Gli studenti si risvegliano, in Francia: un nuovo '68?
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Silvia Spolaore MergaertPer oltre un mese alcune università francesi sono state bloccate giorno e notte dall’occupazione degli studenti. Il motivo? Un recente progetto di legge che propone di limitare l'accesso all'università. Dopo l'evacuazione di due università a Parigi e con l'avvicinarsi degli esami, la reazione si organizza. La nostra reporter è stata nel cuore della lotta a fianco degli studenti parigini.
11 di sera. Una fila di CRS (Compagnies Républicaines de Sécurité, corpo speciale della polizia francese che interviene essenzialmente nel mantenimento e nel ripristino dell’ordine pubblico. È il corrispondente dei celerini italiani. N.d.T.) circonda l'edificio dell’Università Paris 3: non è possibile mettere nemmeno la punta del naso fuori dal campus. I manifestanti si chiedono perché non possano tornare a casa e nessuno sa davvero dove andare. A dire il vero non lo so nemmeno io. Non mi trovo spesso in questo tipo di situazione. Due manifestanti sembrano disorientati almeno quanto me: Julien e Stéphanie (si fa chiamare Stéphie) non sono più degli studenti, ma sono qui per difendere le loro idee. Stéphie mi racconta che ha vissuto la stessa situazione qualche anno prima: "Ci siamo fatti caricare dai celerini e poi siamo stati messi in stato di fermo! Uno scandalo che non voglio vivere di nuovo!" Tremando di paura, aggiunge: "Ho un figlio che mi aspetta a casa, devo rientrare per occuparmi di lui".
La fine dell'università libera?
Da oltre un mese, il mondo studentesco è scosso da movimenti di blocco e occupazione delle università francesi. Il motivo? Un progetto di legge adottato dal Senato l’8 febbraio (battezzata Legge ORE) che propone di rendere più dure le modalità di accesso all’università. Finora, in Francia, l’università era aperta a tutti senza selezione preliminare. Un principio simbolico per certi studenti francesi che pensano di non poter essere privati di questo diritto. Da quando è stata creata "Parcoursup", la nuova piattaforma che gestisce le scelte di orientamento dei liceali, il dibattito è più acceso che mai. Ed è proprio nel cuore delle università che tutto si decide: impossessandosi degli atenei, gli studenti mobilizzati fanno pressione sul governo. In tutta la Francia i giovani insorgono per difendere la «loro» università. Il 10 aprile, al culmine della contestazione, una trentina di università nel paese erano mobilizzate.
Una tra tutte è Tolbiac, la facoltà principale dell’Università Paris 1 così chiamata dal nome della via nella quale è situata (nel XIII arrondissement di Parigi). Tolbiac è stata un po’ la star della mobilizzazione: dal 26 marzo i militanti hanno occupato il sito e se ne sono completamente appropriati, trasformandolo in "Comune libera e autogestita». Gli studenti ne hanno fatto un vero e proprio luogo di vita, dove dormire, mangiare e perfino organizzare lezioni alternative, conferenze e dibattiti. In totale, oltre mille manifestanti hanno occupato la facoltà, prendendo d’assalto le tre torri e il cortile a conca. Il 3 aprile un’assemblea generale degli studenti ha votato un’occupazione illimitata del sito fino all’abrogazione della legge. Ma poco più di due settimane dopo, il governo ha fatto suonare la campanella che segna la fine della ricreazione inviando delle compagnie di CRS a scacciare gli occupanti.
"La lotta è più importante della stanchezza"
Sull’onda dell’evacuazione del campus di Tolbiac, la rivolta continua. E si organizza. Al mio arrivo la folla è ammassata davanti all’entrata dell’università e l’atmosfera è piuttosto tesa. Gli studenti che non erano presenti al momento dell’intervento dei CRS tentano di aggiornarsi su ciò che è realmente successo. E le chiacchere corrono: si parla di uno studente in coma, ma nessuno è in grado di confermare la fonte.
"La nostra mobilizzazione ha subito una svolta: la prima stagione è finita, spazio alla seconda."
Sotto un sole rovente, i militanti si riuniscono finalmente sulla piazza esterna e improvvisano un’assemblea per decidere il seguito degli eventi. Al megafono le proposte piovono: "Abbiamo fatto un casino, allora adesso bisogna agire. E che ci serva di lezione. Perché non occupiamo una stazione? Abbiamo perso una facoltà, ma ne restano altre. Non abbiamo bisogno di un posto fisso per lottare!". Juliette riassume il loro stato d’animo in una frase: "La lotta è più importante della fatica!".
Si prende finalmente una decisione: i militanti si spostano sul campus annesso di Saint- Charles, nel XV arrondissement di Parigi. Per loro, la lotta è appena cominciata: "La nostra mobilizzazione ha subito una svolta: la prima stagione è finita, spazio alla seconda. Entriamo in una nuova fase, nella quale la nostra forza saranno le manifestazioni di massa". Ed alcuni hanno percorso chilometri per esprimere il loro sostegno: Mehdi, per esempio, è venuto da Marsiglia.
Arrivata al campus Saint-Charles, incrocio Steven, uno studente della facoltà d’arte che ho conosciuto il giorno prima durante una manifestazione. Mi spiega: "Blocchiamo il campus dal 6 aprile. Come a Tolbiac organizziamo lezioni alternative, conferenze, proiezioni di film… E la maggior parte dei professori ci sostiene. Ma adesso, a partire dalle tre, rischiamo di farci evacuare dai celerini. Restiamo qui lo stesso, ma la situazione è confusa". Steven ha ancora il costume che portava alla manifestazione del 19 aprile scorso: delle alette rosse con delle luci intermittenti. Ancora accese, del resto, come un barlume di speranza che non si spegne mai.
Sudore e pizza fredda
La folla di studenti fa scorta di pizze da asporto per il pranzo prima di entrare nell’università. Arrivando, resto colpita: il campus è pulitissimo. Niente vandalismo, né sporcizia, né graffiti. Gli studenti vogliono mantenere la loro facoltà in buono stato e le regole sono strette. Una rappresentante del campus di Saint-Charles le espone ai nuovi venuti di Tolbiac: "Per noi è importante tenere la facoltà pulita, quindi, per favore, niente graffiti sui muri". Ma, quando scendiamo le scale per accedere all’anfiteatro dove si terrà l’assemblea, c’è un black-out. Nell’anfiteatro l’assemblea è già cominciata. Uno studente scandisce: "Oggi hanno provato a toglierci la libertà di manifestare e di esprimerci. È per questo che non siamo più cittadini della Francia ma cittadini delle comuni libere e autogestite che abbiamo creato".
Nel cuore del dibattito, un problema martella: con la minaccia di irruzione dei CRS, è meglio raggrupparsi in un solo campus per unire le forze o privilegiare l’occupazione di più siti? Le opinioni divergono: per Thomas* (il nome è stato modificato), "Ci vuole una convergenza massiva sul sito principale della Sorbona (nel centrale V arrondissement di Parigi N.d.R.). Non possiamo continuare a occupare delle zone isolate e indipendenti che cadono una dopo l’altra". Ma altri studenti intervengono per contraddirlo: "Dobbiamo tenere i nostri campus rispettivi fino alla fine, perché abbandonare un sito è un'ammissione di debolezza!".
In queste assemblee il voto si fa per alzata di mano e, mentre uno studente parla, si agitano le mani per esprimere approvazione, come nel movimento degli Indignados in Spagna. Ma da quando sono qui, la folla fa fatica a restare concentrata sulle questioni urgenti. Elsa richiama l’assemblea all’ordine: "Adesso è urgente decidere quale risposta dare allo sgombero di questa mattina a Tolbiac, bisogna fare qualcosa!". Il dibattito stagna: è difficile mettere d’accordo una folla di studenti su una moltitudine di tematiche diverse.
Eppure le loro rivendicazioni sono simili: tutti vogliono reclamare più mezzi per l’insegnamento superiore e denunciano la politica finanziaria del governo, che secondo loro lascia questo settore all’abbandono. In realtà, il budget dell’Insegnamento superiore aumenterà di 700 milioni di euro nel 2018 secondo la ministra dell’educazione Frédérique Vidal. Ma l’aumento del numero degli studenti è tale che queste risorse non sono più sufficienti. Troppi studenti, penuria di professori, aule strapiene e fatiscenti: il sistema universitario dovrebbe essere rinnovato in profondità.
"All’arrivo dei celerini questa mattina, sono stata isolata in un anfiteatro vuoto e uno di loro ha cominciato a strozzarmi."
Intanto, l’aula comincia a puzzare di sudore e pizza fredda e le discussioni non hanno fatto grandi progressi. Alcuni decidono di tornare a casa per lavarsi: hanno passato la notte in facoltà e qui non ci sono docce. Gli altri continuano il dibattito: bisogna restare pacifici davanti agli interventi dei CRS? Come reagire? Due studenti che hanno subito delle violenze durante lo sgombero testimoniano: "All’arrivo dei celerini questa mattina, sono stata isolata in un anfiteatro vuoto e uno di loro ha cominciato a strozzarmi. Ero stordito non capivo cosa stesse succedendo. Gli ho chiesto di smettere. Poi mi ha preso a mazzate". Il ragazzo non crede più al dialogo con il governo: restare pacifico, per lui, è inutile. L’altra, una ragazza dall’aspetto esile, racconta: "Un’amica stava avendo una crisi di panico, era per terra e supplicava i CRS di non toccarla. Non l’hanno ascoltata e l’hanno quasi calpestata".
Una studentessa interviene per riportare la calma: "Saint-Charles è un campus pacifista!", e tutti nuovi venuti di Tolbiac devono piegarsi a questa filosofia. "Non vogliamo che le cose degenerino, quindi se preferite delle azioni più violente dirigetevi verso un campus più affine alle vostre idee". In questo contesto, la questione della presenza dei media è cruciale. E subito, il tono si scalda. Un uomo più anziano degli altri li interrompe "È fuori discussione che lasciamo entrare qui i media! BFM TV ripete a ciclo continuo che lo sgombero di questa mattina si è svolto senza violenza e che Tolbiac è invasa dal traffico di droga e dalla prostituzione. È inammissibile!". Una ragazza tenta di rispondergli: "I media sono importanti per far conoscere le nostre posizioni, se li lasciamo entrare qui e che scoprono un campus pulito e dei militanti civilizzati, la gente avrà una buona immagine del nostro movimento!".
Nel pomeriggio, durante il dibattito organizzato a Tolbiac, l’atmosfera era la stessa: i militanti esasperati dall’immagine negativa che i media rinviano della loro mobilizzazione non esistavano a far scappare i giornalisti: "Se ci sono dei giornalisti, bisogna che se ne vadano! Tu, il cameraman là in fondo, va' via!". Con tutte le voci che girano su uno studente in coma, trovano insopportabile vedere come questa violenza venga negata al telegiornale. Eppure alcuni manifestanti non hanno esitato a utilizzare i media per mostrare la loro collera, assicurando davanti alle telecamere di aver visto uno studente cadere da in alto e rompersi la testa per terra. Escalation su Twitter, inchiesta nella stampa, smentita ufficiale degli ospedali di Parigi… Qualche giorno dopo la notizia si è rivelata essere falsa.
Non trovando un accordo su come reagire, la cosa più semplice è di impedire qualsiasi intervento dei CRS. Con un voto per alzata di mano, gli studenti decidono di inviare una delegazione di 30 persone a discutere con l’amministrazione e ordinare alla prefettura di non far intervenire le forze dell’ordine. Esco dall’anfiteatro nello stesso tempo che la delegazione appena designata. In programma questa sera c'è un’assemblea generale inter-facoltà organizzata all’Università Paris 3, occupata dal 9 aprile.
"Sta diventando ridicolo"
Arrivo in ritardo e sembra che l’assemblea generale sia già finita. I manifestanti sono riuniti in un cortile esterno, con una birra in mano. Dei fumogeni rossi tingono il cielo del colore del sangue. Due studentesse mi confidano la loro delusione: "Alla fine non si è deciso niente e il voto non è egualitario, visto che si tiene conto solo dell’opinione di un gruppetto. Adesso hanno deciso di fare una manifestazione improvvisata fino all’ospedale Cochin perché vogliono sapere se c’è davvero uno dei nostri compagni in coma. Sta diventando ridicolo!".
Mi imbatto in Mehdi, incontrato stamattina davanti a Tolbiac. Fa parte di quelli che hanno deciso di partecipare alla manifestazione improvvisata e mi incoraggia ad andare con loro. Unico problema: il campus è circondato da una decina di furgoni dei CRS che impediscono a chiunque di uscire. La tensione sale e alcuni si impossessano di un carrello pieno di pali a mo’ di ariete, per buttarlo contro le forze dell’ordine. Mi rendo conto che niente è sotto controllo: la situazione può sfuggire in qualsiasi momento e diventare violenta.
Siccome rischiamo di dover passare qui gran parte della serata, Mehdi mi invita a chiacchierare. Mi racconta la sua situazione difficile: abbandonato dai suoi genitori e senza reddito, la sua unica casa era il campus di Tolbiac. Finché non è stato sgombrato questa mattina. Stasera dormirà qui a Paris 3. Poi mi fa visitare i locali della facoltà occupata e le istallazioni montate dagli studenti.
Scopro una vera e propria comunità con la sua organizzazione e le sue regole. I membri della Comune hanno messo divani e materassi per terra, improvvisato un angolo cottura e installato una zona infermeria. In cucina i manifestanti si servono dei piatti di spaghetti. All’infermeria si trova tutto il necessario per il quotidiano: cerotti, garze, cotone, assorbenti… Qualche manifesto incollato al muro stabilisce il regolamento interno: "No vandalismi, no alcol forte, no dichiarazioni odiose, no violenza".
Dopo la visita, esco ad osservare la strada bloccata da una parte all’altra. Alcuni manifestanti lanciano dei proiettili contro le forze dell’ordine. All’unisono, i CRS si coprono la testa con un casco. Stéphie va nel panico: "È un brutto segno!" Me li vedo già gettarsi su di noi, ma lei mi assicura che resteremo insieme qualsiasi cosa succeda e mi dà un consiglio: "Mi è già capitato, allora so che se caricano bisogna restare contro questo muro. Così passeranno dritti senza notarci". Le ubbedisco alla lettera e resto dritta appiccicata al muro. Julien mi dice, esagerando: "Se non dovessimo farcela, sono felice di averti conosciuta!".
Due studentesse prendono la situazione con ironia: hanno scritto il loro numero di telefono su un pezzo di carta a uno studente. "Visto che siamo bloccati, meglio approfittarne…". Della musica esce dalle casse portate dai manifestanti: si incoraggiano sulle note di "Bella ciao" in un’atmosfera rivoluzionaria. Ci si crederebbe quasi in La Casa di Carta. Solo che questa sera nessun Professore ci dirà che cosa fare per cavarcela.
Quasi troppo facile, la nostra evasione avviene discretamente: una porticina, un codice ottenuto dai manifestanti ed eccoci libere. Fuori, scherzando, assicuro a Stéphie che potrà rivedere suo figlio a casa. Forse non abbiamo fatto la guerra, ma questi ultimi giorni sono stati particolarmente agitati rispetto alla mia esperienza dei movimenti studenteschi. I cinquant’anni del maggio '68? Forse.
Comunque sia, dalla fine di marzo numerosi studenti si sono trovati in situazioni simili e per ora non hanno ottenuto nessuna concessione da parte del governo. Quanto a Tolbiac e Paris 3 (sgomberata il 30 aprile), i loro vasti anfiteatri sembrano vuoti dopo l’evacuazione da parte delle forze dell’ordine e con l’avvicinarsi degli esami. L’inizio della fine?
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Translated from Blocus des facs en France : le péril jeune