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Goran Bregovic, ritmo europeo

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Anna Castellari

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La musica di Goran Bregovic, ex rock star, compositore serbo-croato, nota al pubblico grazie alle sue collaborazioni cinematografiche con Emir Kusturica, tocca i quattro canti ’Europa, al seguito di violoncello e bandonion. Ritmo gitano, accordi europei.

Il caposaldo del mosaico culturale balcanico è lui. Artista eclettico, Goran Bregovic mi accoglie nell’ambiente intimista di un camerino del Cabaret Sauvage a Parigi, dove ha presentato, in dicembre, la sua opera gitana, Karmen di Goran Bregovic con lieto fine. Il suo volto è incorniciato da riccioli neri, occhi sorridenti, che brillano ancora di quella magia dello spettacolo appena presentato ad una sala gremita. Intorno ad un bicchiere di whisky Bregovic ricorda con me i suoi inizi nel mondo della musica a Sarajevo, sua città natale. «Ho cominciato a suonare le prime note su un violino, ma all’epoca le ragazze preferivano la chitarra. A sedici anni ho cominciato la mia carriera come chitarrista, nei locali di streap tease».

Il suo percorso, pur essendo molto eclettico, è esemplare. Figlio di madre serba e padre croato, credeva che la sua generazione «stesse scappando da una guerra. Inutilmente». Suo padre era colonnello, come suo nonno. «In ogni famiglia c’era un ufficiale perché i paesi come il mio avevano bisogno di molti militari», sottolinea il mio ospite. Nel 1991, mentre le prime guerriglie sconvolgevano l’ex Jugoslavia, Bregovic compone la colonna sonora di Arizona Dream, girata in parte a Parigi, e decide finalmente di stabilircisi stabilmente. In un piccolo appartamento nel Marais comprato in gioventù. «Sono stato la più grande star del rock'n’roll nel mio Paese per quindici anni, e ho perso tutto improvvisamente. È raro ricominciare da zero, essere un debuttante due volte. Ero nel panico e ho dovuto lavorare molto, all’inizio». Dirige venti film in tre anni, senza abbandonare la pubblicità della margarina e del profumo. «Ho avuto la fortuna di non rimanere chiuso a Sarajevo, ma di vivere a Parigi, città abituata da secoli ad accogliere artisti, scrittori russi, scandinavi, pittori spagnoli. Gli slavi, in altri posti, diventano al massimo ladri o lavoratori di fatica, ma mai artisti. Qui invece no».

Un successo folgorante

Col suo francese perfetto, qui e là caratterizzato dall’accento slavo, mi racconta con umiltà come ha conosciuto per la seconda volta un successo folgorante, barcamenandosi abilmente tra musica e cinema. È così che realizza le colonne sonore di prestigiosi registi quali Emir Kusturica, Patrice Chéreau e il rumeno Radu Mihaelanu. E, ammette, ha composto la colonna sonora de Il tempo dei gitani, per la quale ha ricevuto un disco d’oro in Francia, «grazie all’amicizia» con il suo complice di sempre, Emir Kusturica.

«Non sono un grande compositore di colonne sonore dei film, considero noioso questo genere di illustrazione. E poi la mia musica è troppo aggressiva: in realtà ho avuto la fortuna di lavorare con dei registi che non hanno davvero bisogno di veri compositori».

Portavoce del multiculturalismo, ammette la difficoltà di riunire musicisti così diversi tra loro quali l’americano Iggy Pop, l’israeliana Ofra Haza e la capoverdiana Césaria Evora, mescolando tutte le nazionalità e i credo religiosi. Sposato con una bosniaca, si descrive come «un compositore proveniente da un campo d’azione eclettico, in un territorio posto sotto dominio turco per cinque secoli, unica frontiera diretta tra i cattolici ortodossi e i musulmani». Questo cocktail culturale gl'ispira un’opera gitana, la cui protagonista è una Karmen balcanica, con la K e l’accento slavo. Per inventare la storia di questa eroina gita, è «partito da una storia vera: le ragazze dell’Est che arrivano in Europa con la promessa di una vita dignitosa, e finiscono per la strada a prostituirsi per qualcuno». Questa creazione, dice con orgoglio, aveva per ambizione quella di tornare nel repertorio di orchestre gitane, perché «l’opera è roba da ricchi, ma la gente è disposta a vederne una per poveri che si può recitare ai matrimoni o ai funerali». Una scommessa vinta. Il suo spettacolo ha fatto il giro del mondo, dall’Argentina alla Russia, dalla Germania a Israele passando dal Giappone.

Balcani selvaggi

Ambasciatore incontestato della musica balcanica, Goran Bregovic percorre i teatri del continente da dieci anni con la sua famosa Orchestra per i matrimoni e funerali. Raffinato conoscitore della cultura gitana, condanna il disprezzo di cui sono vittime i gitani in Francia e in Inghilterra, ma anche nei paesi dell’Europa centrorientale. E vorrebbe che li si considerasse maggiormente in Europa. Per i suoi popoli nomadi che hanno «dato molto, Django Reinhardt, il flamenco, delle influenze nella cultura musicale europea che non si possono ignorare», Bregovic invita al rispetto ed alla riconoscenza.

A dieci anni dagli accordi di Daytona, resta piuttosto fiducioso sulla situazione nella quale versano i Paesi dell’Est. «Guardando alla storia, s’intravvede una tendenza che oscilla tra entusiasmo e disperazione. Sono sempre le stesse guerre tra religioni, etnie, con la Bosnia e il Kosovo sotto un protettorato europeo pressoché inefficacie. Oggi ci troviamo, tuttavia, in un periodo di ottimismo, perché l’impressione è che l’Europa abbia una strategia fattibile per noi». Per Bregovic, «il futuro dell’Europa si gioca inevitabilmente nei Balcani. Sarebbe un problema per tutta l’Europa, che ci circonda, avere dei paesi “selvaggi” in mezzo: la Grecia a Sud, la Bulgaria a Nord e presto la Romania». Tra whisky, chitarra e bandonion, Goran Bregovic si mostra più che ottimista: «l’Ue ha tutti gli interessi nell’integrare dei “selvaggi” come noi», conclude sorridendo.

Translated from Goran Bregovic, tempo européen