I delitti d’onore restano. Amnesty denuncia
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daniela salernoMalgrado le nuove leggi, le donne turche continuano a subire violenze domestiche, senza che ci sia una vera e propria reazione da parte delle autorità. La protesta di Amnesty International.
“Guldunya Toren avrebbe chiamato il suo bambino Umut (Speranza), sapeva che non sarebbe vissuta a lungo. Incinta, aveva rifiutato di sposare suo cugino. Fu mandata a casa di uno zio a Istanbul. Uno dei suoi fratelli le diede una corda, e le chiese di impiccarsi. Lei fuggì, chiese la protezione della polizia, e le fu assicurato che né suo zio né suo fratello l’avrebbero uccisa. Nel febbraio 2004, poco dopo la nascita del bambino, i suoi fratelli hanno cercato di ucciderla sparandole per la strada. In ospedale, ha implorato la polizia di proteggerla. Una notte, in una camera non sorvegliata, i suoi assassini le hanno sparato un colpo in testa. Guldunya ha cessato di vivere poco dopo…”
In Turchia, come in altre parti del mondo, le donne vedono farsi beffe dei loro diritti fondamentali in nome dell’onore, dell’amore, della gelosia, della passione o della tradizione, nell’ambito stesso della propria famiglia. Nessuno di questi valori legittima il ricorso alla violenza. I crimini d’onore, come quello di cui fu vittima Guldunya Toren, costituiscono solamente uno degli aspetti della violenza che subiscono le donne. L’orrore di questi crimini, non ci deve far dimenticare le donne violentate, picchiate, costrette alla prostituzione e al matrimonio, talvolta giovanissime. L’obbligo alla prova di verginità, continua ad essere esercitato malgrado sia stato interdetto. Questo perché, in alcune comunità, l’onore degli uomini dipende dalla purezza delle loro donne, delle loro sorelle, della loro madre. Il comportamento delle donne è, di conseguenza, un affare di famiglia e non più una scelta individuale. Questo scandalo umanitario, che troppo spesso passa sotto silenzio, deve essere tenuto in considerazione dagli Stati, come con forza ha chiesto Amnesty International nella sua recente campagna di prevenzione “Fermate la violenza contro le donne”.
Picchiate 97% delle donne
Un terzo delle donne del mondo subisce delle violenze in famiglia. Alcuni studi ci portano a pensare che, in Turchia, ci sia una situazione simile. Un’inchiesta condotta nel 1995 e nel 1996 dalla Direzione Generale del controllo femminile da parte del primo ministro turco, ha rivelato che nelle bidonville della capitale Ankara, il 97% delle donne erano picchiate dal proprio marito. Tra le donne appartenenti alla classe media e alla classe alta, il 23 % ha dichiarato, in un primo momento, che il proprio marito era un violento, ma questa cifra è passata al 71% quando è stato chiesto loro di specificare la forma di violenza. Inoltre uno studio pubblicato dall’Istituto Medico Legale di Istambul nel 2003, rivela che su 40 donne morte di morte violenta, 34 di queste sono state uccise in casa per avvelenamento o impiccagione, 20 sono state evidentemente assassinate, e 10 avevano visibilmente subito delle violenze.
640.000 bambine non vanno a scuola
Discriminazione e violenza nei riguardi delle donne sono strettamente connesse. In Turchia una bambina ha maggiori difficoltà ad accedere alla scolarizzazione e agli studi superiori rispetto a un maschio. In alcune regioni, si viene promessi in sposa sin dalla nascita. Una volta adulta, la donna difficilmente è informata dei suoi diritti e ha minori possibilità di poter sviluppare le proprie capacità in vari settori di attività, nella politica soprattutto. Senza una professione e senza risorse finanziarie proprie, le è estremamente difficile porre fine ad una relazione violenta. Secondo l’Unicef (Il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), 640.000 bambine non vanno a scuola nonostante in Turchia sia obbligatoria, visto che lo stato accorda a uomini e a donne lo stesso diritto all’educazione. Nei libri di scuola però, le donne ricoprono spesso ruoli subalterni, sono poco valorizzate, mentre gli uomini hanno il ruolo decisionale.
L’Ue agisca
Amnesty International fa appello a tutti i dirigenti, tutti gli stati, le organizzazioni come le Nazioni Unite, l’Unione Europea e il Consiglio di Europa, per sostenere e promuovere le iniziative mirate a garantire la prevenzione della violenza e la protezione delle donne. Le autorità turche devono assolutamente mettere in opera le riforme apportate alla propria legislazione, e vigilare affinché tutte le donne che sono state vittime di violenze ottengano riscatto. I colpevoli di queste violenze devono essere condannati a pene proporzionali al loro crimine.Per quanto riguarda le istituzioni religiose, queste sono chiamate ad abbandonare qualsiasi azione che incoraggi o tolleri la violenza contro le donne e a rispettare i loro diritti.
Il governo turco, con il supporto della comunità internazionale, deve attivare dei meccanismi di protezione: dei rifugi in numero sufficiente e delle infrastrutture sociali permetterebbero di supportare le donne che hanno subito delle violenze. Il governo turco ha adottato una legge che stipula che, in ogni comune che abbia più di 50.000 abitanti, ci debba essere un rifugio per le donne. E’ vitale che questi rifugi siano sviluppati in collaborazione con donne che abbiano esperienza in materia e che beneficino della fiducia delle donne stesse. E’ anche necessario che la polizia e il potere giudiziario siano costituiti in modo da potere agire rapidamente e con efficacia contro qualsiasi forma di violenza contro le donne e accordino a queste l’importanza che meritano. Infine, l’introduzione di programmi di educazione civica nelle scuole, mirati a valorizzare il ruolo della donna nell’ambito della famiglia e della società, permetterebbe alle ragazze di diventare delle adulte fiduciose, e ai ragazzi, di vedere in loro delle compagne di pari diritti, favorendo un cambiamento di atteggiamento delle comunità. Le riforme legali, da sole, non potranno sradicare la violenza contro le donne. Il governo turco, la società civile e l’Unione Europea devono farne un obiettivo prioritario, e proprio come la tortura, promuovere una “tolleranza zero”.
Translated from Nous ne serons l’honneur de personne !