Hacking: ho provato ad incontrare la comunità russa di Berlino
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Russiagate e altre misteriose operazioni informatiche. Quando si parla di influenza russa nella geopolitica, l'associazione è subito con l'hackeraggio e le operazioni pirata alla Putin. Ma non è tutto spionaggio quel che luccica sui tasti di un computer. La prova? La comunità russa a Berlino nella quale mi sono infiltrato, proprio a ridosso delle elezioni presidenziali in Russia.
Sono giorni intensi per gli amanti della politica e dei conflitti internazionali, ma che dico giorni: settimane, mesi, anni piuttosto. Basta scegliere un avvenimento politico rilevante come le elezioni presidenziali statunitensi e combinarlo con “influenza russa” su un qualsiasi motore di ricerca e in cima alla lista dei risultati comparirà nientemeno che un articolo di un giornale più o meno autorevole che svela misteriosi retroscena su come il risultato sarebbe stato falsato da un intervento made in Cremlino. Nel caso specifico è stato coniato pure il termine “Russiagate”, con quel gate così caro agli americani. Ma questo stesso procedimento lo si può ripetere più e più volte.
Un remake di un James Bond d'annata
Le ultime elezioni politiche italiane del 4 marzo ne sono la prova, ma ripercorrendo all’indietro il recente passato si nota come lo stesso valga anche per le elezioni tedesche, dove la Russia avrebbe supportato il nascente partito di estrema destra Alternative für Deutschland, e il referendum inglese sull’uscita dall’Unione Europea, la Brexit. Per un attimo mi stavo per dimenticare le elezioni francesi, imperdonabile, che non fanno chiaramente eccezione. Oltre alle motivazioni politiche, l’aspetto che accomuna tutte queste più o meno presunte interferenze nei processi democratici del mondo occidentale è quello informatico. Infatti detta in modo grossolano, la modalità è sempre la stessa e prevede l’infiltrazione di hacker nei sistemi dei rispettivi paesi, chiaramente con le dovute differenze del caso.
Il ripetersi di un’affermazione o di un concetto in maniera perentoria è certamente una forma di propaganda, tra l’altro particolarmente utilizzata al giorno d’oggi, DA TUTTI! Però la domanda sorge spontanea: è proprio inevitabile questo binomio Russia-hacker? Perché non ci capita mai di sentire che un’azione di hackeraggio che ne so… italiano, ha alterato un’elezione in un qualche altro paese? C’è davvero un incontrastabile strapotere Russo a livello mondiale per quel che riguarda lo sfornamento di hacker che lavora incessantemente per favorire gli interessi nazionali sfruttando le falle dei sistemi altrui? Io personalmente non ne so niente. Incuriosito ho però deciso di provare a parlarne con qualcuno che potrebbe saperne più di me. Abbiamo scleto Berlino, perché è proprio qui dove vivo che c'è una folta comunità di russi radicati in Germania.
L’appuntamento è fissato per sabato all’ora di pranzo con la blogger fondatrice di Berlinograd, blog specializzato sulla comunità artistica russa di Berlino. Prima di uscire di casa accenno la mia missione giornalistica alla mia coinquilina, una svizzera per metà russa, che con fare dubbioso mi lascia intendere neanche poi così indirettamente quanto vano sia il mio tentativo. Non è proprio un’iniezione di fiducia, ma d'altronde ne ero già consapevole. Mentre mi sto preparando per uscire di fronte alle scale che portano a camera sua la vedo seduta sul letto con il suo portatile “che lavora”. Per un attimo ho un brivido che mi percorre tutta la schiena e che sale fino al cervello, “non sarà lei stessa una hacker?”.
Mi rendo conto di essere entrato troppo nella parte e con gentilezza provo comunque a farmi dare qualche informazione che potrebbe tornarmi utile. Mi dice quanto vano sia provare a snocciolare un tema così complicato, soprattutto da outsider ignorante (questo lo aggiungo io) quale sono e mi sferra un colpo che non lascia scampo dicendomi che tanto, qualsiasi cosa si scriva, coi Russi si finisce sempre per essere di parte: o stai dalla loro o sei contro. Il contesto internazionale non mi aiuta. Nei giorni scorsi, la notizia è quella di un improbabile caso di avvelenamento, che passa per un remake di un vecchio James Bond. Si tratta dell’avvelenamento di Sergej Skripal, un ex membro dei servizi segreti russi, un doppiogiochista a quanto viene riportato nei media, ritrovato assieme alla figlia Yulia in un parco nel londinese, entrambi privi di sensi e con addosso tracce di gas nervino. La mia coinquilina non è stupita dall’accaduto e addirittura mi riferisce come i media russi facciano traquillamente presente che scegliendo quella professione è inevitabile fare una brutta fine. Ragionamento semplice e lineare, nulla da obiettare. Nonostante questi dubbi iniziali, cerco ancora di ottenere alcune informazioni che potrebbero essermi utili. Il Problema? Ottengo sempre la stessa risposta. La mia coinquilina risponde che il soggetto è troppo complicato e che con i russi, indipendentemente da ciò che si scrive, si finirà sempre per prendere le parti: o per loro, o contro di loro.
Sono seduto ai tavoli a ridosso della strada di un café nel pacifico quartiere di Prenzlauerberg, nella parte nord di Berlino, non dovrò aspettare neanche 5 minuti prima che arrivi Bea, la mia interlocutrice, ma durante la mezz’ora di viaggio per arrivare al luogo d’incontro concordato, la mia unica compagna di viaggio è l’ansia di non saper cosa chiedere e di non riuscire a trovare alcuna chiarezza in questa complicata questione. D’altro canto le prospettive non sono di certo le migliori e la mia coinquilina mi ha messo in guardia, per non dire tagliato le gambe. La mancanza di speranze un po’ mi rinfranca ma cerco comunque di trovare conforto. Con un po’ di fantasia e le conoscenze della lingua tedesca a mia disposizione mi convinco che dietro al cognome della mia esperta,Grundheber, si celi un significato ben preciso: “der Grund” è il motivo, la ragione, “hervorheben” è un verbo che significa mettere in evidenza o mettere in luce. Non può che essere la persona giusta. Finalmente qualcosa di promettente. Mi ci aggrappo mentalmente con grande convinzione.
Un cappuccino per lei e un caffè per me e sotto con le domande. Una, due domande e il mio castello di sabbia è già crollato. Bea mi dice molto chiaramente che lei del mondo digitale o più in particolare degli hacker non se ne occupa né le interessa. Di fronte a me siede una ragazza tedesca sicura di sé, con una passione per le persone e per quello che hanno da offrire. Lei viene da Treviri, città di origine romana tra le più antiche dell’intero territorio tedesco, storicamente e geograficamente ben lontana dalla terra degli Zar. Mi racconta un po’ com’è nata la sua insolita passione per la Russia e per i suoi cittadini. Sin da giovane si è sempre circondata di persone, per la maggioranza arabi e russi, e quando si è vista costretta a fare una scelta, ha optato per quest’ultimi. Quando il susseguirsi degli eventi l’ha condotta in Russia, ha notato come allora, una quindicina di anni fa, le persone che ha incontrato nella capitale e a San Pietroburgo smaniassero per tutto ciò che era occidentale, attirati da vestiti, musica e quant’altro. Afferma di essere stata affascinata dalle singole persone, da quanto abbiano da offrire, dal loro approccio verso gli altri così carico di positività e di come esprimano di se stessi.
Una volta arrivata a Berlino e già a conoscenza della grande attività artistico-culturale che vanta la comunità russa nella capitale che già storicamente fonde in maniera unica le culture dell’Europa dell’est e dell’ovest, fremeva per entrare in contatto con gli artisti di questo mondo a lei così caro. Non conosceva praticamente nessuno, ma le è bastato un contatto, fortunatamente quello giusto, perché le si aprissero le porte di questo universo vibrante di vita e voglia di fare. A suo dire si tratta di una comunità molto aperta, come dimostrato dalla sua esperienza personale, e capace di integrare al suo interno persone di ogni genere e orientamento, senza riserve.
Se si desidera avvicinarsi ed esplorare una nuova cultura, la caparbietà è una qualità imprescindibile. Bea mi racconta di come, trasportata dal desiderio di incontrare questi tolle Menschen (persone incredibili), braccasse e quasi placcasse fisicamente ogni russo o russofono che le capitava a tiro - “mi bastava sentire per strada qualcuno che parlasse in russo, magari al telefono, per fiondarmici contro e iniziare a parlarci”. Lei non sa spiegarsi da dove le sia nato questo desiderio di collegarsi agli altri, ma dice che tutt’ora quando ne ha la possibilità cerca sempre di creare nuovi legami introducendo varie persone tra loro, favorendo quello spirito comunitario così giusto, ma spesso così assente in periodi di grande diffidenza come quello attuale. è proprio qui che decido di non provare a insistere con le domande mirate e politicizzate. Quando provo a capire se sia possibile distinguere tra diversi profili di creativi di matrice russa all’interno della sua comunità, mi risponde che lei non ha alcun interesse a capire che orientamento abbiano le persone con cui si confronta - “quello che mi interessa è sapere cosa possa fare la persona che mi sta di fronte per rendere Berlino più bella” - e mi spiega come questa idea sia rappresentata nel suo blog, e come nome e logo siano stati appositamente scelti per trasmettere questo concetto.
Berlinograd, così si chiama il suo blog, è infatti un termine che veniva utilizzato nella Berlino di inizio secolo scorso (accertamenti mi riportano agli anni 20) per definire una città che combinava povertà e un fortissimo desiderio di diletto e quindi di espressione. Il blog si incarna visivamente nell’orso diventato in epoca recente il simbolo ufficiale di Berlino, ma con una differenza: ossia che l’orso di Berlinograd, diversamente dalla posizione per certi versi composta del suo cugino ricamato sulle bandiere che sventolano sulle aste degli edifici pubblicità della città, fa una sorta di scatto verso l’alto con il muso, quasi a voler lasciar uscire tutto ciò che ha in sé con un bramito esplosivo.
La chiacchierata prosegue piacevole nel decisamente fresco primo pomeriggio che si oscura e si lascia andare a qualche goccia. Le mie domande perdono di attinenza rispetto quello che era l’obiettivo iniziale, ma guadagnano in empatia verso chi mi sta raccontando la sua storia e l’evoluzione della sua passione in qualcosa di concreto. Poco male, d’altronde mi trova estremamente d’accordo sull’apertura verso il mondo e i suoi abitanti, russi o meno che siano. Mi pare ormai chiaro che la comunità russa di Berlino, almeno nella sua variante artistico culturale, non meriti di alcun trattamento particolare, certamente non per quel che riguarda sospetti stereotipati. Se si è intenzionati ha diffidare del prossimo sono abbastanza convinto che sia possibile trovare ottimi motivi per farlo con qualunque comunità, di cliché il mondo è pieno. La mia coinquilina mi appare convinta credere nel fatto che gli hacker russi esistano e che siano anche abili a fare ciò che fanno, qualsiasi cosa sia. Ma questo non vuol certo dire che ogni russo con un computer investa il suo tempo nel provare a rubare i miei o i vostri dati personali; o almeno non più di quanto non faccia una qualsiasi azienda di marketing nel mondo occidentale. Se questo non basta come rassicurazione, allora forse varrebbe la pena di impegnarsi e rendere più sicura la propria navigazione, informandosi, leggendo, applicandocisi. Ma i tolle Menschen che brillano nei pensieri di Bea non sono solamente quelli con i quali lei ha avuto modo di avere a che fare, possono venire da mille angoli di questo mondo e avere qualità tra le più inimmaginabili. E perché no, anche essere dei russi particolarmente abili con il computer.
Mi sento sollevato, ma non è abbastanza. La comunità artistica di cui si interessa Bea è una nicchia per quanto felice e relativamente lontana dal mondo digitale che sto cercando. Prima di andarsene Bea propone però di mettermi in contatto con un suo conoscente che lavora presso una startup con duplice sede nella Silicon Valley e a Berlino e che usa gli hacker per fornire tecnologia all’avanguardia e soluzioni innovative per aziende. Chiaramente accetto. Il suo contatto si mostra disponibile, ma si vede costretto a rinunciare per via di un viaggio di affari che mal si combina con la pressante scadenza dell’articolo. Peccato, anche lui, afferma, trova infatti interessante il tema di come la società percepisca gli hacker russi. Nel breve scambio di e-mail noto che il suo “(russi)” è tra parentesi, a conferma del fatto che essi rappresentano comunque soltanto una parte del tutto. Per un attimo torno a sognare, già mi immagino i titoli di apertura dei rotocalchi televisivi nazionali il giorno dopo le elezioni presidenziali in Russia che si terranno il prossimo 18 marzo: “HACKER ITALIANI ALTERANO RISULTATO ELETTORALE IN RUSSIA, PUTIN ARRIVA SECONDO”. Torno coi piedi per terra e decido di chiedere a qualcun altro.
« I media tedeschi hanno una visione molto parziale dei russi »
Questa volta tocca ad Anton Himmelspach, collaboratore della testata online дekoder o dekoder, la quale si pone come obiettivo quello di decodificare (appunto) la Russia, offrendo media e competenza. Anton mi racconta che l’avventura di dekoder, online dal 2015, "nasce dalla necessità di raccontare una Russia diversa da quella mostrata nella cronaca tedesca, a nostro avviso troppo di parte". Il compito che si sono preposti non è semplice, poiché rischia di ricadere in quella polarità pro-anti Russia. Proprio per questo si è infatti deciso di fungere da megafono per quelle voci indipendenti che fanno altrimenti difficoltà a emergere. Dekoder si affida infatti a una rete di traduttori, studiosi ed esperti di comunicazione per fornire spazio a media, giornalisti e fotografi indipendenti. Tra il poco tempo a disposizione e le varie problematiche con la linea telefonica provo a chiedergli se gli hacker russi sono oggetto di cronaca così come lo sono nel mondo occidentale, ma la risposta è chiaramente negativa: capita sì, ma non così spesso.
Anton non fa mistero dell’elevata faziosità dei media russi, facendomi notare che stando alla classifica sulla libertà d’informazione la Russia si attesta al 148esimo posto su 180 paesi presi in esame, ma afferma anche che è proprio dal mondo digitale che emergono le voci fuori dal coro. Quando gli chiedo più specificamente che cosa sa riguardo agli hacker russi, domanda per certi versi già di per sé paradossale, mi risponde che è vero che la Russia sia una fucina di persone abili con il computer e la tecnologia, ma che si tratta pur sempre di persone e che come tali, anche loro fanno delle scelte. Mi spiega che comunque gli stipendi russi, anche nell’ambito informatico, sono relativamente bassi e che quindi alla fine dei conti i migliori tendono comunque a emigrare verso ovest, alla ricerca di un benessere maggiore - "è dagli anni 90 che è così" sostiene. Lui personalmente mi dice che conosce due o tre programmatori con passaporto russo e mi è parso di capire che non stessimo parlando di fanatici cresciuti a computer e propaganda.
La propaganda russa esiste e verosimilmente funziona, ma certo è che la scelta di caratterizzare all’estremo un elemento o una figura come quella dell’hacker russo è a sua volta una forma di demonizzazione e quindi di propaganda. Se poi a parlarne è uno studioso che è da anni che lavora alla sua tesi “Legitimitätsdispositiv des Putinismus“ (Dispositivo di legittimazione del Putinismo), beh… io tenderei a fidarmi. Inoltre Bea mi ha raccontato di un consiglio utile che le fu dato quando ha avuto modo di insegnare per un periodo in Russia. Il direttore della scuola la avvisò di non distinguere i propri studenti per orientamento politico, sessuale o religioso, perché non avrebbe fatto altro che porre una barriera insormontabile tra lei e i suoi studenti, togliendo così tutto il divertimento di conoscere la persona che si cela dietro a quel muro. Direi che per quanto made in Russia rimane pur sempre un ottimo consiglio. E se dopotutto proprio non ci si vuole chiedere, il 21 Settembre a Berlino c’è il RUSummit, conferenza specifica sull’economia digitale in Russia, quale occasione migliore per provare a smascherare qualche hacker?
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