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Gianfranco Pasquino: «L’Europa ha bisogno di un leader sul modello americano»

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Intervista con il politologo 66enne torinese. Due volte Senatore della Repubblica con la Sinistra Indipendente e con i progressisti, collaborato con Il Sole 24 Ore e l’Unità. «Negli ultimi dieci anni non si sono avuti Presidenti particolarmente competenti, ambiziosi e con personalità». Tony Blair, Schroeder o Sarkozy dei buoni candidati?

Una giornata di pioggia di dieci anni fa, seduta sui sedili posteriori di una monovolume diretta a Parigi – finestrini rigati dalle gocce e nebbia fitta – ero immersa nella lettura. All’epoca, a varcare il confine italiano, si provava un fremito d’ansia che oggi non si avverte più. Significava lasciarsi alle spalle la segnaletica familiare con l’approssimarsi della frontiera. Dopo pochi minuti diventava semplicemente una questione di passaporto, mentre la radio prendeva a tossire, e dalla musica pop nostrana si passava al gracchiare della pronuncia francese. Quel giorno non ci fu alcun passaporto e seppur la stazione radio, come sempre, singhiozzava lingue differenti, continuai a leggere. L’Unione europea era entrata, con gli Accordi di Schengen, nella mia automobile. Nel 1997, a tredici anni d’età, l’Europa dalle dogane assenti si poneva a metà tra le stelline e l’Inno alla gioia che anticipavano i programmi televisivi in eurovisione della mia infanzia, e il progetto politico da consolidare – in epoca di scetticismo – oggi 2008, da ventiquattrenne.

Siamo tutti cittadini europei?

Ho ascoltato Gianfranco Pasquino – politologo italiano, docente di Scienza Politica all’Università di Bologna – parlare di Formazione di una cultura politica europea facendo zapping televisivo di pomeriggio. «Ci sono due modi per affrontare il problema della cultura politica europea: il primo si limita al relazionarsi di ogni paese membro alla cultura politica degli altri, considerandone i partiti e la memoria storica condivisa. Il secondo, invece, riguarda il pensare all’Europa come uno Stato con paesi che ne prendono parte per ragioni di prosperità e pace». Il professore apre con questa riflessione, poi prosegue: «Siamo tutti cittadini europei? In qualche modo sì, per come i cittadini guardano alla Commissione Europea», mi risponde sillabando come se stesse scrivendo su una lavagna. «Tre sono le componenti fondamentali della cultura politica europea: “l’identità” (chi sono io) che si fonda su ciò che condivido (la storia); “La conoscenza” di carattere tecnico che può essere a diversi livelli in base all’informazione; “Le valutazioni” di quello che io svolgo nella Comunità, quanto io conto, insomma».

(Foto: Rockcohen/Flick)

Non abbiamo avuto Presidenti competenti

Pasquino ha studiato a Washington, parla inglese, francese e spagnolo, lingue nelle quali insegna, e collabora con il Gruppo editoriale de l’Espresso e con la Rivista dei libri. Per il suo percorso e per il suo mestiere, chi è più adatto a parlare di rappresentanza?: «Quello che servirebbe all’Europa è un forte leader votato direttamente dai cittadini, sul modello degli Stati Uniti. Come? Grazie all’apporto dato da due partiti transnazionali come il Socialista e il Popolare europei. Purtroppo, negli ultimi dieci anni non si sono avuti Presidenti particolarmente competenti, ambiziosi e con personalità. Lo stesso Romano Prodi ha favorito molto l’allargamento dell’Unione ma non una migliore Governance. Per me un buon candidato sarebbe Tony Blair, o anche Schroeder. Volendo Sarkozy, cioè personaggi che abbiano visibilità e rilievo».

Cosa accadrebbe, però, se – nel caso specifico italiano – i partiti nazionali risultassero deboli e senza una chiara collocazione a livello comunitario? «È grave che il nostro Paese non abbia alcun partito che ha aderito a quello socialista europeo; prima di tutto per i grandi progressi civili ottenuti grazie al socialismo, nel vecchio continente, e poi, perché indicativo di un euroscetticismo o euroindifferenza comuni tanto alla destra quanto alla sinistra italiane». E se sono i partiti a dover formare una cultura politica europea, in Italia, non si crea un cortocircuito tra indifferenza supposta dei cittadini e noncuranza a informare dei partiti? «I partiti non hanno interesse a spiegare, per esempio, per quale ragione alle prossime elezioni europee la soglia di sbarramento al 5% va meglio di quella del 3% perché credono che l’elettore non sia in alcun modo coinvolto, attualmente, dalle tematiche europee. Quindi credendo che l’Ue non faccia opinione continuano a tenere l’opinione pubblica fuori dall’Unione Europea». Gianfranco Pasquino parla velocemente come se i concetti approfonditi fossero oggetto di confronto quotidiano, come se dal 1957 ci fosse stato qualcuno capace di crederci con costanza nel progetto di “una comunità tenuta insieme dalla prosperità e dalla pace”, quindi, quasi per consolarmi chiudo domandandogli se ci si possa (anche dopo la disfatta del Trattato di Lisbona) dichiarare eurottimisti. «Ci sono ventisette Stati membri, alcuni dei quali ex comunisti, molte domande di adesione e apertura verso nazioni come la Turchia. Nonostante la globalizzazione incida negativamente, la prospettiva non può che essere ottimista».

«Però ci sono progetti come l’Erasmus e giovani che partono per andare a viverla e conoscerla, l’Europa. Se guardassimo l’Unione europea da fuori, ci renderemmo conto di quanti straordinari progressi sono stati fatti dai Trattati di Roma ad ora». O se, almeno, guardassimo l’Europa scegliendo una prospettiva diversa dall’abitacolo dell’automobile e un presente oltre il 1997.