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Francesca Vecchioni: «Netflix e le serie tv possono affossare gli stereotipi»

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Il media più potente al tempo d'oggi? Le serie tv. Anche per quel che riguarda la lotta alla veicolazione di stereotipi e la rappresentazione della realtà nel rispetto della diversità. Cosa vuol dire? Ce lo ha spiegato Francesca Vecchioni, fondatrice e presidente dell'associazione Diversity, durante il FeST 2019, a Milano.

Come nasce Diversity?

Diversity nasce da un gruppo di “pazze” che una sera, a cena, parlavano di televisione. O meglio: di rappresentazioni. Di come non si vedessero - o fossero viste - rappresentate. E quindi: delle difficoltà delle persone, soprattutto dei giovani, a immaginare un futuro, in funzione di questa lacuna.

Da una necessità di identificazione, quindi.

In realtà, Diversity non nasce soltanto in relazione al tema “identificazione”, ma anche, e soprattutto, dalla necessità di diffondere una cultura dell’inclusione nella società, per ragioni etiche, ma che hanno anche a che fare con il benessere, la felicità, la gioia e la possibilità di crescere di ognuno di noi.

Ci spieghi meglio…

Ognuno di noi cresce quando si confronta con qualcosa o qualcuno di diverso. E “inclusione” significa appunto trasmettere l’importanza della diversità come valore. Si tratta di un atto che va compiuto per mille ragioni: economiche, perché in una società inclusiva si vive meglio e si crea più business; culturali, perché una società più avanzata è anche più prolifica a livello di idee.

In che modo la vostra associazione si distingue nel vasto panorama di no-profit che operano nel campo della parità dei diritti?

Quando abbiamo fondato Diversity abbiamo pensato che non esistesse una no-profit che promuovesse l’inclusione con lo strumento della comunicazione, ossia l’analisi e lo studio del mondo dei mass-media o di progetti attinenti.

«Da una prospettiva olistica, nel contesto della serialità televisiva e dell’immagine nei media, ci sono stati sicuramente progressi, ma non sono sufficienti»

Tante associazioni vanno in piazza e si occupano di inclusione rispetto ad aree “verticali”: associazioni LGBT, di genere, legate a un'etnia. Invece, noi volevamo qualcosa che fosse intersezionale, perché ogni persona ha più identità.

Diversity si occupa anche di ricerca e analisi dei media. A che punto siamo rispetto alla rappresentazione della diversità nei media?

Da una prospettiva olistica, nel contesto della serialità televisiva e dell’immagine nei media, ci sono stati sicuramente progressi, ma non sono sufficienti. Per esempio, prendiamo in considerazione le principali "aree della diversità" usate nelle ricerca accademica: genere, identità, orientamento sessuale-affettivo, età, etnia, religione, condizione socio-economica e disabilità.

«Gli stereotipi esisteranno sempre perché questo è il nostro modo neuro-cognitivo di conoscere la realtà, ovvero attraverso dei modelli. Serve allora la capacità di comprendere che tutti ragioniamo in questo modo, ma che c’è anche possibilità di capire l’altro»

Nessuna rappresentazione di queste ultime ha raggiunto un "livello di equità". Per esempio, se prendiamo sotto la lente la tematica generazionale, notiamo che le persone anziane o giovani sono spesso rappresentate male o poco nelle pubblicità, nelle serie tv, nei film e, più in generale, in tutto ciò che costruisce un immaginario collettivo, che rappresenta la "realtà" che vediamo.

A proposito di questa "realtà", come potremmo definirla?

Noi della realtà percepiamo anzitutto la “bolla” che viviamo a livello individuale, quindi ciò che ci circonda. E poi quello che appare nei media: non avremo mai una percezione della totalità delle cose. Ma se le immagini che catturiamo pesano come stereotipo sulle tematiche di diversità, si crea un problema.

Come possiamo fronteggiare gli stereotipi?

Gli stereotipi esisteranno sempre, perché questo è il nostro modo neuro-cognitivo di conoscere la realtà, ovvero attraverso dei modelli. Serve allora la capacità di comprendere che tutti ragioniamo in questo modo, ma che c’è anche possibilità di capire l’altro. Mi viene in mente un racconto di Brown, La sentinella, che narra una guerra contro gli alieni: il protagonista è un soldato in trincea che uccide un nemico. In seguito, quando l'autore descrive quest'ultimo, si scopre che si tratta di un essere umano. Insomma, il lettore, fino a quel momento, si identificava con l’alieno. Ecco, siamo sempre noi e altro da noi allo stesso tempo: non dobbiamo averne paura.

Con i Diversity Media Awards (DMA) premiate, secondo varie categorie, i mass media che hanno saputo diffondere meglio una rappresentazione che valorizza la diversità. Qual è il media più potente di tutti in questo senso?

«Le serie tv sono tra i media più attaccati alla realtà, cioè tendono a rappresentarne tante sfaccettature e ne danno una visione ampia toccando molte tematiche»

Il media più potente, secondo me, potrebbero essere proprio le serie tv. Con i DMA premiamo cinema, serie tv, programmi televisivi, ma anche canali di informazione.

Come si può stabilire con certezza quale media sia il più potente?

La potenza della rappresentazione è anche un tema quantitativo. Infatti, una delle domande guida è: “A quante persone arriva una data immagine?”. Per esempio, la tv generalista in Italia oggi raggiunge ancora a una percentuale molto alta di persone, e l’impatto, in termini quantitativi, è molto forte.

A cosa è dovuta la potenza della serialità invece?

Le serie tv sono tra i media più "attaccati alla realtà", cioè tendono a rappresentarne tante sfaccettature e ne danno una visione ampia toccando molte tematiche. Tra l’altro, anche se si tratta di racconti storici, o fantasy, o di visioni del futuro, di fatto, questi prodotti mediali parlano della realtà contemporanea.

C’è sempre una matrice di verità insomma.

Esatto, ma alla base non c'è sepre la necessità di toccare il cuore delle persone.

Tornando alla diversità, che strumenti abbiamo noi per distinguere una rappresentazione valorizzante di questa ultima, da una spettacolarizzazione forzata?

Esistono delle schede di analisi e dei test dedicati. Un esempio è il test di Vito Russo, relativo alla rappresentazione della comunità LGBT (trattasi di un test ideato dalla Gay and Lesbian Alliance Against Defamation, GLAAD. In questo caso, per una rappresentazione adeguata, devono verificarsi tre condizioni: la presenza di almeno un personaggio chiaramente LGBT; il personaggio non deve avere come caratteristica principale il suo orientamento sessuale; il personaggio è tanto rilevante che la sua rimozione avrebbe un effetto significativo, nda).

«Per quanto riguarda il rispetto dei diritti della comunità LGBT sono uscite alcune graduatorie imbarazzanti: un esempio è quella ILGA EU che vede l’Italia al 35° posto su 49 in Europa. »

Per quanto riguarda altre tematiche?

Per esempio, si valuta se una persona disabile non sia presente solo per la sua condizione, ma per un argomento più complesso. Banalmente: non deve essere uno stereotipo. Altrimenti si ha una problematizzazione del personaggio. Questo vale anche per questioni-profili generazionali o caratterizzati dall'appartenenza a una particolare cultura. In sintesi, nel contesto le persone devono essere interscambiabili. Bisogna chiedersi: "Verrebbe trattato allo stesso modo quel personaggio se fosse bianco, ventenne e maschio?".

Solitamente nelle serie tv dove viene rappresentata la diversità troviamo due differenti approcci: raccontare una situazione migliore rispetto alla realtà, oppure far prevalere il racconto critico.

Esatto, esistono entrambe le situazioni: c’è il racconto iperpositivo, che cerca di tracciare delle vie per spingere la società verso il meglio e il racconto critico. Ma quest’ultimo non è un problema, mostrare le paure e le discriminazioni è importante: bisogna vedere se c’è uno sguardo critico interno, cioè se si riesce a comprendere davvero la profondità di ciò che viene rappresentato.

Educare alla valorizzazione della diversità è uno dei “compiti” delle serie tv?

Naturalmente non possiamo chiedere a coloro che producono un qualunque prodotto mediale di essere ligi a una scrittura etica: alla fine è una forma d’arte, perciò ognuno gode della libertà d'espressione. Tuttavia è importante riconoscere che una data rappresentazione avrà un certo effetto sulla società.

Al di là del problema della rappresentazione, l’Italia come si colloca nel contesto europeo in termini di valorizzazione e accettazione della diversità?

Per quanto riguarda il rispetto dei diritti della comunità LGBT sono uscite alcune graduatorie imbarazzanti: un esempio è quella ILGA EU che vede l’Italia al 35° posto su 49 in Europa.

Per quanto riguarda i paesi che invece occupano le prime posizioni di queste classifiche, emerge un’area della diversità che viene particolarmente valorizzata?

I paesi più avanzati lo sono su tutte le tematiche, perché chi affronta l’inclusione tende a farlo in varie aree. Ci sono tanti esempi nei paesi del nord dell'Europa, eppure in nessun vige un'equità perfetta.