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Francia-USA : sacra alleanza contro l’Europa.

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Lo capiremo al G8 di Evian: neogollisti e neoconservatives hanno molto in comune.

L’apparenza, spesso, inganna. E’ questa l’osservazione che prevarrà nelle analisi più attente quando il 3 giugno prossimo si chiuderà il G8 di Evian. Dopo mesi e mesi di tempestosi scontri diplomatici, infatti, i leader di Francia e Stati Uniti saranno finalmente costretti a calare la maschera. E a riconoscere, sottobanco, che, dall’asse Parigi-Washington, hanno tutto, ma proprio tutto da guadagnare.

I segni premonitori non sono mancati. Ed è stato proprio in occasione di una riunione preparatoria del summit di Evian a inizio maggio a Parigi, che il Segretario americano alla Giustizia, John Ashcroft, è sbarcato in Francia in quella che è stata la prima visita ufficiale di un alto responsabile americano in Francia dallo scoppio della crisi irachena.

In realtà mai come oggi Francia e America hanno bisogno di cooperare per far fronte alla morosa congiuntura economica mondiale e scacciare, così, gli spettri di una deflazione globale. E’ questo il principale cantiere sul quale i due paesi dovranno collaborare.

11 settembre e 21 aprile: l'abolizione del dissenso

A livello diplomatico è poi seguito il difficile compromesso in sede ONU per una “sospensione” delle sanzioni all’Iraq, dopo che Washington si era pronunciata per l’abolizione pura e semplice delle misure di ritorsione prese a suo tempo contro il regime di Saddam, e Parigi si era opposta invocando la necessità di scovare previamente le tanto agognate armi di distruzione di massa.

Ma è sulla “questione europea” che George W. Bush e Jacques Chirac hanno trovato, da tempo e lontano dai riflettori, un’intesa totale.

Innanzitutto si tratta di due leader plebiscitati dalle proprie opinioni pubbliche: l’uno grazie all’effetto 11 settembre e l’altro grazie all’esprit del 21 aprile, giorno del passaggio al secondo turno delle presidenziali del leader d’estrema destra Jean-Marie Le Pen nel quale tutta la Francia “repubblicana” si è stretta attorno al suo Presidente.

E’ sulla base di questi perversi meccanismi interni di abolizione dell’opposizione (democratica o socialista), che Bush e Chirac, spallegiati da abili consiglieri, hanno saputo capitalizzare sulla scena internazionale il loro vantaggio interno. Imponendo, ognuno, la propria versione dell’unilateralismo.

Ue divisa? Parigi gode

La prima a farne le spese è stata l’Europa. Fragilizzata dal futuro big bang istituzionale che provocherà il mega-allargamento a dieci nuovi paesi l’ anno prossimo, incapace di riformarsi, l’Ue non aveva per niente bisogno dell’artificiosa spaccatura che ha dovuto subire a causa del gioco di squadra di Parigi e Washington.

Torniamo ai fatti. 22 gennaio: Jacques Chirac e Gerhard Schröder affermano da Versailles il “no” dell’Ue alle ipotesi di attacco preventivo all’Iraq senza minimamente consultare gli altri partner europei. 24 gennaio: la reazione, febbrilmente orchestrata dal Pentagono, non tarda a venire e la “nuova Europa” dichiara, stizzita, la propria disponibilità a trattare con gli Stati Uniti. E’ quello che voleva Chirac. In un clima tesissimo, il commento del Presidentissimo alle mosse diplomatiche dei paesi candidati dell’Est è infuocato: “hanno perso una buona occasione di star zitti”. Una frase che, in diplomazia, è più vicina al compiacimento che alla preoccupazione per la divisione che andava tracciandosi.

Ma perché giocare a dividere l’Europa? La risposta, come spesso accade, attiene al mondo, lontano e spesso poco trasparente, delle idee. A Washington l’amministrazione americana è dominata dall’avanguardia dei neoconservatives, un movimento intellettuale eterogeneo e stimolante che predica, tra l’altro, l’esercizio incontrastato della potenza americana. Per John C. Hulsman, della Heritage Foundation, ad esempio, gli Stati Uniti devono fare di tutto per impedire all’Ue di competere per il dominio del XXI secolo che, come dice Robert Kagan, deve essere un “nuovo secolo americano”. Per questo, il vecchio “divide et impera” è sempre di moda.

Battaglia di retroguardia

La prospettiva, da Parigi, cambia ma la diagnosi resta la stessa. Qui sono i neogollisti che, con Chirac, spadroneggiano. Per questo movimento - decrepito ed anacronistico, a differenza dei modaioli “neocons” - l’Europa sta pian piano erodendo il margine di manovra della Francia. A cominciare dai tagli alla pressione fiscale che Chirac aveva promesso durante la campagna elettorale e che Bruxelles giudica inopportuni. E’ per questo che bisogna approfittare della fase di transizione che indebolisce attualmente il progetto europeo per imporre gli interessi della Francia. A cominciare da una ridefinizione dei rapporti di forza a Bruxelles: da raggiungere, ad esempio, con l’ultima proposta del Presidente della Convenzione, l’ex-presidente francese Giscard d’Estaing. E’ proprio in quella proposta, catastroficamente intergovernativa, che è racchiuso il vero piano di Parigi. E non nel promettente compromesso franco-tedesca della doppia presidenza del 16 gennaio scorso con la quale il Quai d’Orsay aveva mirato solo ad attrarre l’appoggio tattico di Berlino sulla questione irachena.

Neogollisti e neoconservatori uniti contro l’Europa? Saremmo tentati di dirlo. Il problema è che questa convergenza prende spesso delle spoglie differenti. A tutto detrimento delle percezioni del pubblico. Se Washington non disdegna l’unilateralismo per imporsi, Parigi non esita a farsi la paladina della “pace”, del “diritto” e dei “valori” della comuinità internazionale. Dei valori cui ha agevolmente voltato le spalle durante l’attacco illegale alla Serbia di Milosevic.

Ma, al di là delle etichette, ciò che permane è la volontà comune di Francia e Stati Uniti di frenare l’ascesa dell’Unione Europea come la nuova potenza del domani. In nome di un ritorno, anacronistico, alla realpolitik. Ma se questa strategia è trasparente e, per dirla tutta, più che comprensibile nel comportamento americano, essa resta scandalosamente riprovevole e dissimulata nel caso della Francia. Quella di Parigi, è solo una battaglia di retroguardia. Per salvare la sua sovranità.