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Giornata del Ricordo e memoria europea

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Torino

Articolo di Matteo Zola La “Giornata del Ricordo” continua a far nascere polemiche tra Slovenia, Croazia e Italia. In Italia, infatti, il 10 febbraio si ricordano le foibe e l’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia mentre il 15 settembre in Slovenia si celebra il “ricongiungimento del litorale alla madrepatria”.

Due celebrazioni contrapposte che tradiscono due diversi e inconciliabili modi di leggere le vicende storiche del secolo scorso. 

Nelle due ex repubbliche jugoslave la commemorazione è stata vista con diffidenza sin dalla sua istituzione nel 2004. All’epoca, il ministero degli Esteri sloveno reagì precisando che sarebbe stato necessario ricordare anche gli sloveni perseguitati dal fascismo. Per Lubiana, infatti, in tutte quelle vicende c’era una consequenzialità e la storia, quindi, si sarebbe dovuta raccontarla tutta. Immediatamente si decise di fissare una giornata per onorare le sofferenze patite dagli sloveni nel periodo fascista. Da allora i due Paesi sono rimasti su posizioni antitetiche.

Abbiamo intervistato Angelo Del Boca, torinese, storico del colonialismo italiano, il quale afferma di avere “forti perplessità” sulla Giornata del Ricordo. «Così, come è strutturata - spiega - solo gli italiani sono le vittime delle foibe. Tra le 9 e le 11 mila persone sono morte nelle foibe seguite a due grandi operazioni di sterminio compiute dopo l’8 Settembre e alla fine della guerra, 350 mila furono invece gli esuli», molti dei quali ora abitano a Torino.

Tuttavia, sembra necessario fare un passo indietro: «Bisogna contestualizzare. Noi abbiamo una memoria mutilata, non pensiamo che le nostre responsabilità risalgano al 1919, dopo la vittoria di Vittorio Veneto, quando abbiamo conquistato dei territori etnicamente non italiani che durante il fascismo furono considerati dei confini difensivi sui quali fu effettuato un processo di aggressione e nazionalizzazione».

Trentacinquemila giovani delle nuove zone scapparono oltre il confine orientale per non partecipare alle imprese italiane in Africa: «Non volevano aderire, non si sentivano italiani, non era una popolazione tipicamente italiana». Poi si arriva alla Seconda Guerra Mondiale: «Tra il 1941 e il 1943 circa 150 mila sloveni scomparvero». Cifre enormi, ma ci sono documenti che lo attestano: «Altro che documenti! - dichiara lo storico - basta pensare che nell’isola di Arbe, sede del principale campo di concentramento italiano per jugoslavi, il tasso di mortalità era del 19%, superiore a quello dei campi di sterminio». La questione resta aperta: «Questa commemorazione è una battaglia strumentale della destra in contrapposizione alla Giornata della Memoria - dice ancora Del Boca - a cui i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all’altra fazione. Il revisionismo in Italia ha fatto grandi progressi».

A questa “guerra della memoria”, strumento delle reciproche questioni nazionali, occorre contrapporre una coscienza storica trans-nazionale. Il dibattito sulla natura dell’identità europea è tutt’altro che archiviato e la memoria storica che bisogna difendere da derive revisionistiche non è quella di un singolo paese ma del continente intero. È la memoria storica europea a essere in discussione, non solo - o non tanto - quella italiana e slovena. Ed essa si può tutelare soltanto attraverso la condivisione e il superamento dei particolarismi.