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Gli oscar: il cinema che inganna

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Cultura

Nel 2008 l’industria cinematografica nordamericana ha prodotto 573 pellicole. Come sempre, alla cerimonia degli Oscar, la notte del 22 febbraio, non ci saranno le migliori.

A detta di alcuni, gli Oscar stanno a metà strada fra il cinema di intrattenimento e il cinema di qualità. Non ne sarei così sicuro. Da un lato, ogni quattro o cinque anni l’Academy compensa le ingenti somme investite dai produttori premiando film come Titanic, Il gladiatorr o Il Signore degli Anelli, che non brillano certo per qualità. Dall’altro, si dimentica sempre dei grandi talenti cinematografici di casa, quelli che stanno alla larga dalle copertine delle riviste, dai cocktail alla moda e dai vestiti di Armani.

Non si spiega come Darren Aronofsky abbia ricevuto solo una nomination (a Mickey Rourke come miglior attore) per The Wrestler o che i fratelli Coen, per quello che è uno dei loro film migliori, Burn after reading, non ne abbiano ricevuto nemmeno una, solo perché l’anno scorso si sono portati a casa cinque statuette (per una pellicola senz’altro mediocre, Non è un paese per vecchi) grazie alle quali possono anche starsene tranquilli per i prossimi quindici anni. O che Alex Holdridge, rivelazione dell’anno con il commovente In search of a midnight kiss, non abbia ricevuto nemmeno una pacca sulla spalla.

Al cinema come de Mc Donald’s

E allora perché aspettiamo con tanta ansia la notte degli Oscar se sappiamo già chi saranno i vincitori? E perché dopo andiamo tutti, come tante pecore, a vedere i film premiati, quando già l’anno scorso ci siamo lasciati convincere e siamo rimasti delusi, come in altre occasioni? Ci sono tre spiegazioni. La prima dipende dal fatto che gli americani sono dei fenomeni con il marketing. Le tredici nomination ricevute da Il curioso caso di Benjamin Button e il modo in cui sono state “vendute” al pubblico, lo rendono un film irresistibile. Uno pensa che se non va a vederlo, si perderà un evento storico trascendentale. Chi come me non l’ha ancora visto e si lasciasse abbindolare, si renderà conto che la storia non è né straordinaria, né imperdibile. Anzi, tutto il contrario.

La seconda spiegazione consiste nell’effetto sorpresa. Anche se in rare occasioni vengono attribuiti premi inattesi, quello che ci interessa davvero è sapere chi è “l’uomo” migliore, se Tom Cruise o Johnny Depp, come quando da piccoli immaginavamo chi avrebbe vinto in un duello fra Batman e Superman. Siamo anche assaliti dalla morbosa curiosità di sapere chi sfoggerà il vestito più elegante, se Penelope Cruz o Angelina Jolie.

L’ultima, e più prosaica, motivazione è poter avere la conferma che anche George Clooney e Scarlett Johansson sono esseri umani, che inciampano sulle scale, incespicano quando parlano o sono capaci di piangere fuori dal grande schermo come tutti i comuni mortali, quando ricevono un premio. Questa loro umanità ci induce a blandire il nostro ego con lo stupido sogno di poterci trovare anche noi un giorno al loro posto. Il punto è sempre catturare nuovi adepti, in perfetto stile McDonald’s, modellando un’illusione in modo da farci sentire indifesi come bambini davanti alla magia delle star.

Razzie Awards

Non solo meschinità a “yankeelandia”. Ci sono dei premi chiamati Razzies che la notte prima degli Oscar celebrano i film, gli attori e i registi peggiori dell’anno. Le star di solito non partecipano alla cerimonia, con qualche eccezione di spicco, fra cui Bill Cosby, Tom Green e Halle Berry. L’attrice afroamericana è stata protagonista di una divertente gag quando è stata premiata come peggior attrice dell’anno per la sua interpretazione in Monter’s Ball ed è andata a ritirare il premio con in mano l’Oscar come miglior attrice vinto l’anno prima.

Quanto a noi europei, le nostre istituzioni cinematografiche si sono lasciate sedurre dalle strategie promozionali. Di fronte alla crisi (economica, non creativa) dell’industria cinematografica europea e allo schiacciante monopolio del cinema made in Usa. nelle nostre sale, le Academy nostrane hanno scelto di copiare la formula dei galà statunitensi, con lo scopo di ampliare la diffusione delle produzioni nazionali. Molto spesso, però, questa imitazione risulta grossolana, casereccia e anonima, facendoci sfigurare agli occhi del mondo. Non scordiamoci che noi abbiamo inventato il cinema, ma gli americani hanno inventato “l’entertainment”. E sfortunatamente il cinema assomiglia sempre di più all’entertainment e sempre meno a quella che ai suoi albori era conosciuta come la settima arte.

Translated from Los Oscars: un engaño de película