H&M e Zara, dalle passerelle alla strada
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silvia scalcoLe multinazionali europee - H&M e Zara in pole position - si lanciano all’assalto dell’abbigliamento. Chic ma economico.
«Esistono tre mercati», afferma Katelijne Duerinck, capo dipartimento alla Levi’s, Benelux : «la gente che compra da Carrefour, quelli che scelgono H&M, e quelli che preferiscono le grandi marche e sono disposti a spendere qualcosa in più per una qualità migliore». Poco a poco la seconda categoria sembra guadagnare terreno: Zara, marchio principale del gigante tessile spagnolo Inditex comprende 871 negozi, per un giro d’affari nel 2004 pari a 3819,6 milioni di euro (+11,9% rispetto all’anno precedente). Il marchio svedese H&M riesce a fare ancora meglio, con 1193 punti vendita aperti dal 1947, anno del suo lancio. Risultato: 7.700 milioni di euro nel 2005 (+14%). Niente male per un settore in caduta libera e incalzato dalla concorrenza cinese.
Trendy e a buon mercato
Qual è, allora, il segreto di questi «fast-food del tessile» ? Dopo il low cost dei trasporti o dell’alimentazione… la democratizzazione si applica anche alla moda. «Da H&M c’è molta scelta e i prezzi sono più bassi», afferma Mamitsho, studentessa di venticinque anni. Stéphane, giornalista trentenne, adora «trovare delle imitazioni delle grandi firme senza rovinarsi». Frédéric, amministratore di società, è più severo rispetto alla qualità : «H&M è robaccia a poco prezzo». Per Colombe, trentatrè anni, «Zara è molto più chic».
Carta vincente di questi colossi dell’abbigliamento: i prezzi. E un’ampia scelta. Sugli scaffali di H&M si possono trovare vestiti per bambini, teenagers, donne incinte o grandi taglie, senza contare gli accessori o i cosmetici. Ma è Zara il campione dell’innovazione, con il suo modello commerciale personale: tutte le fasi del processo produttivo (creazione, produzione e distribuzione) sono realizzate dal gruppo stesso, con sede a La Coruña (Galizia). Di conseguenza, i tempi si accorciano, la flessibilità aumenta e Zara può esporre nuovi modelli in un lasso di tempo molto ridotto. A fronte dei circa nove mesi necessari all’industria dell’abbigliamento per far arrivare ai negozi una collezione, a Zara bastano due o tre settimane. Risultato: niente stock e poco invenduto in caso di errore di tendenza. Altro segno distintivo: il “no marketing”. Le grandi firme spendono in media il 3,5 % del loro giro d’affari per le campagne di comunicazione, Inditex si accontenta dello 0,3 %.
Per quanto riguarda il trend, le loro collezioni si ispirano direttamente (copiando?) ai grandi delle passerelle. I due gruppi contano poi su un’armata di stilisti al loro servizio (duecento da Zara, un centinaio per H&M). H&M ha sferrato l’attacco anche al mondo super esclusivo dell’alta moda. Nel 2004, il gruppo si è rivolto allo stilista Karl Lagerfeld perché disegnasse una serie di modelli. Febbre da shopping senza precedenti: le fashion victims sono rimaste in coda per ore, pur di acquistare i preziosi esemplari! Lo stesso scenario si è ripetuto lo scorso novembre, in occasione del lancio delle creazioni di Stella Mc Cartney.
«Le stesse collezioni in tutti i paesi»
«Proponiamo le stesse collezioni in tutti i paesi» afferma Marianne Nerinckx, dipendente di H&M Belgio. Un Particolare sorprendente, considerando che il marchio è presente in ventidue paesi e intende installarsi a breve anche a Dubai e in Kuwait. Stando al sito web di Zara, «le frontiere non impediscono la condivisione della cultura della moda»! Tuttavia, alcuni paesi sono clienti migliori di altri: è in Germania, Svezia e Gran Bretagna che H&M vende di più. Zara ha saputo esportare il proprio marchio fino all’America del Sud, al Medio Oriente e all’Africa.
Sull’esempio di altre multinazionali, H&M e Zara giocano la carta della responsabilità sociale d’impresa per dare lustro alla loro immagine. Gli obiettivi dichiarati sono ambiziosi: dal 2002, Inditex, società madre di Zara, elabora ogni anno un rapporto sullo sviluppo sostenibile. Quanto al gruppo H&M, esso partecipa ad un numero impressionante di progetti umanitari: sostegno all’Unicef in Cambogia, aiuto ad alcune organizzazioni di lotta contro la droga (da cui l’annullamento del contratto a Kate Moss, travolta dallo scandalo della cocaina), rispetto dell’ambiente (utilizzo dell’etichetta ecologica dell’Ue) o ancora, assistenza ai giovani del Bangladesh. Resta la speranza che tutte queste buone pratiche siano valide anche nelle loro fabbriche delocalizzate in Asia. Che rappresentano il 30% della produzione per Zara e il 60% per H&M.
Translated from H&M et Zara : des podiums à la rue