone sans papiers sono in sciopero della fame. Un movimento compatto che domanda un cambiamento reale delle politiche di regolarizzazione. Il reportage di Q Code Magazine.
Quando ci sediamo a parlare, la voce di Ahmed è molto stanca. I suoi occhi sono contornati da profondi cerchi neri, i suoi movimenti sono lenti. Si schiarisce la gola, prendendo un sorso di thè zuccherato. Da quando ha iniziato lo sciopero della fame, il 23 maggio, lo zucchero è l’unico elemento che gli dà energia, che lo tiene attivo. Insieme ad Ahmed, altre 450 persone sono in sciopero della fame. Si tratta di donne e uomini sans papiers, vale a dire persone sprovviste di un permesso di soggiorno, che vivono in Belgio da diversi anni (alcuni anche da 20) e a cui è stata negata ogni possibilità di uscire dallo stato di irregolarità in cui si trovano costretti.
“Vista l’assurdità della situazione e il rifiuto dello Stato di avviare un dialogo pragmatico con noi” dice Ahmed “abbiamo deciso di avviare un sciopero della fame. Non si tratta di un atto suicida, tantomeno masochista. È un forma di lotta”.
Ma facciamo un passo indietro, per capire la storia di questo movimento, L’Union de sans papiers pour la régoularisation (USPR).
Breve storia del movimento USPR
Il movimento dei sans papiers nasce spontaneamente nelle prime settimane del gennaio 2021. Uomini e donne si incontrano per discutere di come la crisi sanitaria abbia esacerbato le già precarie condizioni di tutti coloro che non hanno un permesso di soggiorno e che, di conseguenza, hanno vissuto da invisibili i lunghi mesi della pandemia. Da qui la decisione di occupare, il 30 gennaio, la Chiesa del Beghinaggio, situata nel centro di Bruxelles. Enough is enough. “I lavoratori e le lavoratrici sans papiers hanno osato uscire dal loro silenzio, per esprimere il proprio malcontento” – racconta Ahmed – “Hanno rifiutato le condizioni di vita insalubri in cui sono costretti a vivere, nonostante l’impegno quotidiano ed il contributo che hanno dato al Belgio in tutti questi anni”.
Nonostante il freddo pungente e la mancanza di riscaldamento, decine di persone sans papiers sono accorse alla Chiesa per unirsi al movimento.
Sono uomini e donne di tutte le età che arrivano da diverse città belghe per unirsi alla protesta. Uomini e donne che si lasciano alle spalle un lavoro, una casa, una famiglia, per unirsi alla causa.
Nella prima settimana di febbraio, la Chiesa è occupata da 120 persone. La scelta del luogo non è casuale. Già nel 2009 Padre Danièl, il parroco, aveva aperto le porte della Chiesa ai sans papiers in protesta. Il luogo è ancora più simbolico se si pensa che la Chiesa è stata eretta nel omonimo quartiere delle Beghine, un movimento nato verso la fine del dodicesimo secolo che riuniva donne di diversa estrazione sociale che, volendosi emanciparsi dalla tutela maschile, decidevano di vivere in comunità femminili, dedicandosi alla preghiera e al servizio dei poveri. Donne libere, né spose né monache. E sulla stessa terra, è iniziata l’occupazione dei sans papiers.
Nel corso dei mesi, il movimento USPR si espande sempre di più, e altri locali vengono occupati per ospitare tutti coloro che desiderano unirsi. Vengono occupate anche le due università principali di Bruxelles, la UAB e la VUB. Travolti dalla forza dei sans papiers, altri movimenti si uniscono alla causa, e diverse manifestazioni vengono organizzate con altre realtà della città, tra cui i movimenti delle sex workers e degli artisti.
Cosa significa vivere senza documenti?
Vivere senza un permesso di soggiorno comporta un numero incalcolabile di difficoltà. I sans papiers lavorano in nero e sono quasi sempre sottopagati. Prima che l’occupazione iniziasse, Ahmed lavorava 17 ore al giorno, per guadagnare 50 € a fine giornata. “Per permettermi di pagare l’affitto e le spese di base lavoravo sempre, con un giorno di riposo ogni tre mesi. Gli incidenti sul lavoro non sono mancati. Ognuna delle persone che vedi qui ha vissuto almeno un incidente sul lavoro, ma non ha mai potuto denunciarlo”.
"Ognuna delle persone che vedi qui ha vissuto almeno un incidente sul lavoro, ma non ha mai potuto denunciarlo."
Le complicazioni riguardano ogni aspetto della vita di una persona senza permesso di soggiorno. Se sei sans papiers, per esempio, non puoi avere una sim del telefono, perché per averla ti serve una carta d’identità. Non puoi tantomeno avere un conto in banca, se non hai nessun documento da presentare allo sportello.
“Durante la pandemia tanti negozi hanno smesso di accettare contanti. Più di una volta al supermercato ho dovuto chiedere a qualche sconosciuto di pagare con la carta per me, li rimborsavo immediatamente” racconta Assia, che vive da nove anni in Belgio insieme alla sua famiglia. “Conduco una vita normalissima. Io e mio marito lavoriamo, i miei figli vanno a scuola. La sera ci troviamo a casa e facciamo quello che fa ogni famiglia. Mi manca solo una cosa: un pezzo di carta che mi garantisce che nessuno mi obbligherà ad andare in Algeria”. Un’altra donna aggiunge “Mio figlio ha fatto tutto il suo percorso scolastico qui, in Belgio. Ha 16 anni, ed è il primo della classe. Quando raggiungerà i 18 anni, sarà tutto finito. Non riceverà il diploma, non potrà andare all’università. Qualcuno gli verrà a dire che deve tornare a casa sua, ma casa sua è qui”.
"Qualcuno gli verrà a dire che deve tornare a casa sua, ma casa sua è qui”
Come si diventa sans papiers
Come spiega l’organizzazione PICUM, che si batte per i diritti dei migranti in situazione irregolare, ci sono diversi modi attraverso cui una persona si può trovare senza documenti. Alcune persone arrivano in Belgio con un contratto di lavoro e, in caso di perdita dell’impiego, perdono anche il permesso di soggiorno. Altri entrano con un regolare visto che poi non viene rinnovato. Alcuni paesi non garantiscono un permesso di soggiorno ai bambini nati da genitori sans papiers. Infine c’è chi, in mancanza di alternative, arriva in Europa senza un permesso, attraverso rotte migratorie tristemente conosciute come quella del Mar Mediterraneo. Najima racconta “Sono arrivata in Belgio con un visto per ricongiungimento familiare. Nel 2011 la legge è cambiata, ed è stato deciso che il ricongiungimento tra nonni e nipoti non era più possibile e il mio permesso è stato revocato”.
Il movimento USPR denuncia che la procedura per la regolarizzazione, in Belgio, non sia disciplinata da criteri chiaramente definiti.
Spesso i dinieghi non sono accompagnati da alcuna motivazione e non è data la possibilità di contestarli.
Secondo Ahmed, le leggi attuali sono pensate appositamente per spingere i sans papiers nelle periferie, mantenerli in condizioni di sfruttamento. “Noi siamo come l’acqua di un fiume, non scorre mai nello stesso punto. Lo Stato vuole invertire l’ordine naturale delle cose, rifiutando la nostra esistenza e il fatto che viviamo e lavoriamo in questo paese. Lo Stato ha il potere di distruggere tutto quello che un sans papier ha costruito nel corso degli anni, dimenticandosi che si tratta di una vita umana”.
Prospettive di lotta
"Meglio fare lo sciopero della fame, che tenere in ostaggio il proprio respiro".
Dopo cinque mesi di occupazione, di cui uno di sciopero della fame, la situazione diviene sempre più difficile. Nel corso dell’ultima settimana tre persone hanno tentato il suicidio, un ragazzo a provato a togliersi la vita ingoiando una lametta. L’indifferenza dimostrata da parte delle istituzioni produce un silenzio assordante. Le persone sono stanche, ma rimangono determinate. “Se pensano che ci arrenderemo dopo 5 mesi di occupazione, si sbagliano” dice Aisha. Quando chiedo ad Ahmed che cosa ne pensa dei rischi che le persone stanno correndo con questo sciopero della fame lui mi guarda, prende un sorso di thè, e mi sorride dicendo “C’è un proverbio che recita: meglio fare lo sciopero della fame, che tenere in ostaggio il proprio respiro. Siamo disposti a mettere a repentaglio il bene più inestimabile, la nostra salute, per avere la libertà, dignità ed il riconoscimento della nostra identità”.