Giovani italiani a Bruxelles: cervelli in lotta
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Criticano l'Italia, l'Unione europea e combattono la strumentalizzazione delle nuove generazioni. Il gruppo Giovani Italiani a Bruxelles rappresenta gli under 30 che hanno deciso di non stare a guardare la politica, ma di farla. Un'intervista senza "se" e senza "ma".
Poco più di un anno fa, a metà Gennaio 2013, durante una pausa pranzo qualsiasi, Daniel (28) e Francesca (26) si mettono a discutere del più e del meno, di Bruxelles, della loro vita da espatriati, giovani tirocinanti nella capitale belga. Come in tutti gli incontri tra compatrioti, finiscono a parlare della loro terra, di quanto le cose non vadano bene nello stivale d’Europa e di quanto un giorno vorrebbero tornare a casa. Una chiacchierata come tutte le altre, che sarebbe potuta finire qualche ora più tardi a casa di un amico. Eppure scatta qualcosa in più. 12 mesi dopo, Daniel e Francesca sono parte costituente del gruppo Giovani Italiani a Bruxelles e nell’ultimo anno sono finiti su Repubblica, su La7 e sulla radio nazionale belga.
Non è la solita storia
“Ti prego, non ricominciamo con la storia dei ragazzi iperqualificati… siamo normali, come tutti gli altri”, afferma Daniel, prima ancora che accenda il registratore. Ci sediamo in uno dei tanti locali del Plux, ai piedi del Parlamento europeo. È un'intervista anomala: cominciamo in 3 e gli altri membri del gruppo arrivano alla spicciolata; dopo un po’ si fa fatica a ricevere una sola risposta per ogni domanda: tutti vogliono dire la loro. Daniel, nonostante l'accento lo tradisca – è nato e cresciuto in Inghilterra – si sente tutto siciliano. “Vengo da lì”, dice, quasi fosse una questione di dna, prima di confessare: “Ho deciso di impegnarmi per l’Italia, perché ne ha più bisogno rispetto all’Inghilterra. Quando torno ‘giù’, vedo paesi invecchiati senza giovani”, racconta. A inizio 2013 questi ragazzi si sono chiesti come mai nella terra delle lobby non ci fosse neanche un gruppo di pressione che facesse gli interessi dei giovani italiani sparsi per il continente. E così, mentre nella primavera 2013 tra Grillo, Bersani e Berlusconi impazza l’ennesima campagna elettorale, “anche un po’ per sentirsi a casa" – afferma Francesca,– si riuniscono in un semplice bar e cominciano a discutere.
Non prendono un soldo dall’Unione europea, né da partiti politici o istituzioni nazionali. “Siamo un gruppo informale”, sottolinea ancora Daniel che si vuole distinguere dalle grandi associazioni giovanili europee. Vogliono incarnare gli interessi delle nuove generazioni e, proprio per questo, hanno in testa un solo problema: la disoccupazione giovanile. “Molti parlano di questo fenomeno come se esistesse una soluzione pan-europea, ma in realtà vanno trovate soluzioni specifiche, su misura dei singoli Paesi”, continua Daniel.
La doppia partita
Arriva la primavera del 2013 e le elezioni politiche italiane. I Giovani italiani a Bruxelles lanciano #AppelloGiovane, un documento che invita a cambiare le politiche giovanili in Italia. A giugno, l'ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, è in visita a Bruxelles per discutere di disoccupazione giovanile e loro non ci pensano due volte a “farsi sentire”: sono ricevuti ufficialmente dal capo del nuovo governo. Ma la partita si gioca su un doppio fronte e così, quando il “gigante Europa”, attraverso la Youth Garantuee, muove i primi piccoli passi per arginare l’emorragia disoccupazione, loro sono i primi a storcere il naso. Perché?
Tuttora il testo prevede che venga garantita un’opportunità formativa, di stage o di lavoro a tutti i laureati, ma soltanto entro i 25 anni di età. “Un non-sense assoluto”, afferma Claudio (24) – lui si è aggiunto al gruppo a intervista in corso, ma è già un torrente in piena: "In Italia ci si laurea mediamente a 25 anni. Anche sostenendo gli esami nei tempi dovuti, basterebbe perdere 6 mesi per scrivere la tesi per rimanere fuori dal contributo". Inoltre, la crisi economica non ha colpito tutti allo stesso modo. Chi ha finito gli studi nel 2008 si è ritrovato in un mercato del lavoro impenetrabile e oggi, a 30 anni, non ha un curriculum competitivo. Per questa ragione, "una copertura fino ai 25 anni non avrebbe senso", afferma Veronica (26). Sebbene non siano parole al vento, il testo è passato senza modifiche.
Che fare?
Rimane il dubbio: chi è responsabile della disoccupazione giovanile? "La politica nazionale", risponde secco Claudio. Sebbene creda che la politica dei tagli non sia una soluzione, precisa: "Si parla tanto di austerity, ma se, quando l'Unione europea stanzia dei fondi, l'impiegato dell'ufficio comunale di turno ha 60 anni e non sa neanche leggere l'inglese, di chi è la colpa?". Insomma, Youth Guarantee a parte, c'è una ragione più profonda per la quale questi ragazzi consacrano il tempo libero alla politica. "In Italia c'è una strumentalizzazione totale dell'immagine dei giovani: sono buoni solo per i manifesti elettorali. Siamo in prima linea per dimostrare che la nostra generazione può essere un agente del cambiamento", afferma Francesca. Continuiamo a parlare di austerity, spreco di fondi europei e di riforme del sistema universitario italiano: hanno talmente tante idee che sarebbero pronti per fondare un partito. Sembra un po’ di parlare con i giovani mazziniani d’oltralpe 150 anni dopo e, anche se soltanto per un paio d'ore, con loro, tutto diventa possibile: non solo una “giovine” Italia al passo con i tempi, ma anche un'Unione europea fatta per i suoi cittadini.