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Goncourt 2012 a Jérôme Ferrari: si può ancora credere nei premi letterari?

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Culturasocietà

Non è una novità che i riconoscimenti letterari siano sempre più vittima delle pressioni economiche dei grandi gruppi editoriali o del livello di starificazione degli scrittori. Si può ancora avere fiducia nell'autentico valore di chi li conquista?

Dopo la fresca vittoria di Jérôme Ferrari con il suo “Le Sermon sur la chute de Rome”, ecco tre buoni motivi per continuare a credere in un premio letterario come il Goncourt.

Diciamoci la verità: l'Accademia del Goncourt – il premio letterario più prestigioso di Francia – stava iniziando a dare preoccupanti segni di malessere negli ultimi anni. Dopo la vittoria “honoris causa” regalata a Michel Houellebecq nel 2010 - “La carta e il territorio” non era di certo la sua migliore prova letteraria - e quella un po' forzata del professorone Alexis Jenni (e del suo scritto soporifero “L'arte francese della guerra”), arrivata guarda caso nell'anno del centenario della nascita della casa editrice che l'ha pubblicato, Gallimard, si sentiva la necessità che il premio riacquistasse un po' di credibilità silurando pressioni economiche e scrittori in naftalina e ritornando a valutare i testi.

Tre buoni motivi per fidarsi del Prix Goncourt

Devono averla pensata così Pierre Assouline e Philippe Claudel, i nuovi giurati dell'Académie, ai quali molto probabilmente dobbiamo la prima buona notizia di questa edizione, e cioè che i mastodonti dell'edizione d'Oltralpe – la già citata Gallimard o Grasset – sono stati esclusi perfino dal quartetto dei finalisti. La vittoria è andata infatti ad Actes Sud, una piccola casa editrice fondata in un paesello della Provenza, Arles, che quest'anno ha sfornato una serie di titoli da fare impallidire per qualità della scrittura e temi trattati. Speriamo che, dopo le accese polemiche di quest'anno, anche il nostro noioso e scontato Premio Strega possa prendere il buon esempio.

La seconda buona notizia, ma non per importanza, è che a vincere sia stato Jérôme Ferrari (non più di tre righe sulla sua pagina Wikipedia), autore corso classe 1968, professore di filosofia prima in Algeria, poi ad Abu Dhabi – quindi ben alla larga dai salotti letterari germanopratins - e già al suo sesto libro dopo l'ottimo Dove ho lasciato l'anima, affresco intenso e commovente della guerra d'Algeria. Nel suo ultimo romanzo, invece, torna a parlarci della sua Corsica. Prendendo in prestito fin dal titolo la teoria di Sant'Agostino secondo cui “il mondo passa dalle tenebre alle tenebre”, è il romanzo della crisi, il racconto dell'eterna lotta tra gli ideali di chi vuole un mondo migliore e l'impossibilità di realizzarli. Ne sanno qualcosa Matthieu e Libero, i protagonisti, le cui viscere gridano vendetta per non essere riusciti a cambiare il mondo né a Parigi, dopo i brillanti studi di filosofia, né quando, delusi, decidono di tornare nel paesello natale per trasformare il bar che prendono in gestione nel “migliore dei mondi possibili”.

Aurélien Bellanger, autore già vecchio pur essendo all'esordio

La terza buona notizia è Aurélien Bellanger – il nostro Paolo Giordano - lo scrittore che, a suon di interviste, recensioni entusiastiche e battage pubblicitari, sembrava avere il premio in tasca fin dal mese di agosto, sia rimasto a bocca asciutta. Autore già vecchio pur essendo all'esordio, ha invaso gli scaffali delle librerie con il suo pesantissimo tomo dal titolo “La théorie de l'information”, un'epopea geek sulla storia dei mezzi di comunicazione in Francia dal Minitel al web 2.0. Yeah! Unanimemente (o quasi) definito il miglior romanzo francese dell'anno, sembrava non avere punti deboli. Così come il suo autore: giovane, bello e intelligente. Così come la sua casa editrice d'esordio: indovinate un po'? Gallimard. Per fortuna non a tutti piace vincere facile!

Foto: (c) vic xia/flickr