Galileo: se l’UE è immatura
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Washington ha ragione a preoccuparsi della partecipazione cinese al progetto di sistema satellitare. La politica europea deve svegliarsi.
Quattro anni. E’ questo il lasso di tempo che rimane alla Commissione europea e all’ESA (European Space Agency) per rendere operativo Galileo, il sistema satellitare di posizionamento e navigazione made in EU. Il programma si basa su un investimento complessivo iniziale di ben 3,2 miliardi di Euro, di cui 1,2 miliardi già stanziati per la fase di sviluppo, attualmente in corso.
Tecnologia dual use
Ma come funzionerà Galileo? Semplice: trenta satelliti, ognuno dei quali dotato di un orologio atomico, trasmetteranno segnali radio ad intervalli precisi; di conseguenza, grazie alla triangolazione dei segnali, l’utente potrà stabilire la propria locazione nello spazio e nel tempo.
Attualmente esistono due sistemi simili a Galileo, entrambi di origine militare: l’americano GPS e il russo Glonass, la cui operatività è però limitata. Il sistema USA prevede due tipi di segnale, uno aperto all’utenza civile e uno più preciso, riservato alle forze armate. Quello europeo, invece, offrirà diversi servizi, alcuni dei quali a pagamento, nonché un segnale riservato ad uso governativo particolarmente utile per applicazioni in campo militare.
Per sua natura, un sistema di navigazione costituisce un classico esempio di tecnologia dual use, utlizzabile cioè sia a scopi civili che militari. Si pensi ai sistemi di navigazione ormai installati in molte automobili o alle procedure di sincronizzazione dei computer usati nei mercati finanziari o nell’aviazione, ma anche, nel settore bellico, all’individuazione degli obbiettivi, alla guida di munizionamento o alla sincronizzazione delle operazioni.
Non solo. Il futuro di Galileo è roseo anche perché la domanda del mercato dovrebbe essere altissima, se si pensa che nel solo settore della difesa questo tipo di tecnologia è ormai diventato un elemento irrinunciabile.
Cina: il rischio è militare
Ma i progetti europei si sono presto scontrati con la realtà della politica internazionale. Il sistema Galileo, che parte da un’iniziativa civile, è stato infatti inizialmente gestito senza tenere in dovuto conto le implicazioni in termini di sicurezza. La reazione degli Stati Uniti non si è fatta attendere. Per Washington, Galileo non è solo uno scomodo concorrente del GPS a livello commerciale, ma anche una potenziale minaccia per l’assetto militare costituito.
Resta il fatto che, per l’Europa, si tratta di un’occasione di sviluppo senza precedenti. Sotto ogni aspetto. Stimola l’evoluzione di capacità tecnologiche e industriali in settori vitali; coglie un potenziale commerciale di tutta rilevanza; e trasforma l’UE in un attore globale di primo piano.
Non basta. Galileo è aperto alla partecipazione di paesi terzi. E’ quindi comprensibile che, dopo l’annuncio della partecipazione indiana e, soprattutto, cinese, l’amministrazione Bush non possa dormire sogni tranquilli.
Il 30 Ottobre scorso, infatti, l’UE ha firmato un accordo che prevede la partecipazione cinese con una quota di 200 milioni di Euro. Se da un lato l’accordo permette di ricevere preziosi finanziamenti esteri e di sviluppare un’importante collaborazione tecnico-industriale fra imprese europee e di paesi terzi, gli argomenti statunitensi denunciano delle legittime preoccupazioni per le potenziali implicazioni in termini di sicurezza.
Il problema è tutto lì. Come evitare che questa apertura permetta a paesi stranieri di accedere a tecnologie sensibili? Come impedire lo sviluppo di applicazioni militari basate su Galileo?
Che fare se c’è crisi a Taiwan?
Una risposta da parte delle massime autorità europee è quantomai necessaria. Bisogna bilanciare gli indubbi benefici economici e politici dell’accordo bilaterale con i possibili rischi sul versante della sicurezza.
Non solo. L’Unione dovrebbe riconsiderare anche la sua politica transatlantica in materia: alcune preoccupazioni americane sono giustificate. In questo senso vanno i colloqui bilaterali UE-USA degli ultimi mesi. L’obiettivo? Risolvere alcune questioni di natura tecnica circa l’allocazione delle frequenze di trasmissione e, soprattutto, definire un corretto rapporto di “buon vicinato”. Idealmente i sistemi Galileo e GPS dovrebbero poter concorrere sul piano delle applicazioni commerciali e collaborare se confrontati a decisioni cruciali sul piano della sicurezza quali l’accesso al segnale con caratteristiche “militari” o la eventuale “chiusura” del servizio in aree di crisi internazionale o di guerra.
In pratica si tratta di definire le regole del gioco. Che fare davanti ad una crisi in aree “calde”, come potrebbe accadere a Taiwan o in Corea del Nord? Solo una politica coordinata potrebbe infatti evitare fratture potenzialmente catastrofiche.
La questione di fondo rimane di natura politica. E riguarda il rapporto di mutua fiducia che Europa e Stati Uniti devono costantemente imparare a strutturare, anche attraverso l’impostazione di programmi ad alto valore tecnologico e industriale quali i sistemi globali di posizionamento.
L’UE ha tutto il diritto di sviluppare il proprio sistema e di respingere al mittente obiezioni pretestuose che spesso mascherano solo il desidero di conservare un monopolio tecnologico, industriale, commerciale e politico da rimettere in discussione. Ma non potrà non tener conto delle possibili applicazioni di Galileo in ambito militare. Soprattutto quando il partner si chiama Cina.
Il presente articolo è una versione riveduta ed aggiornata di un articolo dello stesso autore apparso nel numero 1/2004 di Aspenia, trimestrale dell’Aspen Institute Italia