I don't like Mondays #1 La playlist della Madonnina
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La nostra prima playlist è dedicata a Milano. Cinque canzoni sulla città della Madonnina per accompagnarvi durante la settimana. Con Cafébabel il lunedì è un’altra storia!
Baustelle, Un romantico a Milano
Sembra di essere in una scena di Baci Rubati e invece siamo nella Milano di Luciano Lutring, il bandito degli anni Sessanta. Si suona ai bastioni di Porta Venezia e ci si ritrova in Francia, a ballare come Odile, Franz e Arthur di Bande à part. Milano come una piccola Parigi. I Baustelle come Luciano Bianciardi, lo scrittore maremmano -autore de La Vita Agra- trapiantato dalla provincia toscana al capoluogo lombardo, a cui questa canzone è dedicata. Bianciardi arriva a Milano a metà degli anni Cinquanta. Davanti a lui una città bella e romantica: Brera, il bar Jamaica, i pittori e gli scrittori, i giornalisti del Corriere «che li riconoscevi dalla cravatta», il jazz, il design e le canzoni della Mala. Aria positiva, insomma. Eppure vive alienato in una grande metropoli dove, se qualcuno si sente male per strada, nessuno lo aiuta a rialzarsi. Lui fuma, beve, traduce un sacco di romanzi dall’inglese e intanto racconta le crepe del miracolo economico, le ingiustizie e le sconfitte di chi non ce la fa. Quella dei Baustelle è anche una critica ironica e colta alla Milano di oggi: una città cosmopolita, un po’ superficiale e ingrata verso i personaggi che l’hanno resa celebre, come Piero Manzoni, e che sembra aver dimenticato l’ultimo vero romantico di Milano.
Elio e le Storie Tese, Parco Sempione
Tutto comincia con lo sfogo di un frequentatore del Parco Sempione che non riesce a dedicarsi alla piacevole lettura di un libro per colpa di un suonatore di bonghi alias Maccio Capatonda che suona senza sosta e pure fuori tempo. Ne nasce una discussione in dialetto milanese in cui ognuno dei due reclama la liberà di fare quel che più gli piace. A risolvere il problema è l’ex Presidente della Regione Roberto Formigoni, che pensa bene di radere al suolo il parco e di costruire al suo posto un grattacielo. La canzone in realtà fa riferimento al Bosco di Gioia, un vivaio dismesso in via Melchiorre Gioia, unico polmone verde in un’area invasa dal cemento, distrutto alla fine del 2005, approfittando del ponte dei milanesi, per lasciare spazio a Palazzo Lombardia, la nuova sede della Regione, nonostante la raccolta di 16.000 firme contrarie e lo sciopero della fame di Rocco Tanica. Una vera e propria denuncia in perfetto stile EELST.
Calibro35, Giulia mon Amour
Partiti da Milano nel 2007 con l’intento di reinterpretare le colonne sonore dei film italiani degli anni Settanta del filone poliziottesco, i Calibro35 si sono calati così bene nella parte da riuscire a sviluppare pezzi autografi senza sfigurare accanto agli originali. Nello «stile Calibro» confluiscono la classica, il jazz, il rock e il funk in salsa italiana. Il concept del loro ultimo album, Traditori di tutti, è la colonna sonora di un film immaginario ispirato a un racconto di Giorgio Scerbanenco. Protagonista: una Milano malavitosa all’ultimo inseguimento.
Marta sui tubi, Sushi e coca
Siciliani di nascita e milanesi d’adozione, i Marta sui Tubi hanno dedicato addirittura la title track di un loro album alla città della Madonnina. Un pezzo che racconta la bella faccia della capitale della moda, quella del sushi minimal, bello da vedere e che piace alle donne perché non macchia, e quella sfatta dei consumatori iper-produttivi di polvere bianca. Una cupa dichiarazione d’affetto alla città che si rivela tale solo alla fine: «Milano [...] è la mia sposa. Milano è un’ape impaurita vestita di seta stracciata».
Dargen D’Amico, Amo Milano
E’ l’ultima fatica di Jacopo aka Dargen D’Amico, «cantautorap» milanese in giacca, barba da hipster e occhiali da sole a specchio, che ha deciso di lanciare il suo ultimo album D’iO con una traccia sulla «capitale morale del commercio immorale». Una dichiarazione di amore e di odio per la città che vive una magia triste, a metà tra ciò che è e quello che non è mai diventata. La Milano delle famose Cinque Giornate che, dice ironicamente Dargen, non sono quelle storiche ma quelle di operatività. Le restanti due sono di “aperitività”.