“Frontera invisible”, il lato oscuro dei biocarburanti.
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Sara PetrosinoMartedì 7 febbraio è stato proiettato in anteprima al Parlamento Europeo Frontera Invisibile, il documentario prodotto dall’ONG Transport & Environment che mostra il lato oscuro dei biocarburanti. Cafébabel ha intervistato uno dei produttori, Nico Muzi, che ha visto con i propri occhi le conseguenze dello sfruttamento dell’olio di palma in Colombia.
Tutti sono a conoscenza dei problemi legati all’uso dell’olio di palma nell’industria alimentare e delle sue conseguenze sull’ambiente, soprattutto da quando è scoppiato il caso Nutella in Francia. Greenpeace ha persino prodotto una serie di video che rivisitano polemicamente le pubblicità di un prodotto della Nestlé, Kit Kat, con l’obiettivo di denunciare il ruolo della multinazionale nel processo di deforestazione e dei suoi effetti negativi sull’habitat naturale degli orangotanghi.
In questo documentario, però, Nico Muzi ha messo in luce due aspetti sulla questione dell’olio di palma che sono per lo più sconosciute all’opinione pubblica: l’impatto umano della deforestazione, legato all’appropriazione e allo sfruttamento delle foreste per la produzione dell’olio di palma, e la causa della sua produzione estensiva: i biocarburanti.
Biocarburanti: non è tutto oro quello che luccica
La legislazione europea promuove l’uso dei biocarburanti e secondo le direttive europee «gli Stati membri sono tenuti a ricavare il 10 % dei carburanti usati per i trasporti da fonti rinnovabili entro il 2020, in concordanza con il piano strategico EU2020», sostiene Muzi. Questa direttiva ha generato un aumento significativo della domanda di biocombustibili, soprattutto di biodiesel. Secondo l’organizzazione OILWORLD, il 46 % di questo tipo di combustibile è usato per mezzi di trasporto come automobili e autocarri.
Un simile consumo ha provocato inevitabilmente effetti disastrosi sulla popolazione residente nelle regioni sfruttate per la produzione di biocombustibile. Un esempio eclatante è rappresentato dalla Colombia, come mostra lo stesso documentario. Nello stato sudamericano lo sfruttamento del territorio sta causando l’esodo urbano della popolazione e un conflitto armato tra le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) e le forze paramilitari di estrema destra. Gruppi armati si stanno scontrando per il possesso del territorio, provocando inevitabilmente l’uccisione di molti civili.
Nelle regioni di Santa Maria, Choco e Meta si stanno verificando dei terribili atti di violazione dei diritti umani, ma il governo preferisce ignorare la questione. Il documentario mostra un discorso del presidente Juan Manuel Santos che esalta i vantaggi della produzione di olio di palma, occultandone però il lato oscuro.
Nico Muzi racconta la storia degli abitanti di queste regioni attraverso la testimonianza di contadini, pescatori e allevatori della regione. Nico ci ricorda che molti di questi colombiani sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e persino le proprie famiglie nei primi anni ’90 a causa della guerra. «Gli era stato promesso che il governo avrebbe lottato contro i gruppi armati e che sarebbero potuti ritornare a casa. Ma quando nel 2000 i campesinos sono ritornati nelle loro regioni, hanno scoperto che nei loro terreni erano state piantate delle palme. E nel frattempo il conflitto armato persisteva. La situazione è drammatica e nessuno sa come finirà. «Per il momento ci sono ancora delle regioni che non sono state sfruttate perché sono occupate dalle FARC. Ora che sono stati raggiunti degli accordi di pace, è legittimo chiedersi cosa ne sarà di queste terre.»
Benefici sì, ma non per tutti
«Per una produzione sostenibile, ossia redditizia, occorrono 3000 ettari di terreno. Si tratta di un investimento enorme per gli agricoltori locali che per questo motivo non sono in grado di sostenere una simile attività». Di conseguenza le industrie acquisiscono la fetta più grande e assumono lavoratori autoctoni per la produzione. «Per non parlare dei parassiti causati dalla monocoltura che richiede l’uso di pesticidi molto costosi».
Ciononostante, con un rendimento dell’80 %, l’olio di palma è il biocarburante più popolare ed economico da produrre. Tuttavia, se si prendono in considerazione gli effetti collaterali, la sua produzione genera una quantità di emissione di gas a effetto serra tre volte superiore a quella prodotta dai combustibili fossili.
La coltivazione estensiva dell’olio di palma sta, infatti, causando la deforestazione e il prosciugamento delle zone paludose nel Sud-est asiatico, in Sud America e in Africa. Si tratta di zone colpite dagli stessi effetti che hanno devastato la Colombia, come il Bacino del Congo e la Liberia, il paese con la superficie forestale più estesa dell’Africa occidentale. Laurence Wete, membro dell’ON camerunense FODER, e Jonathan Yiah, membro del Liberian Sustainable Development Institute, hanno condiviso le loro esperienze. In Africa enormi superfici di foreste sono spesso vendute a multinazionali straniere. Nella maggior parte dei casi gli abitanti di queste non ricevono nessun guadagno.
Quali alternative?
«Occorre un interno campo da calcio coltivato con un qualsiasi biocombustibile per alimentare un’automobile, mentre con la stessa superficie su cui sono istallati pannelli solari si possono alimentare 100 auto elettriche», sostiene Nico. Secondo il produttore e regista del documentario, la soluzione al problema risiede nell’uso di fonti rinnovabili come l’energia solare, idroelettrica ed eolica. Queste alternative non solo risulterebbero più efficaci dei biocombustibili, ma provocherebbero anche meno danni all’ambiente.
Translated from « Frontera invisible », le côté obscur des biocarburants