I crucchi non erano tedeschi!
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A volte è per il colore della pelle, meglio quando ha a che fare con il cibo: tra europei ci chiamiamo con nomignoli orribili, raramente simpatici, seguendo un fenomeno che si chiama “etnopaulismo” (vocabolario denigrativo dei popoli). E spesso prendiamo fischi per fiaschi: i crucchi, ad esempio, non erano tedeschi!
Eh sì, perché kruh, in serbo-croato, vuol dire pane, e lo reclamavano i poveri soldati croati dell’Impero Austriaco imprigionati dagli italiani durante la Prima guerra mondiale. Dai conflitti discende la maggior parte dei soprannomi, spesso grondanti di sangue: così gli italiani per i tedeschi e gli austriaci diventano itaker (Italienischer Kamarad), durante la Prima guerra mondiale, mentre i francesi hanno ribattezzato gli ostili germanici con il nome di una tribù marocchina che li aveva fatti sudare durante il periodo coloniale: Chleuh.
Poi c’è l’aspetto fisico, persino la consistenza della testa: boche, in francese, viene da albosh (contrazione di allemand, tedesco, e bosh, capoccia). In sintesi, i tedeschi sono teste dure. Agli inglesi basta andare in spiaggia per farsi notare, diventare rossi come un rosbeef (nel sud della Francia) e come mangosta (aragoste) e cangrejos (granchi) in Spagna.
L’odio e il disprezzo si scatenano anche quando ci si “ruba” il lavoro, ed ecco la triste storia dei ritals, chiamati così per la R dura, dagli abitanti di Aigues-Mortes, città del sale. Decine di piemontesi furono massacrati dai colleghi francesi nell’agosto del 1893, colpevoli di voler lavorare per 2/3 del salario. Per lo stesso motivo, sempre in Francia, i polacchi sono diventati polak, e i portoghesi portos.
La vendetta sui francesi la prendono gli spagnoli, chiamandoli gabachos: secondo la teoria più accreditata viene dalla parola occitana gavatx, che vuol dire rozzo contadino, barbaro come i Galli, insomma. I transalpini mangiano rane, ed è facile per gli inglesi chiamarli frogs. In confronto spaghetti (in Spagna) e maccaroni (in Inghilterra), per noi italiani è un gran bel complimento!
Illustrazione : ©Henning Studte