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G8 di Genova, dieci anni dopo: meritavamo di essere ascoltati!

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societàPolitica

20 luglio 2001. A Genova ci scappò il morto. La fine di Carlo Giuliani  fa ancora discutere, ma resta il simbolo dei soprusi subiti da migliaia di persone che volevano far sentire la propria voce, davanti ai grandi della Terra. Basta un ricordo per capire che nulla è cambiato, e che quei ragazzi non sono stati ascoltati.

Ora sono cresciuti, e ripensano alle madri che li fermarono sulla porta di casa: "Non puoi andare a Genova, è pericoloso!"

Dieci anni fa mia madre bloccò sulla porta di casa le mie pretese di andare a Genova. "Hai 16 anni", diceva, "avrai tempo per partecipare a manifestazioni così grandi, e c’è un brutto clima, io l’ho visto negli anni ’70, sento che qualcosa di brutto succederà, non andare". Ricordo gli abbracci in stazione con gli amici più grandi che partivano, con le tute bianche di Ya Basta!. Con le braccia fasciate alcuni, in borghese altri. Nessuno voleva andare a una battaglia, ma si respirava l’aria del grande scontro venturo, la zona rossa, il G8 nell’epoca dei movimenti per una diversa globalizzazione.

Ricordo la radio e la televisione, i racconti, le bugie. I black blocks e le foto dei poliziotti camuffati da anarchici che aizzavano le folle. Le testimonianze della Diaz, le ragazze incinte lasciate senz’acqua, l’arroganza dei politici di punta in televisione, le accuse di terrorismo, le macchine che bruciavano. Mai tanta rabbia e mai tanta speranza. Ricordo mia madre, ancora lei, piangere davanti alla televisione quando annunciarono la morte di Carlo Giuliani. I fantasmi del suo passato da attivista, delle generazioni tradite, della speranza persa.

Voci soffocate e un ragazzo ucciso

Ore di inutili discussioni su un estintore, su traiettorie di pallottole, girare attorno a un fatto: un ragazzo è morto, protestava abbastanza violentemente, ma gli hanno sparato in testa. Lo Stato ha blindato una città e scaricato le sue frange violente contro centinaia di migliaia di manifestanti, la grandissima maggioranza pacifici, che chiedevano un cambio di rotta che dieci anni dopo possiamo dire non è mai avvenuto. Mentre diplomatici e presidenti banchettavano e senz’altro discutevano di cose importanti, vitali per il futuro del pianeta, a centinaia di migliaia di persone veniva tolta la voce, migliaia venivano pestate, uno ucciso.

Il modello liberale democratico che tanti beni ci ha dato ancora non è capace di includere i suoi cittadini nel processo decisionale.

Chiunque abbia a cuore la democrazia e il futuro del pianeta non può dimenticare cosa è successo dieci anni fa. Il modello liberale democratico che tanti beni ci ha dato ancora non è capace di includere i suoi cittadini nel processo decisionale, ed è pronto a pestarli, provocarli, torturarli in nome di una stabilità instabile. Dopo Genova c’è stato l’11 settembre, l’Iraq, l’esplosione dei social media, la primavera araba, c’è stato un tumulto continuo di forze e sogni e cambiamenti e ritorni al passato, ma con Carlo Giuliani, con le torture ai ragazzi della Diaz, con le ossa rotte di minorenni di tutto il mondo una generazione di speranza è stata falcidiata. Genova è stata lo scenario impeccabile per l'atto culminante dello spettacolare declino dell’Occidente, da Genova abbiamo capito che un altro mondo, se era possibile, non iniziava a casa nostra.

Gli stessi leader di dieci anni fa

I grandi movimenti sociali si fermano con la violenza, con la falsa morale, con le droghe e il consumismo. Con l’estremismo dello status quo e della diplomazia al caviale. Vedremo dove ci traghetteranno queste persone, quasi tutte le stesse di dieci anni fa. Nella maggior parte dei casi persone in fondo oneste, brave, preoccupate per il futuro dell’Europa e del mondo. Ma persone sorde, molto più piene di ideologia del movimento stesso. Giorno dopo giorno torno a pensare che avevamo ragione a 16 anni, che il freno d’emergenza andava tirato tanto tempo fa.

E noi che stiamo entrando in contatto con un’altra politica, o con il mondo aziendale, o semplicemente crescendo e preparandoci ad educare nuove generazioni, teniamo ben stretto il ricordo di Genova. Perché ci assediarono pensando di salvare il modello migliore, ed invece, nel 2011, possiamo dire che meritavamo di essere più che ascoltati.

Foto: (cc) han Soete/flickr