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Firenze dice: #DontTouchMySchengen

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Firenze

La Gioventù Federalista Toscana ha organizzato sabato 6 febbraio 2016 un flash mob nel centro fiorentino per difendere Schengen e il futuro dell'Europa. 

In un’Europa che aveva conosciuto due devastanti guerre mondiali e un muro di cemento che la divideva, la firma del Trattato di Schengen costituì un momento fondamentale del processo di integrazione europea. Dapprima con la libera circolazione delle merci, la libertà di movimento delle persone all’interno dell’acquis comunitario segnò una svolta epocale. Tuttavia, a distanza di molti anni, quello stesso slancio all’integrazione ha perduto la propria vitalità. Adesso anche Schengen sembra a rischio, e con esso le sorti dell’Unione Europea.

Il flashmob: il ritorno delle dogane

Per testimoniare l’importanza di Schengen, la Gioventù federalista toscana, formazione giovanile dello storico Movimento federalista europeo fondato da Altiero Spinelli, è scesa in piazza nel pomeriggio di ieri a Firenze. Nel centro cittadino, le sezioni GFE (Giovani federalisti europei) di Firenze, Pisa e Prato hanno scelto di organizzare un flash mob itinerante, per dimostrare quale sia il valore di Schengen, che per molti oggi è scontato. Dopo il ritrovo in piazza della Repubblica, dove si è radunata una cinquantina di persone sotto le bandiere federaliste e europee, il gruppo si è diretto in via Por Santa Maria, dove ha messo in scena il primo flash mob, che è poi continuato in via Roma e in via de' Cerretani, con il Duomo sullo sfondo. E poi, dulcis in fundo, dinanzi al Consolato danese. Il gruppo si è posto al centro della strada, dove ha inscenato un posto di controllo alla frontiera. «Schengen non è solo un trattato» hanno esordito così i ragazzi della Gioventù federalista, mentre numerosi passanti italiani e stranieri si fermavano per seguire l’evento, incuriositi, mentre venivano distribuiti volantini.

Al megafono, dicono che grazie a Schengen si ha «la possibilità di viaggiare, studiare e lavorare liberamente in tutta l’Unione Europea». E poi, accorata, l’esortazione a «non avere paura». Non si risolvono le minacce del terrorismo e dalla criminalità chiudendo le frontiere interne, bensì consolidando quelle esterne. Poi, dopo le dichiarazioni in favore del trattato, la barriera cede, si apre, e i manifestanti che impersonavano semplici cittadini europei che si accalcavano alla frontiera corrono verso un altro luogo dell’Europa, dove sentirsi a casa. Schengen è soprattutto questo: sentirsi a casa in ogni angolo d’Europa.

Il processo di integrazione europea, per quanto a volte segnato da impasse, non può arrestarsi. «Attuare una politica estera di sicurezza comune che preveda la definizione progressiva di una politica di difesa comune», con lo scopo di rafforzare «l’identità dell’Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo». È questa una delle motivazioni che ha condotto alla stesura e alla firma del Trattato sull’Unione europea. È questa una delle motivazioni che ancora oggi deve guidare tutti gli Stati membri a procedere verso la creazione di una vera Unione Europea. Al contempo, bisogna dare luogo davvero a «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia consentita la libera circolazione delle persone insieme a quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima».

Il progetto federalista

Ma se Schengen è stato un traguardo che ha segnato una svolta epocale, la realizzazione di un’unica frontiera esterna capace di garantire la sicurezza dei cittadini non è ancora completata. C’è bisogno di un unico corpo di polizia di frontiera comune, che sia coordinato a livello sovranazionale, che sia unico per tutti gli Stati membri, perché unica è la frontiera di questo grande progetto di integrazione. Serve un Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune che sia in grado di organizzare e indirizzare in modo autonomo dai particolarismi la diplomazia.

È deleteria, invece, qualsiasi forma di individualismo, qualsiasi intenzione di attuare politiche di beggar-thy-neighbour di altri tempi per disfarsi della questione dell’immigrazione che preme ai bordi dell’Europa. Il problema è comune, e comuni devono essere gli impegni e le risorse. Sul tema dell’immigrazione come su qualsiasi altro. Non c’è modo di sconfiggere una così consistente minaccia senza coordinamento e senza un’azione coordinata e armonizzata. Anzi, il rischio che il prevalere dei nazionalismi  possa tradursi in una maggior vulnerabilità sarà solamente accentuato. Il progetto europeo, oggi più che mai, deve essere portato avanti, verso una «even closer union».

La generazione Erasmus, la generazione Easyjet, la generazione dei giovani che hanno sempre viaggiato, conosciuto e scoperto l’Europa in libertà deve difendere Schengen: sentirsi a casa in ogni angolo d’Europa, come dicono i Giovani federalisti, è il solo nostro futuro.