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Fascisti in vacanza

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società

L’estate è anche “nera”: un panorama dei luoghi turistici dei nostalgici delle destre d’Europa. Da Mussolini a Salazar, da Hitler a Franco. Quando il fascismo è un business.

All’indomani della proposta del sindaco di Roma Gianni Alemanno  di dedicare una via a Giorgio Almirante – firmatario del Manifesto Della Razza, reduce della Repubblica Sociale Italiana e fondatore del partito di estrema destra Movimento Sociale Italiano – la Frankfurter Allgemeine Zeitung scriveva: «un mausoleo di Hitler a Braunau è impensabile, mentre la tomba di Mussolini a Predappio è un luogo sacro per i fascisti».

Pellegrinaggio a Predappio

E difatti Predappio è la meta principale del pellegrinaggio “nero”: un turismo “mordi-e-fuggi” che non porta grossi benefici economici alla cittadina collinare, quanto piuttosto ai negozianti del settore: una visita alla cripta del Duce nel cimitero comunale, una sosta nei negozi di souvenir le cui lunghe vetrate s’affacciano sui Viali Matteotti (politico socialdemocratico ucciso da una squadra fascista) e Roma (che qui non può non ricordare la Marcia che segnò l’ascesa al potere di Mussolini), e poi via verso il mare o le montagne circostanti carichi di gadget del Ventennio.

Busti e statuette del Duce a partire da 25 euro, bandiere per ogni gusto: dal classico tricolore con fascio littorio ai vessilli recanti la doppia S della polizia hitleriana passando attraverso svastiche e croci celtiche. Non manca il fregio della X-Mas (un teschio con una rosa in bocca), la flottiglia di Junio Valerio Borghese – attiva dal 1943 al 1945 a fianco dei nazisti – lo stesso che nel 1970 tentò un colpo di stato volto a instaurare un regime militare in Italia. Per gli squattrinati ci sono oggettini da 5 euro (come il “fermasoldi del Duce”), per i più duri i manganelli sui quali è impresso il volto di Mussolini o quelli neri e telescopici, per i più estrosi il fez colonialista, per i prosaici il calendario, le felpe e il vino Sangiovese del Duce.

La testa di Salazar

Un business che non sfugge nemmeno al sindaco di Santa Comba Dão, che vorrebbe restituire al mondo la statua di Salazar – distrutta durante la Rivoluzione dei Garofani – della quale resta solo la testa, conservata nel Municipio. Ma il dittatore – eletto nel programma tv Os Grandes Portugueses il più grande tra i suoi connazionali – secondo il sindaco meriterebbe anche un museo e negozi di merchandising per la vendita di magliette e statuine riproducenti il fautore dell’Estado Novo.

Ma per il momento, nonostante le manifestazioni dell’associazione nazionalista TIR (Terra Identidade Resistência) e le polemiche politiche tra le sinistre e l’area moderata-conservatrice sull’opportunità della costruzione del museo, l’unico segno di Salazar rimane una piccola targa sulle pareti della sua casa natale – un edificio vuoto e pericolante nella frazione di Vimieiro – che ricorda «l’uomo gentile che ha governato e non ha mai rubato».

Franco e la riconciliazione nazionale

Più accorto di Salazar fu il Generalísimo Francisco Franco, che il mausoleo lo progettò da sé.  è un complesso grandioso, comprendente un’enorme basilica sotterranea sovrastata da una croce in pietra di oltre 150 metri e un’abbazia benedettina. Nell’idea originaria del Caudillo avrebbe dovuto commemorare i caduti di ambo le parti della Guerra Civile Spagnola nell’ottica di una supposta riconciliazione nazionale. Ma i caratteri controversi del luogo sono più d’uno: per la sua costruzione furono impiegati prigionieri politici repubblicani, il primo ad essere qui sepolto e commemorato su ordine dello stesso Franco fu il fondatore della Falange Española, José Antonio Primo de Rivera. Ed è qui che, il 20 novembre di ogni anno – data di morte ufficiale di entrambi gli esponenti fascisti – si riuniscono alcune migliaia di nostalgici franchisti e falangisti per ricordare i propri eroi. Un progetto di legge del Parlamento spagnolo vorrebbe depoliticizzare il sito restituendolo alla sua funzione religiosa.

Hitler è stato decapitato

Ma ogni paese europeo dimostra un atteggiamento complesso e contraddittorio verso il proprio passato nero: scarse le tracce dei governi collaborazionisti, come la casa di Vidkun Quisling a Oslo, il politico norvege a capo del governo fantoccio sostenuto dai nazisti, convertita a centro studi sull’Olocausto. In diversi paesi poi fu forte la preoccupazione di evitare la costituzione di luoghi di memoria per neofascisti e neonazisti, così i resti di dittatori e leader nazionalisti furono tumulati nell’anonimato: fu così per Monsignor Jozef Tiso (colui che fece della Slovacchia un alleato dell’Asse), per il fondatore della Guardia di Ferro rumena, Corneliu Zelea Codreanu e per molti gerarchi tedeschi.

In Germania in particolare s’è voluta cancellare ogni traccia del nazismo. Nonostante questo il celebre “Nido dell’aquila”, lo chalet-fortezza adiacente al Berghof dove si ritirava Hitler in compagnia di Eva Braun e dei gerarchi del partito, ora è un ristorante e un’attrazione turistica, e non solo per il panorama. Il Terzo Reich rimane tuttavia un periodo controverso. L’ultimo esempio? Il tentativo della sede berlinese del museo delle cere di Madame Tussauds di esporre una riproduzione del Fürher, costata 200mila euro. A Frank L., sono bastati una decina di minuti dall’apertura del museo per decapitare la statua portando a segno “il primo attentato riuscito contro Hitler”.